Marguerite de la Rocque
Robinson Crusoe al femminile

Marguerite de La Rocque nacque attorno al 1515 (la data esatta della nascita è ignota). I suoi genitori erano morti prima che lei compisse i vent’anni. Con la loro morte, Marguerite, unica ereditiera, divenne proprietaria di tantissimi beni e ricchezze. Fra l’altro, e non era poco, i suoi possedimenti erano estesissimi terreni nella Linguadoca, mentre di altri terreni era comproprietaria con il parente (non si sa in quale grado) Sieur Jean-François de la Rocque, Signore di Roberval, nato nel 1500 a Carcassonne, figlio del governatore locale, appartenente a una famiglia antica e prestigiosa. Roberval ne era il curatore legale. Questo signore era nato con manie di grandezza, puntando a fare le giuste conoscenze, a coltivare le più proficue amicizie, sempre a fini di lucro: oggi, la definizione giusta sarebbe, forse, quella di «arrampicatore sociale». D’altra parte, grazie alla carica del padre, frequentava la Corte del Re di Francia, Francesco I della dinastia Valois-Angoulême, divenendone amico e partecipando con lui alle avventure giovanili. Proprio a dimostrazione del suo rapporto con il Sovrano, ci fu l’appoggio reale avuto quando fu implicato in un conflitto di religione, essendo lui un ugonotto, cioè un protestante, in ciò coadiuvato dalla sorella del Re, Margherita di Navarra, protettrice di molti importanti personaggi di quella religione.

Tale amicizia era preziosa, per cui ogni sacrificio era ricompensato. E per mantenere salda tale amicizia, Roberval spendeva senza alcun ritegno, tanto che fu costretto a indebitarsi con amici e parenti, finendo in serie difficoltà. Ma da ottimista incallito, non si avvilì, sicuro che il tutto, piano piano, si sarebbe risolto per il meglio.

E invero qualcosa di importante avvenne quando il Re, nel 1541, lo nominò tenente generale delle terre d’oltreoceano nel Nord America, in fase di acquisizione; cioè era il governatore della Nuova Francia, nome attribuito al Vicereame di cui una parte era costituita dal Canada. Però quella nomina nascondeva qualcosa che non era facilmente digeribile, in quanto i mezzi economici messi a sua disposizione erano piuttosto striminziti. Roberval non si adontò, bensì abbozzò, rimuginando come sarebbe stato possibile avere di più. E così si inventò il mestiere del pirata, navigando con una nave ben agguerrita, affrontando, assalendo e catturando diverse navi inglesi.

Rimpinguate le proprie tasche, decise di partire per il continente americano il 16 aprile 1542 sulla nave Valentine, facente parte di un convoglio di tre navi. La flotta portava verso l’America centinaia di coloni, bestiame e attrezzature varie per la coltivazione e la costruzione di abitazioni e stalle. Oltre all’equipaggio, a bordo della Valentine era pure la giovane Marguerite.

Il fatto era veramente strano, perché sembrava impossibile che una giovane nobildonna, che viveva nel lusso e nella vita mondana di chi non ha altro di cui preoccuparsi durante tutto il giorno, avesse deciso di lasciare le comodità e gli agi che la ricchezza le consentivano, per andare in un Paese di frontiera verso un avvenire tutto da inventare. Ma tant’è, qualsiasi sia stata la ragione che ha spinto Marguerite a partecipare a quel viaggio e ai disagi della navigazione e dell’occupazione dei territori, ella era là, appoggiata al parapetto della nave, mentre salutava la costa della propria patria che vedeva sparire piano piano, all’orizzonte.

La navigazione continuava tranquilla, senza scossoni, il tempo trascorreva lentamente, le notti non passavano mai. Qualsiasi fatto poteva essere occasione per attirare l’attenzione, e fu così che Marguerite ebbe modo di ammirare un giovane, bello e agile, che comprese di aver fatto breccia nel suo cuore, tanto che avvenne ciò che, di solito, capita in questi casi.

Purtroppo, per i due giovani, le navi di allora non erano transatlantici di centinaia di metri di lunghezza e larghi come campi di calcio, dove può succedere che certe persone non si incontrino mai: nei velieri gli spazi erano limitati e la possibilità di passare inosservati era del tutto improbabile, come del resto capitò.

Roberval, venuto a sapere della relazione amorosa, andò su tutte le furie. Le ragioni della sua reazione, forse, stavano nel pensiero che un giorno, divenuta Marguerite più matura, sarebbe stato suo desiderio sposarla illibata. O, considerando che era un tizio che non aveva scrupoli, la morte della pupilla avrebbe fatto aggiungere ai suoi beni quelli della ragazza. Forse, furono altre le ragioni che lo indussero a compiere l’insano gesto: del resto, la mente umana può avere strane reazioni di cui non sempre si riesce a comprendere il significato.

Comunque sia, egli non ascoltò spiegazioni (del resto, quali?) e, non intendendo per nulla perdonarla, rincarò la dose, decidendo di abbandonare Marguerite su un’isola disabitata a riscattare i suoi peccati. Era talmente sicuro che di lei non si sarebbe più sentito parlare, che non si preoccupò per l’avvenire.

Così, fece dirigere la nave verso il Golfo di San Lorenzo e fece sbarcare Marguerite, insieme con la dama di compagnia, Damienne, perché la riteneva colpevole di essere a conoscenza della tresca e di aver rispettato il silenzio, nell’isola chiamata con il nome poco invitante di «Isola dei Demoni», piccola e inospitale, per di più disabitata; pare che la scoperta dell’isola sia avvenuta proprio in coincidenza di questo fatto, per cui sia da attribuire a Roberval. Lasciò loro pochissimo materiale di scorta: il tutto consisteva in poche risorse alimentari, coltelli, un moschetto, alcune pistole, polvere da sparo e una Bibbia. La riserva sarebbe durata poco, ma sicuramente a sufficienza da farla pentire per il misfatto combinato.

Il giovane, che era stato messo ai ferri per impedire che continuasse la tresca a terra, riuscì a liberarsi e, gettatosi in mare, raggiunse l’isola a nuoto, portando pure un po’ di armi e di scorte alimentari.

I tre, cui si sarebbe presto unito un quarto, essendo Marguerite incinta, si diedero da fare per rendere la loro esistenza vivibile, in attesa che qualcuno, magari per sbaglio, puntasse la sua nave sull’isola e li raccogliesse per riportarli nel mondo civile. Per tutta l’estate e per tutto l’autunno la vita trascorse piacevole: il ragazzo costruì una capanna, tagliò legna per cuocere i cibi, andò a caccia e a pesca e, naturalmente, continuò l’idillio dei due giovani. Ma con l’inverno cominciarono i guai, quando il cibo si esaurì. I tre vissero, o meglio sopravvissero, mangiando radici, erbe e bevendo acqua salmastra. E ai guai si aggiunse la morte del ragazzo, non è dato sapere per quale causa: forse la scarsità degli alimenti e la cattiva qualità dell’acqua minarono la sua salute. Essendo il suolo gelato, non fu possibile procedere alla sua sepoltura, per cui il corpo fu tenuto coperto, per proteggerlo dagli animali, fino a primavera, quando, con l’aiuto di Damienne, la giovane poté scavare una fossa. A primavera nacque un bambino, che poco dopo morì. Dopo l’inverno successivo, passato in grandi difficoltà, la povera Damienne, denutrita e ammalata, la lasciò sola, senza l’aiuto di nessuno.

Marguerite pensò bene di trasferirsi in una grotta, che sarebbe diventata la sua abitazione, per lo meno all’asciutto dalle intemperie e protetta dall’attacco di grossi animali.

In ogni modo, si fece coraggio e non mollò: era giovane e, come tale, si comportava come se davanti a sé ci fosse un avvenire. Forse il marinaio, prima della sua morte, ebbe modo di insegnarle molte cose per la sopravvivenza, tanto che era diventata abile nell’uso del moschetto e del coltello, con i quali andava a caccia di piccoli animali, e nel trovare e riconoscere i frutti che la terra le elargiva. Una volta incontrò un animale che era tutt’altro che piccolo: era un orso, che lei riuscì a uccidere; lo scuoiò e della pelle fece una pelliccia che le consentì di proteggersi dalla rigidità del clima invernale di quell’isola, posta non molto a Sud del Circolo Polare Artico. Sicuramente la vita era un inferno: lei era sempre attenta a non farsi sorprendere da grossi animali (orsi, trichechi, grifoni e grossi uccelli marini); e lo sconforto talora, le faceva fare pesanti riflessioni, ma era aiutata dalle preghiere alla Madonna e dalla sua fede che, contrariamente a quella di Roberval, osservante del bigotto protestantesimo ugonotto, era cattolica.

Il tempo passava inesorabilmente, finché, dopo due anni di vita alla Robinson Crusoe, vide una vela non molto lontana dalla costa. Inteso che le si era offerta un’occasione forse irripetibile, prese il moschetto e iniziò a sparare colpi, finché si rese conto di essere riuscita ad attirare l’attenzione dell’equipaggio, quando vide che il veliero volgeva la prua verso la costa. La nave era un peschereccio, che la raccolse, fra la sorpresa e l’ammirazione dei marinai che non si rendevano conto di come una giovane donna fosse stata capace di sopravvivere da sola in quell’inferno polare.

Naturalmente, la nave seguì la sua rotta e, a compimento del suo programma, Marguerite fu riportata in Francia.

Roberval aveva fatto male i suoi conti, dunque, perché Marguerite si era salvata ed era tornata finalmente a casa.

Pare che lei abbia incontrato André Thevet, un sacerdote francescano esploratore, nel Périgord e gli abbia raccontato tutta la sua sventura, chiarendo le difficoltà superate prima e dopo l’essere rimasta sola.

Marguerite raccontò tutto quanto le era accaduto, ma non pensò ad adire a vie legali, per riprendere tutto quanto Roberval aveva rivendicato come suo, ritenendo che la sua pupilla fosse morta. Sicuramente, le mani di quell’uomo erano molto lunghe, se nessuno si interessò per rimettere le cose al loro giusto posto, dato che le vicende della povera donna erano sulle labbra di tutti. Essa non se la sentiva di osteggiare Roberval in un tribunale e si ritirò presso lo Chateau de la Mothe a Notron, dove fondò una scuola per ragazze. Non si conosce la data della sua morte.

E Roberval che cosa fece? Dopo aver espletato il suo compito di governatore nella Nuova Francia in territorio canadese per un certo periodo, tornò in patria. E purtroppo la sua fede religiosa gli giocò un brutto scherzo, quando nel 1560, già sessantenne, si scontrò, insieme con alcuni suoi amici ugonotti, con un gruppo di aderenti alla fede cattolica, ed ebbe la peggio, giacché tutti furono bastonati a sangue e uccisi per questioni di guerre di religione. Si potrebbe concludere che la sua morte fu da addebitare a quella fede religiosa che, tanto ligia alle questioni di pudore, portò al tentativo, fallito, di eliminare la parente colpevole di quel peccato, secondo lui, imperdonabile.

Le vicende di Marguerite furono raccontate dalla Regina Margerita di Navarra, sorella del Re Francesco I, nell’opera Heptameron.

(maggio 2022)

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