Pietro da Talada, un pittore del Quattrocento tutto da riscoprire
Il rosso dei poveri[1]

«“Ma guarda – cinguetta infervorata la signora – è questa la pianta del pittore? Oh – continua additando la lana e i pizzi di cotone amaranto chiaro – li hanno tinti con le radici? E sono queste le radici di erba robbia?”. “No, signora, – la correggiamo indulgenti – quelle sono uova sode pitturate di rosso!”.

Beh, una pianta tanto misteriosa, che nella nostra zona alligna esclusivamente nei paraggi del Casale di Talada, potrebbe generare uova di Pasqua, per quel che ne sappiamo…

Il rosso dei poveri! L’erba in questione, portata agli onori della cronaca dalla bella mostra su Pietro, Maestro di Borsigliana[2], che l’avrebbe impiegata per estrarne la sua tipica pittura rossa, non è altro che un indisponente “attaccamani”. La famiglia è proprio la stessa della fetida braccia plebea, ruvida, irsuta, infestante i campi di grano di sementi ispide, che si raccoglievano dopo la trebbiatura. Ma la robbia ha consanguinei ben più aristocratici: la profumatissima gardenia e l’aromatico caffè, i cui “chicchi” sono vermigli, proprio come le uova esposte nell’oratorio del Casale. Ed è unicamente qui, nella piccola borgata a due passi da Cervarezza, che si conserva l’antico uso tintorio delle radici della robbia. Le tinte per tessuti venivano ricavate in passato da piante o da animali e i reperti archeologici fanno presupporre che gli uomini avessero cominciato a usarle intorno al 3000 avanti Cristo, con il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale. Solo a metà abbondante del XIX secolo, si ebbe casualmente la sintesi di alcuni coloranti artificiali, e solamente nel 1868 venne isolato l’idrocarburo delle radici della robbia, e sintetizzato in laboratorio il suo colorante rosso.

Prima la pianta venne messa a coltura dall’estremo Nord dell’Europa – la adoperavano i Vichinghi – sino al Medio Oriente, per questo tra i colori dell’abito quotidiano del popolo e delle coperte tessute al telaio spiccava il rosso. Un rosso modesto e meno luminoso di quello dovuto alla porpora mercanteggiata dai Fenici, o dal rosso sangue della cocciniglia impiegata dagli Indios in America Centrale, o ancora dal rosso fuoco ricavato dal Pau Brasil (legno di brace), l’albero che ha dato il nome al Brasile.

Pare che al Casale la robbia sia stata importata nel Quattrocento da Pietro da Talada, anche se è più credibile che ci si trovasse già da secoli (la seminarono gli Etruschi) e che vi sia rimasta per alcune peculiarità del terreno e del clima. Una sorta di relitto storico-vegetale, preservata nei punti in cui si trovavano i vecchi orti del paese».[3]

L’autrice di questo bell’articolo è anche colei che ha scritto recentemente una bella biografia su un pittore eccelso del Quattrocento Italiano, di alto spessore, di cui fino a pochi decenni fa gli storici dell’arte nemmeno conoscevano l’esistenza: Pietro da Talada.[4]

Colui che dall’autrice viene identificato come il pittore di Borsigliana, emerge dall’oblio solo nel 1963, quando Giuseppe Ardighi lo identificò come l’autore del trittico visitabile nella chiesa di Santa Maria di Borsigliana (Piazza al Serchio), opera che sino ad allora era attribuita a Gentile da Fabriano o a un pittore si scuola lombardo-valenziana esponente del gotico internazionale.

Talada viene riconosciuto come luogo d’origine del pittore quando, in un inventario degli inizi del secolo, viene recuperata la precisa descrizione della Madonna col Bambino di Soraggio (Sillano) dove compaiono il nome del committente e la firma dell’autore.

Ci sono ipotesi che descrivono Pietro da Talada come educato artisticamente nei territori reggiani e spartito tra la montagna reggiana e la Garfagnana, dove poi ha esercitato.

Si tratta di un pittore misterioso. Di lui oggi si conoscono solo un pugno di opere che da sole bastano per far comprendere il calibro dell’artista, che qualcuno ha definito per la sua straordinarietà come uno dei più grandi pittori che siano mai esistiti.

Sono poche le opere che conosciamo, a partire da quel trittico di Borsigliana; la Madonna col Bambino della chiesa di Santa Maria di Capraia nel comune di Pieve Fosciana; per proseguire con la Madonna col Bambino conservata nel Museo Nazionale di Villa Guinigi di Lucca, ma proveniente dalla chiesa di Soraggio; e la Madonna Assunta, rinvenibile presso la chiesa di Santa Maria Assunta a Stazzema, in Versilia.

Questo pittore scelse di vivere tra i più umili, tra mucche e letame, come è stato giustamente rilevato, «affidandosi al Gotico internazionale in pieno Umanesimo, quasi si trattasse di un allievo di Giotto». Adesso il pittore riscoperto, le cui opere lasciano il visitatore a bocca aperta tanto sono fantastiche sia le figure che i colori, è studiato a livello internazionale persino oltre oceano.

Ma quali sono i reali misteri di Pietro da Talada?

Sono davvero tanti sul piano artistico, a partire dal trittico di Borsigliana.

Perché quella costruzione ottagonale sotto i piedi di Maria?

Il numero otto è importante soprattutto nell’arte cristiana, rileva l’autrice della biografia, per il significato di questo numero come si enuncia nelle parole di Sant’Ambrogio. Era necessario che l’aula del Battistero avesse otto lati, perché ai popoli venne concessa la vera salvezza quando l’alba dell’ottavo giorno Cristo risorse dalla morte.

Poi Maria dona una rosa a Gesù, la rosa bianca, simbolo di purezza, e Maria simbolo di salvezza sia fisica che spirituale.

Nei quadri di Pietro non vengono mai mostrati i piedi di Maria ma quelli del Bambino. Anche la postura della mano della Vergine potrebbe voler indicare allo spettatore la futura posizione del chiodo della Crocifissione.

Pietro da Talada è lontano dalla Rinascenza di Giorgio Vasari, e cento anni dopo Giotto legato a lui. I suoi sono gli anni in cui Ludovico Ariosto divenne, grazie agli Estensi, il Governatore della Garfagnana. Nella Rocca di Castelnuovo l’Ariosto come Pietro conobbe un mondo di pastori, banditi, artigiani, coltivatori. Un popolo in difficoltà ma mai domo, che con Pietro da Talada si regalava autentici capolavori. Quei colori da lui usati sono davvero i colori della valle, luminosi e naturali come tutta la Valle del Serchio.

Ciò che sorprende è che anche in luoghi apparentemente così lontani dalla civiltà abituale toscana circolasse un pittore di questa caratura.

Io che frequento spesso questi luoghi e che conosco un po’ quelle vicende, ho pensato ad esempio alle Valli di Soraggio come al luogo in cui qualche anno dopo in piena Controriforma ci fu una qualche caccia alle streghe, di cui mi sono occupata in un breve articolo pubblicato sul sito un po’ di tempo fa.

Per la verità erano situazioni a volte più di maniera, pur certamente in questi luoghi ci furono episodi legati a queste contingenze storiche.

Si trattava di luoghi per così dire incontaminati, ma anche di luoghi di frontiera, dove gli Estensi e la Repubblica Lucchese sempre si sono visti l’un contro l’altro armati. Ma anche la stessa Firenze, che ebbe su Barga per un certo periodo il dominio.

Io credo che la Magnificenza e nel contempo la separazione dall’Arte Fiorentina ultimo grido, definiamola così, possano segnare un confine non solo artistico ma geografico. Si tratta di una mia interpretazione su Pietro da Talada.

E a questo punto voglio inserire altri riferimenti che ritengo particolarmente interessanti. Il paese di Sillico, comune di Pieve Fosciana, a ridosso di quell’Eremo di Capraia dove Pietro da Talada lavorò, era un paese tutt’altro che fantasma. Se andiamo oggi vi troviamo bellissimi palazzi direi maestosi del Quattrocento e del Cinquecento, ancora ben conservati se non fosse per la necessità di restauro che hanno. E qui invito pubblicamente a visitare la zona e a scoprire queste bellezze inesplorate che la soprintendenza non riesce a seguire a sufficienza per la vastità del nostro patrimonio artistico. Ma che meriterebbero tutt’altro che l’oblio.

Di qui passavano infatti i ricchi mercanti modenesi diretti a Lucca. E anche i Lucchesi, che per quanto decadenti rispetto al Medioevo più profondo, non erano affatto così impoveriti, come talvolta sono stati descritti, facevano altrettanto. Luogo di passaggio dunque, dove i figli di Castruccio Castracani qualche anno prima avevano combattuto per difendere il loro potere senza riuscirvi.

Questi imponenti palazzi appartenuti a questi ricchi mercanti che nulla si facevano mancare neppure durante i loro spostamenti, fecero del Sillico non solo luogo di banditismo, ma anche luogo di incontro di esperienze, perché questi mercanti giravano non solo in Italia, ma anche e soprattutto nel resto d’Europa. Quello che oggi può apparire un luogo montuoso e isolato, era tutto fuorché isolato.

Ed ecco che qui la storiografia e ancor più la storia dell’arte non sono ancora riusciti ad arrivare.

Eppure la storia di potenze come quella estense, piuttosto che fiorentina ma anche lucchese, passavano da questi luoghi. E personaggi come Pietro da Talada, oggi riscoperto, ne facevano parte.

Non molto distante da questi luoghi, in località Camporgiano, c’era una fabbrica meravigliosa di ceramiche nel Quattrocento, i cui resti ancora oggi ben conservati sono depositati nella Rocca Maestosa di Camporgiano, non visitabili al momento se non su prenotazione, sempre per mancanza di fondi. Si tratta di un mondo fatto di affari e arte, artigianato e banchieri, perché non dimentichiamo che nel Quattrocento l’Italia tutta, e questi luoghi non meno di altri, era all’avanguardia in ambito monetario. Qui circolavano molti più capitali e gestori di capitali di quanto si possa immaginare. Non per niente c’erano tutti questi banditi.

E se un uomo di grande spessore culturale come Ludovico Ariosto fu mandato qui dagli Estensi, non era solo per levarselo di torno perché scomodo, come solitamente viene detto, ma anche per affidare a un uomo di spessore interessi politici e oserei dire commerciali molto più marcati di quanto la storiografia abbia saputo descrivere sin qui.


Note

1 Normanna Albertini.

2 Località in alta Garfagnana, vicino al paese di Sillano.

3 Da un articolo di Normanna Albertini presente in rete dal titolo Il colore dei poveri.

4 Normanna Albertini, Pietro da Talada. Un pittore del Quattrocento in Garfagnana.

(novembre 2019)

Tag: Elena Pierotti, Pietro da Talada, Ludovico Ariosto, Giotto, Giorgio Vasari, Lucca, Modena, Firenze, Estensi.