La polvere nera
Arma vincente in mano al detentore

Una delle invenzioni che hanno fatto epoca fin dall’antichità è quel materiale esplosivo che va sotto il nome di polvere nera o pirica. Chi ne aveva il possesso, sicuramente aveva maggiori possibilità, su un campo di battaglia, di prevalere contro un nemico che ne era sprovvisto: basti pensare alle «gloriose» occupazioni europee nei territori abitati da indigeni armati solamente di lance, coltelli e archi! Le sue origini sono da datare attorno al IX secolo, ma non è noto dove abbia visto la luce.

E approfittando di questa mancanza di dati precisi in merito, sono molti i Paesi che ritengono di essere i pronipoti degli inventori di questa sostanza micidiale che è costituita dall’abbinamento di tre componenti: salnitro, come comburente, carbone vegetale e zolfo come combustibili. Siccome, però, certi storici hanno parlato nel passato del salnitro come «sale della Cina», presumibilmente è proprio là che si dovrebbero cercare le radici. E invero sono molti coloro che ritengono che la polvere pirica sia una delle quattro grandi invenzioni cinesi: vale a dire, carta, stampa, polvere nera, appunto, e bussola. Gli stessi, inoltre, hanno ritenuto che i Cinesi ne fossero in possesso già molti secoli prima di Cristo e la usassero sia in guerra sia per fuochi pirotecnici.

La diffusione nel mondo antico avvenne per le migrazioni di popoli, le invasioni da parte degli Arabi e le Crociate: tutte queste aprirono alla polvere nera la strada per giungere in Europa. In manoscritti del secolo XII si parla di tutto questo, mentre pare che l’invenzione della polvere nera sia da attribuire al monaco tedesco Berthold Schwarz, anche se per molti si tratta di un personaggio di fantasia.

Sembra di poter affermare che i Cinesi avessero questo esplosivo quando, nel XIII secolo, dovettero difendersi dal potente conquistatore mongolo Gengis Khan e che questi, valutatane la potenza, l’abbia a sua volta usata. Il suo uso avvenne per un tempo lunghissimo, in particolare dal secolo XIV fino alla seconda metà del secolo XIX. Perché questa precisione di data? Perché ci fu l’invenzione della dinamite (dal greco «dynamis» = «forza») da parte dello Svedese Alfred Bernhard Nobel, che fece ripiegare l’uso della polvere pirica a scopi meno importanti, quali scoppi di fuochi d’artificio o, con l’aggiunta di altri ingredienti, di mezzi di segnalazione e similari.

Si racconta che la scoperta sia stata casuale; infatti, si ritiene che alchimisti stessero tentando di produrre l’elisir dell’immortalità, quando incapparono in questa miscela esplosiva. Naturalmente, hanno compreso l’importanza della scoperta e in Cina hanno cominciato a costruire razzi e bombe deflagranti lanciabili per mezzo di catapulte; poi, hanno imparato a usare canne di bambù per lanciare missili contro il nemico. I tubi di bambù, tuttavia, non potevano resistere alle sollecitazioni dello sparo, per cui in seguito si passò al metallo, fra enormi difficoltà, giungendo infine ai cannoni, di cui il primo prototipo è datato in Cina al 1126. I cannoni di quel tempo, comunque, avevano ricevuto miglioramenti, tanto da acquisire un’efficace potenza. A dimostrazione di quanto asserito ci fu l’erezione delle mura di Pechino, tenendo conto della capacità distruttiva delle nuove armi; e ciò non solo: infatti, i Ming decisero di trasferire la capitale dell’Impero da Nanchino a Pechino, giacché i rilievi attorno a Nanchino avrebbero permesso all’artiglieria nemica di disporre i suoi cannoni in luoghi di vantaggio, in caso di un eventuale assedio.

I progressi tecnologici furono più veloci in Europa che in Cina, dove furono reintrodotti dai missionari gesuiti, cui fu addirittura conferito l’incarico di prestarsi per la costruzione di cannoni da parte dell’Impero.

Per quanto attiene alla composizione della polvere nera, le percentuali in massa sono del 75% di salnitro (nitrato di potassio, KNO3) e del restante 25% suddiviso fra carbone di legna (C7H3O) e zolfo (S), secondo le preferenze nei dosaggi. Per esempio, i Francesi e gli Inglesi dosarono diversamente i due ultimi elementi.

La quantità di nitrato di potassio è fondamentale nella determinazione della potenza dell’esplosivo. Il carbone ardendo rilascia energia termica. Lo zolfo, che brucia a temperatura più bassa di quella del legno, accresce l’infiammabilità della polvere, in tal modo facilitando la decomposizione del salnitro. Le dosi dei diversi elementi sono studiate per avere il massimo della pressione e la minima formazione di residui.

La scelta del legno da utilizzare implica diversi comportamenti della polvere pirica al momento dello scoppio, che è una deflagrazione, cioè una combustione caratterizzata da velocità subsonica dell’onda di propagazione, contrariamente alla detonazione di altri esplosivi, nella quale questa è superiore a quella del suono. Per esempio, il carbone ottenuto con la pirolisi della legna a 500° C, in ambiente privo di ossigeno, comporta diverse velocità di combustione. La velocità è più lenta se si usa carbone di faggio, pioppo o quercia; anche la grafite produce lo stesso effetto. Al contrario, con carbone di salice, di vite o di alberi da frutto, la combustione diventa più veloce. Il massimo della velocità si può raggiungere con il carbone di altre essenze arboree fra cui la balsa, il legno prediletto dai modellisti per la leggerezza e la facilità di lavorazione; naturalmente, essendo una pianta di origine americana, solamente dopo la scoperta del Nuovo Mondo si poté apprezzarne la qualità. In tal modo, la velocità può raggiungere i 1.500 metri al secondo, per cui lo scoppio avviene per detonazione. Con le possibilità a disposizione, si decise di usare polveri a lenta combustione per caricare cannoni e bombarde, riservando alle polveri a rapida combustione l’uso per armi leggere, portatili.

A proposito della preparazione della polvere pirica, naturalmente non si può pensare di mettere insieme gli elementi e zac, come con una bacchetta magica, la realizzazione è fatta. È necessario seguire un programma di lavorazione. Innanzitutto, bisogna polverizzare separatamene e in maniera impalpabile sia il carbone sia lo zolfo, per ridurli in granulometria pari o inferiore agli 80 micron. Si mescolano fra loro in un mulino a sfere o altro apparecchio per diverse ore, si aggiungono poi il salnitro e una soluzione di alcool metilico, etilico o altro similare e si tratta la miscela ottenuta in un impastatore o macchina affine per meno di un minuto. Fatto asciugare il prodotto alla temperatura di 150-200° C, si polverizza delicatamente con un pestello in un mortaio, entrambi in legno o metallo che non produca scintille, essendo la miscela altamente infiammabile.

C’è pure un altro metodo, che va sotto il nome della «schiacciata»: la polvere è soggetta a un’elevata pressione, che la riduce a fogli sottili, e poi è frantumata come visto sopra.

Oggi, con i progressi tecnologici raggiunti nel campo della chimica industriale, la preparazione della polvere nera non ha nessuna difficoltà, ma un tempo il problema era abbastanza complesso.

Per ciò che concerne l’approvvigionamento di legna, non sorgevano problemi di sorta: bastava semplicemente sapere scegliere le essenze giuste, giacché la messe non mancava.

E pure lo zolfo, che è uno degli elementi chimici maggiormente diffusi sul pianeta Terra, era reperibile nelle solfare (depositi sotterranei di rocce sedimentarie calcareo-argillose) e nelle solfatare (giacimenti dovuti alle emanazioni di anidride carbonica e idrogeno solforato, dal quale ultimo per ossidazione si ha la sedimentazione di zolfo cristallino). Era noto in Cina fin dal I secolo avanti Cristo ed era utilizzato nella cura di alcune malattie della pelle (scabbia, psoriasi, eczema); era molto usato pure in studi, perché si era notata la sua reattività con certi metalli.

Più difficile era procurarsi il salnitro. In Cina era conosciuto fin dal I secolo avanti Cristo ed era utilizzato insieme con lo zolfo nell’apprestamento di certi medicinali. È possibile trovarlo in ambienti aridi come depositi cristallini o associato ad altri minerali. Ma l’approvvigionamento, in un passato non troppo lontano, avveniva raschiando le pareti delle caverne o raccogliendolo dai depositi di guano, soprattutto di pipistrelli, dove tende ad accumularsi, o da altri materiali di natura organica. Quando non erano disponibili giacimenti naturali di salnitro, si produceva nelle cosiddette nitriere, come di seguito descritto. Per ottenere il salnitro, al coperto si forma un letto di terreno argilloso con paglia, per esempio, e deiezioni animali e umane. Il tutto deve essere mantenuto umido (non bagnato), rimescolato di quando in quando, e si deve aspettare che si formino i nitrati. Sulla massa, piano piano si accrescono cristalli di salnitro a formare uno strato dai 6 ai 10 centimetri, da prelevare parzialmente per consentire la continuità nella formazione dei cristalli.

Comunque, in definitiva, la produzione di salnitro non è poi così complicata, però non deve mai far difetto l’attenzione, al fine di evitare che scoppino incendi, che potrebbero essere veramente pesanti.

Pur non essendo la polvere da sparo tanto energica, quanto lo sono altri esplosivi, tuttavia ciò non toglie che non si debba maneggiarla con la giusta cura; infatti, le esplosioni accidentali non erano rare e le conseguenze immaginabili. Le cronache riportano la descrizione di scoppi e incendi luttuosi.

Può essere interessante aprire una parentesi sulla polvere nera prodotta e per quali scopi a Cardile, paese del Cilento in provincia di Salerno, riprendendo i discorsi degli anziani locali. Le notizie riportano che con ogni probabilità la polvere pirica sia stata preparata dai briganti della zona per usarla nella caccia oppure per l’esecuzione di atti criminali. Sia lo zolfo, sia il salnitro erano laggiù facilmente reperibili, mentre per avere il carbone si ricorreva alla carbonella ottenuta dai tralci secchi di vite. Si frantumava il carbone in mortai di arenaria, usando un pestello di legno. Una volta trasformato in polvere il carbone, si aggiungevano lo zolfo e il salnitro, quindi si continuava a pestare, rimescolando il misto ottenuto, cercando di renderlo il più possibile omogeneo. Non è da escludere che le autorità locali disapprovassero tale attività, come lo dimostrano i mortai reperiti in zone lontano dai sentieri delle campagne e dei boschi; e non solo, perché la produzione doveva essere abbondante, considerando la quantità di mortai reperiti. Si dice che la polvere nera di Cardile fosse una delle migliori: del resto l’esperienza acquisita poteva sostenere l’ipotesi. Anzi, malelingue sono dell’avviso che, per migliorarne le prestazioni, i briganti aggiungessero certe sostanze a loro solamente note. Queste, però, avevano la cattiva capacità di infettare ferite anche piccole, che diventavano inguaribili cancrene e portavano alla morte. Si ritiene che qualcuno sia stato trattato proprio con le stesse, o per disattenzione o di proposito. Con tale presupposto, i curiosi erano tenuti alla larga. Alla fine, il fenomeno del brigantaggio scomparve, ma si continuò a produrre polvere da sparo, però per altri scopi, cioè per battute di caccia, il tiro a segno e per la preparazione di fuochi artificiali da accendere per divertimento in occasione di commemorazioni, ricorrenze e feste patronali, naturalmente senza proiettili.

La preparazione della polvere nera non è difficile, come si è visto più sopra, ma la sua descrizione è stata riportata solamente a scopo dimostrativo e non esecutivo, giacché da un lato la legge lo proibisce, se non dietro corretti permessi, e dall’altro perché in commercio si trovano esplosivi adatti a ogni scopo senza difficoltà. Pertanto, chi vuole farla per conto suo ci pensi due volte.

(febbraio 2021)

Tag: Mario Zaniboni, polvere nera, polvere pirica, sale della Cina, fuochi pirotecnici, Crociate, Berthold Schwarz, Gengis Khan, dinamite, Alfred Bernhard Nobel, fuochi d’artificio, mezzi di segnalazione, elisir dell’immortalità, cannoni, Ming, Cardile, polvere da sparo.