Riforma protestante
Papa Leone X e Lutero a 500 anni dallo scisma

Nella storia esistono svolte epocali destinate a lasciare effetti di decisiva importanza anche a lungo termine. Una di queste è stata la Riforma[1]: un evento che 500 anni or sono diede luogo a una vera e propria rivoluzione non soltanto religiosa, a cui è congruo riservare memoria non soltanto celebrativa, se non altro per l’attualità che le 95 tesi promulgate da Martin Lutero (1483-1546) ha conservato – almeno in parte – fino alla nostra epoca, nel quadro di una rivalutazione etico-spirituale del messaggio cristiano, la cui necessità è stata avvertita in misura crescente anche in Italia, a cominciare dalla filosofia risorgimentale di Vincenzo Gioberti e di Antonio Rosmini, per assumere aspetti di particolare rilievo, sia fideistico che socio-politico, dopo il 1870 e la fine del potere temporale dei Papi.

Inizialmente, le tesi erano state elaborate senza una vera e propria programmazione scismatica e avevano tratto motivazione prioritaria dall’impegno luterano contro la prassi delle indulgenze, tipica della Chiesa di Roma: cosa in essere da parecchi secoli, ma diventata particolarmente visibile nell’epoca rinascimentale anche in Germania, dove il Vaticano aveva appaltato la gestione delle indulgenze alle Curie Vescovili, che promuovevano l’iniziativa tramite l’Ordine domenicano, mentre il sistema bancario, agli albori di una potenza riassunta nel celebre nome dei Fugger, si faceva carico di raccogliere gli introiti. Lutero, che nel 1511 era stato in visita a Roma, ne era rimasto vivamente impressionato ritenendo che quella prassi fosse irrispettosa dei valori autentici e irriverente anche sul piano formale.

Bisogna aggiungere che la vecchia questione delle indulgenze fu soltanto una causa scatenante, assieme ad altre non meno importanti che possono compendiarsi nella maturazione del nuovo spirito critico diffusa più o meno dovunque dalla cultura rinascimentale; nella priorità della fede, destinata a supportare la teoria del suo ruolo determinante ai fini della salvezza, escludendo o riducendo quello delle opere, e soprattutto delle penitenze e delle celebrazioni rituali; nella tendenza, più viva nei Paesi Mitteleuropei, a considerare in un’ottica negativa le intromissioni e i vincoli imposti dalla Chiesa Romana; e nell’influenza postuma di taluni movimenti scismatici già maturati in Inghilterra con William Wycliff, che sin dallo scorcio conclusivo del XIV secolo non aveva condiviso l’esclusività pontificia in materia di interpretazione delle Sacre Scritture, per non dire di Giovanni Hus e Girolamo da Praga, condannati al rogo nel 1415 e non estranei alla successiva nascita del movimento nazionale boemo durante il regno di Giorgio Podebrad.

L’avvento della stampa avrebbe fatto il resto, ampliando a dismisura l’universo dei possibili lettori e dei cultori di storia sacra: al riguardo, basti rammentare che nel cinquantennio precedente le tesi di Wittemberg (1517), la città universitaria dove Lutero era titolare della cattedra di teologia, si erano avute parecchie centinaia di edizioni bibliche. Lo stesso dicasi per i beni materiali che la Chiesa Cattolica possedeva in Germania, come in Francia o in Inghilterra, e che spesso venivano gestiti direttamente dalla Curia di Roma, creando ulteriori risentimenti.

Papa Leone X Medici (1475-1521), secondogenito di Lorenzo il Magnifico, era stato destinato alla carriera ecclesiastica sin da giovanissimo: laureato a Pisa in diritto canonico, aveva ricevuto assai presto la porpora cardinalizia, diventando Abate di Montecassino e venendo eletto al Soglio Pontificio nel 1513, ancora trentottenne, quale successore di Giulio II Della Rovere, con l’intento di destinarlo a missioni di pace dopo le forti turbative precedenti: cosa che parve realizzarsi nella residenza pontificia di Palazzo Madama anche alla luce del suo straordinario mecenatismo, di cui avrebbero fruito tanti sommi personaggi dell’epoca, quali Raffaello, Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione, Erasmo, Francesco Guicciardini, Aldo Manuzio, Jacopo Sannazaro. Non fu immune da suggestioni nepotiste, come nell’acquisizione del Ducato di Spoleto per destinarlo proprio al nipote (il territorio sarebbe stato successivamente unito allo Stato Pontificio), ma ebbe il merito di portare a conclusione il Concilio Lateranense e di risolvere lo scisma gallicano col Concordato di Bologna, rimasto in vigore fino alla «grande» Rivoluzione, lasciando al Re Francesco I di Francia la facoltà di nomina dei Vescovi e quella di risolvere le cause ecclesiastiche.

Fu proprio Leone X a dover gestire in prima battuta il confronto con l’opposizione luterana, che non conosceva mezzi termini, tanto da aver definito il Papa come un uomo «più ricco di Crasso». Ciò, anche in concomitanza con importanti problemi interni dello Stato Pontificio tra cui si deve ricordare la congiura di Alfonso Petrucci, ma nello stesso tempo con singolari doti di preveggente prudenza come accadde con la creazione di 31 nuovi Cardinali in un solo concistoro: cifra che sarebbe stata superata soltanto da Pio XII durante il «secolo breve». In effetti, le tensioni indotte dalla congiuntura politica, ma soprattutto dalla Riforma, avrebbero condotto Papa Leone a morte prematura e al tradizionale sepolcro di Santa Maria della Minerva (1521).

Le tesi luterane ebbero un successo enorme, destinato ad accrescere l’intransigenza del loro vulcanico e sanguigno estensore. Fu così che dopo qualche tentativo di riavvicinamento, nel 1519 si sarebbe riaperto il processo contro Lutero, concluso nell’anno successivo con la Bolla Exurge Domine in cui si adombrava la minaccia di scomunica. La risposta non avrebbe potuto essere più traumatica, perché Lutero bruciò il documento papale sulla pubblica piazza assumendo una linea di ribellione suffragata da vaste adesioni, a conferma di un’ampia condivisione popolare del suo atteggiamento[2]. In conseguenza, la scomunica fu automatica e venne pronunciata all’inizio del 1521, raccogliendo l’adesione formale dell’Impero con l’Editto di Worms, e in particolare quella del nuovo Sovrano Carlo V, ma con l’opposizione dell’elettore Federico di Sassonia, uno dei più potenti principi tedeschi, che per oltre un anno diede ospitalità a Lutero in uno dei suoi castelli, dove il promotore dello scisma avrebbe potuto elaborare compiutamente la propria dottrina.

Momenti essenziali di queste elaborazioni furono l’affermazione del libero esame e della conseguente libera interpretazione dei testi sacri (Vecchio e Nuovo Testamento) quali materia di fede sfrondata da tutte le teorie successivamente elaborate dalla Chiesa Cattolica, comprese quelle rivenienti dai Padri dei primi secoli, quelle dei Concili, e naturalmente, quelle dei Pontefici. In base a questa nuova concezione dottrinaria i Sacramenti si sarebbero ridotti a due (Battesimo ed Eucarestia) con esclusione degli altri, e in particolare di una Penitenza ritenuta pleonastica a fronte del semplice pentimento salvifico; del Matrimonio, che si avviava a diventare un semplice atto giuridico; e «in primis» dell’Ordine Sacro, con relativo scioglimento del monachesimo, abolizione del celibato ecclesiastico e incameramento dei beni religiosi: un fattore, quest’ultimo, che indusse l’adesione alla Riforma da parte di molti nobili, ma nello stesso tempo ispirò l’idea di una reale uguaglianza, con una proliferazione di ribellioni a cascata, tra cui quella molto ampia dei contadini, destinata a essere schiacciata nel sangue, al pari di quanto accadde agli anabattisti, che non ritenevano specificamente valido il Battesimo impartito ai bambini e ne introdussero una nuova tipologia riservata agli adulti, in quanto idonei a scegliere secondo fede e ragione.

Il movimento luterano si sarebbe rapidamente diffuso in altri Paesi Europei, a cominciare da quelli scandinavi guidati dalla Svezia, dove avrebbe trionfato grazie all’opera prioritaria di Gustavo Wasa; in Inghilterra, dove avrebbe assunto caratteri specifici con l’opera di Enrico VIII e con l’Atto di Supremazia approvato dal Parlamento nel 1533 dichiarando il Sovrano unico capo della Chiesa Britannica ed evolvendo verso la nuova dottrina anglicana, in dissenso dal Papa ma anche da Lutero; in Svizzera, dove la Riforma avrebbe trovato spunti di importante affermazione con Ulrico Zwingli nel Cantone di Zurigo e soprattutto con Giovanni Calvino in quello di Ginevra, non senza ulteriori sviluppi verso una concezione quasi assolutista di austerità e semplicità della vita religiosa, oltre che di quella morale e civile, anticipando talune esperienze del successivo rigorismo etico e del giansenismo.

Le strade di Roma e di Lutero si divisero in maniera irreversibile anche se la «conversione» alla fede riformista sarebbe diventata plenaria soltanto in alcune regioni, quali Prussia, Pomerania, Brandeburgo e Sassonia, mentre in altri territori tedeschi la resistenza cattolica sarebbe stata significativa, con punte massime in Baviera e nelle altre zone meridionali.

In Vaticano ci fu bisogno di tempo perché si potesse fronteggiare una situazione oggettivamente complessa mettendo a punto il grande programma della Controriforma; non già con il Papa Adriano VI di Utrecht (1521-1525), primo successore di Leone X, e nemmeno con un altro Pontefice di Casa Medici, Clemente VII (1525-1534) che anzi fu costretto a subire la tragedia del sacco di Roma a opera dei lanzichenecchi[3], quanto con Paolo III Farnese, che nel 1542 avrebbe convocato il Concilio di Trento, proseguito con Giulio III Del Monte e Paolo IV Carafa per concludersi con Pio IV (un ulteriore Medici) nel dicembre 1563, portando a termine un grande processo di riflessione e di rinnovamento, i cui effetti si avvertirono anzitutto nel momento religioso, ma nello stesso tempo, anche in campo artistico e letterario.

Oggi, a 500 anni dalla Riforma, le prospettive a breve e medio termine hanno assunto un carattere sostanzialmente laico ma non privo di qualche ipotesi di dialogo ecumenico, peraltro assai lontano da ogni possibile accordo sui temi di fondo che diedero luogo alla rivoluzione luterana (fatta eccezione per la «vexata quaestio» delle indulgenze, ormai inattuale a fronte dei grandi temi e problemi della nostra epoca). Nell’ambito di un giudizio storico per quanto possibile oggettivo, conforme ai canoni della grande storiografia da Tacito a Benedetto Croce, il meno che si possa dire è che, al pari della successiva Controriforma[4], quel movimento fu l’espressione di un impegno in ottica originariamente spirituale ma riveduta alla luce della centralità dell’uomo proposta dal Rinascimento, e poi avvitatosi in una spirale di questioni politiche e di lotte senza esclusione di colpi, come spesso accade in nome di grandi principi, o presunti tali.

Per concludere con un antico aforisma, le vie del Signore sono infinite: proprio per questo consentono di perseguire il comune obiettivo salvifico tramite percorsi alternativi profondamente diversi, mutuati da vicende appartenenti alla storia, come quella delle indulgenze, ma nello stesso tempo da questioni universali di vita e di morte che la crescita della popolazione mondiale e il forte ampliamento delle disuguaglianze sociali hanno reso urgenti e drammatiche, nell’attesa di risposte consapevoli e responsabili a opera delle fedi fondate sui grandi principi di fratellanza e di uguaglianza, e appartenenti alla sola autentica rivoluzione umana e civile: quella cristiana.


Note

1 La bibliografia sulla Riforma, cui è naturalmente collegata quella sulla Controriforma Cattolica, è davvero sterminata. Per un primo inquadramento, oltre alle voci enciclopediche, confronta Helmut Georg Koenigsberger, Georg Lachmann Mosse, Georg Bowler, L’Europa del Cinquecento, Edizioni Grandi Opere, Milano 2004 (con riguardo specifico al sesto capitolo, La Riforma Luterana, pagine 183-208); e per quanto concerne più specificamente le correlazioni con la storia italiana, confronta Luigi Salvatorelli, Sommario della storia d’Italia, Giulio Einaudi Editore, Torino 1963, capitolo XIV (Riforma e Controriforma), pagine 370-386.

2 La Riforma seppe catalizzare intorno alle sue proposte innovatrici, non soltanto di carattere religioso, consensi oggettivamente vasti, a cui il carisma di Lutero, sebbene grossolano e talvolta triviale, diede un contributo di buona rilevanza, mentre la Chiesa di Roma avrebbe assunto una strategia di opposizione a lungo termine, con una cesura nei confronti del precedente trionfalismo idonea a produrre effetti costruttivi. La storiografia e la memorialistica hanno puntualizzato questa mutazione strategica in parecchie occasioni: un contributo esemplificativo degno di menzione fu quello proposto nel 1962 a Rocca di Papa, presso «Mondo Migliore» (confronta Centro d’Intesa, Atti del Convegno di Studi economico-sociali, Il Fauno Editore, Firenze 1963, 128 pagine). Ciò, con particolare riguardo all’intervento di Gaetano Immé, secondo cui alla Riforma sarebbe da imputare buona parte delle crisi, etiche ancor prima che economiche, in cui il mondo occidentale è stato ripetutamente coinvolto da allora in poi. Non a caso, in questa circostanza Padre Virginio Rotondi avrebbe affermato – durante la sua prolusione – che «si stava meglio in un mondo fatto peggio».

3 In opposizione alla Lega di Cognac, per il cui tramite era stata promossa l’alleanza vaticana con Francia e Venezia, le truppe imperiali assalirono Roma (1527) e dopo averne distrutto le difese diedero luogo a un orrendo eccidio privo di qualsiasi pietà, mentre Papa Clemente VII aveva trovato scampo in Castel Sant’Angelo avvalendosi di un passaggio segreto. Come è stato ricordato in sede storiografica, un simile delitto contro l’umanità non si verificava nella Città Eterna dall’ormai lontano 1084, al tempo della conquista normanna, e «venne interpretato come una punizione divina per la corruzione romana durante l’epoca rinascimentale» (al riguardo, confronta Josef Gelmi, I Papi, Rizzoli Editore, Milano 1996, pagina 159).

4 I valori positivi della Controriforma hanno trovato un avallo di forte significato anche nella storiografia d’impostazione laico-liberale, ma fedele ai canoni essenziali dell’oggettività: in proposito, confronta Benedetto Croce, Storia dell’età barocca in Italia (Pensiero – Poesia e letteratura – Vita morale), terza edizione, Giuseppe Laterza & Figli, Bari 1953, 508 pagine: ciò, con riguardo specifico al capitolo iniziale dedicato proprio alla Controriforma, comprensivo di giudizi circa i suoi «frutti di utilità sociale» non disgiunti dalle permanenti influenze umanistiche e culturali, dal ruolo della Ragione di Stato, e innanzi tutto, dalla capacità di metabolizzare al meglio le intuizioni di base che avevano promosso la Riforma.

(agosto 2019)

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