Raffaello Sanzio, una vita dedicata all’arte
Il grande pittore non godé di una vita lunga, ma le sue opere lo resero eterno

È l’autunno del 1508 ed alcuni grandi pittori, tra i quali il Perugino, il Sodoma ed il Lotto, sono intenti da più di un anno ad affrescare le volte e le pareti delle Stanze Vaticane, che formano l’appartamento dell’esigente Papa Giulio II.

Mentre stanno lavorando alacremente ed hanno già portato a buon punto i loro affreschi, giunge a Roma un giovane pittore: è stato invitato personalmente dal Papa, dietro consiglio del grande architetto Bramante, a lavorare con questi artisti. Non appena Giulio II – che di artisti se ne intende e gli piace circondarsene – vede i primi saggi di questo giovane, ne è talmente entusiasta che dà ordine di distruggere immediatamente gli affreschi già realizzati e di affidare la decorazione delle Stanze soltanto al nuovo venuto. Questi è Raffaello Sanzio da Urbino.

Raffaello Sanzio

Raffaello Sanzio, Autoritratto, 1506 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze (Italia)

La vita di Raffaello fu breve (37 anni) ed interamente dedicata all’arte. Nacque ad Urbino nel 1483 da Giovanni Santi, un pittore che si era acquistata una buona fama (tanto da essere a capo di una fiorente ed operosa bottega), e da Magia di Battista Ciarla. Urbino era allora una città tranquilla e ordinata, uno dei centri rinascimentali più vitali e innovativi in campo culturale, in cui furono accolti e protetti artisti artisti ed intellettuali provenienti dalla Penisola Italiana e da altri Paesi Europei: vi si trovava una delle più ricche ed importanti biblioteche dell’epoca ed il Palazzo Ducale era stato definito da Baldassarre Castiglione «una città in forma di palazzo».

Il primo maestro di Raffaello fu lo stesso suo padre: questi aveva eseguito un numero considerevole di pale d’altare per eminenti personaggi dell’aristocrazia marchigiana, opere per lo stesso Palazzo Ducale, inoltre si impegnava nell’allestimento di spettacoli teatrali per la Corte ed era anche poeta. Ma Giovanni Santi poté seguire il figlio solo per pochi anni, perché nel 1494 cessò di vivere.

Alla morte del padre, Raffaello aveva appena 11 anni, ma aveva già dimostrato una particolare inclinazione per la pittura. Fu così che lo zio paterno, che si era preso cura di lui, decise di mandarlo alla bottega del pittore Timòteo Viti. Alla scuola di questo artista, Raffaello fece in poco tempo enormi progressi: non ancora diciassettenne, dipinse un quadro (Il sogno del cavaliere, attualmente nella Galleria Nazionale di Londra) che il Viti giudicò una pregevolissima opera d’arte. Ma Raffaello sapeva di avere ancora molto da imparare. Decise allora di recarsi a Perugia – ove il dispotismo e la violenza erano all’ordine del giorno – per studiare alla bottega di Pietro Vannucci (soprannominato il Perugino), uno dei più grandi pittori dell’epoca; il Perugino era famoso per la grazia e la soavità che trasparivano dai suoi dipinti.

Raffaello assimilò ben presto l’arte del Perugino. Le opere da lui compiute fino al 1504, nel periodo della sua permanenza a Perugia, rivelano chiaramente che si ispirò allo stile del suo maestro.

Tra i più noti lavori di questo periodo ricordiamo la Crocifissione (conservata nella Galleria Nazionale di Londra), lo Sposalizio della Vergine (Pinacoteca di Brera in Milano) e il San Sebastiano (Accademia Carrara di Bergamo).

Basta confrontare La consegna delle chiavi del Perugino con lo Sposalizio della Vergine per rendersi conto fino a che punto Raffaello si fosse ispirato al maestro. Ma non era affatto un’imitazione: Raffaello mostra di aver superato i canoni del Perugino risolvendo in maniera armoniosa, nel segno di Piero della Francesca, il rapporto fra lo spazio, l’architettura e le figure che denotano uno studio dal naturale e da modelli più antichi. È interessante notare il personaggio in basso a destra, che spezza un ramoscello facendo forza sul ginocchio, un gesto in realtà inutile, data l’esilità della frasca; così facendo, però, il personaggio si protende quasi all’esterno del dipinto, verso chi eventualmente guarda e che così non è più uno spettatore esterno, ma diventa parte della scena, partecipa da co-protagonista all’evento rappresentato. In queste prime opere si rivela già la mano di un artista di genio.

Sposalizio della Vergine

Raffaello Sanzio, Sposalizio della Vergine, 1504, Pinacoteca di Brera, Milano (Italia)

A quel tempo, il centro dell’arte e della cultura era Firenze: grazie soprattutto al mecenatismo della famiglia dei Medici, tutti i migliori artisti dell’epoca avevano preso dimora in quella città. Quando Raffaello giunse a Firenze (forse verso la fine del 1504), si trovavano nella città i due più grandi artisti dell’epoca: Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti.

Dall’arte di questi due colossi, il ventenne pittore di Urbino – che aveva un volto quasi da fanciulla, uno sguardo dolce da poeta che si sarebbe presto fatto più serio e più pensoso – seppe trarre non poco profitto. Durante il soggiorno a Firenze, dal 1504 al 1508, Raffaello compose alcune tra le sue migliori opere: le splendide Madonne – nella sua vita, ne dipinse più di trenta – le cui pose, i gesti, gli sguardi creano vere e proprie relazioni d’affetto tra i personaggi (particolarmente celebri quelle cosiddette del Granduca, La bella giardiniera ricca di citazioni da Leonardo e da Michelangelo e La Madonna del baldacchino), la Deposizione di Cristo (in cui è riconoscibile l’influenza di Michelangelo) e parecchi ritratti (nei quali si nota che Raffaello non era rimasto insensibile all’arte di Leonardo). La mia preferita è la Madonna del Cardellino: il Bambino Gesù non è un capolavoro di concezione o di disegno, ma il giocondo San Giovanni che arriva trionfante con l’uccelletto catturato è un godimento per la mente e per gli occhi, e il volto della Vergine è la rappresentazione indimenticabile della tenerezza indulgente di una giovane madre.

Madonna del Cardellino

Raffaello Sanzio, Madonna del Cardellino, 1506 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze (Italia)

Grazie alla grande fama che si era andata acquistando a Firenze, Raffaello venne chiamato a Roma da Papa Giulio II (autunno del 1508). Qui, come abbiamo detto più sopra, gli fu affidato l’incarico di affrescare le Stanze Vaticane. Forse, un tale incarico lo sgomentò: il giovane sapeva benissimo che c’era da correre il rischio di sfigurare di fronte al sommo Michelangelo, che aveva iniziato ad affrescare le volte della Sistina.

Ma, ad opera compiuta (anno 1514), Raffaello non sfigurò affatto: anzi, gli affreschi delle Stanze gli assicurarono – giustamente – una fama universale. I due affreschi più noti sono la Disputa del Santissimo Sacramento (in cui la gestualità e le pose dei vari personaggi che celebrano la verità rivelata da Gesù Cristo non vengono mai ripetute e sono, anzi, sempre estremamente eloquenti, suggerendo in modo eccelso l’epica sublimità della fede cristiana) e la Scuola d’Atene (in cui si esalta, in quegli anni di apertura alla sapienza antica, la ricerca razionale del vero). In entrambe le opere, accanto a teologi, Dottori della Chiesa, Santi, filosofi e saggi dell’antichità, sono ritratti personaggi contemporanei (sono stati riconosciuti Donato Bramante, Francesco Maria della Rovere, Leonardo da Vinci, il Sodoma, Michelangelo, lo stesso Raffaello): una simile assemblea di saggezza non era mai stata dipinta, e forse nemmeno concepita prima d’allora. I dipinti rappresentano l’unione della religione con la filosofia, della cultura classica con il Cristianesimo, della Chiesa con lo Stato, della letteratura con la legge, in seno alla civiltà del Rinascimento. Questi due affreschi, che rivaleggiano in colloquio diretto per concezione, composizione e tecnica, rappresentano il vertice della pittura europea, a cui nessuno è mai più assurto.

Disputa del Santissimo Sacramento

Raffaello Sanzio, Disputa del Santissimo Sacramento, 1508-1509, Stanza della Segnatura (Città del Vaticano)

Scuola d'Atene

Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, 1509, Stanza della Segnatura (Città del Vaticano)

Nel 1514, Papa Leone X, succeduto a Giulio II, affidò a Raffaello la continuazione della fabbrica di San Pietro. Ed anche in qualità di architetto Raffaello seppe dare un’ottima prova.

Da allora, pressato da continue commissioni, la sua attività artistica divenne prodigiosa.

Dal 1517 al 1519, con i suoi discepoli (ormai Raffaello faceva scuola), decorò le Logge Vaticane, portò a compimento il celebre ritratto di Papa Leone X e molti altri lavori di gran pregio tra i quali la Visione di Ezechiele, San Michele sconfigge Satana e La Fornarina (Margherita, la donna di origine senese, figlia di un fornaio, appassionatamente amata da Raffaello).

L’ultima sua grande opera fu La trasfigurazione di Cristo (Cristo che si trasfigura nella divinità). Riuscì a concluderla entro il 6 aprile del 1520, giorno del suo compleanno, quando Raffaello cessava improvvisamente di vivere.

Ma, se l’uomo è morto, il suo mito continua a brillare attraverso le sue opere, nelle quali Raffaello si è mostrato l’interprete d’un ideale di bellezza classica, canonica, passata poi nel gusto di interi secoli di civiltà e connaturatasi con il nostro ideale di bellezza; ma è stato anche l’altissimo celebratore dello spirito e della cultura umanistica attraverso i grandi temi del pensiero e della fede religiosa. Giorgio Vasari, nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, scrisse che il cielo aveva accumulato nel solo Raffaello «l’infinite ricchezze de’ suoi tesori e tutte quelle grazie e’ più rari doni che in lungo spazio di tempo suol comparire fra molti individui», mentre il conte Pandolfo Pico della Mirandola annotò, il giorno dopo la morte dell’artista, che «la fama […] non è subietta a tempo né a morte serà perpetua, si per le opere sue quanto per le fatiche de li dotti che scrivereano il laude qua alli quali non gli mancharà subietto».

(settembre 2015)

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