Simone Martini
Un Senese a Napoli

Grazie alla sua storia millenaria, Napoli ha numerosi tesori che si possono ammirare camminando lungo i suoi vicoli, nelle varie chiese e nei vari palazzi, altri, invece, si possono ammirare soltanto in un posto, in un museo affascinate con un bosco per giardino che lo rende unico al mondo, parlo del Museo di Capodimonte. Nato come sontuosa residenza dei Borboni, fu trasformato dopo l’Unità d’Italia in uno scrigno di tesori; dell’antica residenza borbonica si possono ammirare lungo le stanze del primo piano, accanto alle opere d’arte, gli arredi originali, stanze d’armi e il famoso salottino, unico nel suo genere, rivestito tutto di porcellana voluto da Maria Amalia di Sassonia (Desda 1724-Madrid 1760). Esso è un ambiente in puro stile rococò voluto dalla Regina nel 1757 e rappresenta la perfezione tecnica e artistica che la Reale Fabbrica della Porcellana di Capodimonte, fondata nel 1740, raggiunse in poco tempo. Tale salottino è tutto rivestito da finissima porcellana bianca e decorata in alto-rilievo con festoni e scenette ispirate alla moda della «cineseria» imperante nel XVIII secolo anche nel Regno di Napoli.

Salottino di porcellana

Salottino di porcellana di Maria Amalia di Sassonia (veduta parziale), circa 1757-1759, reggia di Capodimonte, Napoli (Italia)

L’importanza di questo palazzo non si è ridotta nel tempo, al contrario, tutt’oggi è viva e anzi potrebbe competere con molti musei nazionali e internazionali, ma… come si dice «chi ha i denti non ha il pane», qua abbiamo il pane e i denti sono impegnati a masticare altre cose...

Andiamo avanti…

I capolavori esposti sono numerosissimi e non posso raccontarli tutti, mi limiterò a descriverne di tanto in tanto qualcuno lasciandovi, spero, il piacere di scoprire il resto della sua immensa collezione.


Simone Martini e Roberto d’Angiò

Inizio da Simone Martini semplicemente perché mi piace, mi affascina, rimarrei a guardarlo per ore, poi mi rendo conto che ci sono altri capolavori da ammirare e vado avanti.

Nella sala al secondo piano è conservata solo una sua meravigliosa opera intitolata San Ludovico da Tolosa, realizzata nel 1317, tempera e olio su tavola.

In origine tale opera era collocata nella Basilica di San Lorenzo Maggiore, poi, sul finire dell’Ottocento, insieme ad altri quadri presenti nello stesso edificio, fu rimossa, restaurata e ricollocata nel Museo di Capodimonte.

Simone Martini nacque a Siena probabilmente nel 1284 e morì ad Avignone nel 1344, lavorò attivamente tra Siena, nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi, a Napoli alla Corte degli Angioini, infine ad Avignone alla Corte Papale.

La bellezza della sua arte sta nell’elegante unione tra la trascendenza e l’astrazione delle sue figure, ossia colloca la storia in una realtà senza tempo ma l’attenzione ai dettagli delle vesti, degli ambienti e degli oggetti rivelano il suo innato talento di narratore di storie. Ciò è presente in ogni suo capolavoro.

Nella sua arte, insomma, troviamo tutto il rinnovamento artistico che caratterizzò gli ultimi due secoli del Medioevo, rinnovamento che, con le opportune differenze, coinvolse centri politici e culturali come: Siena, Firenze, Roma, Avignone e in generale tutta la Provenza, e Napoli; quest’ultima s’impose a livello internazionale, a dire il vero già con Tancredi e poi con Federico II ma con gli Angioini si legò molto alla cultura e all’arte provenzale.

Sia Carlo II (1254-1309) che Roberto d’Angiò (1227-1343) ospitarono nella loro raffinata Corte le migliori menti intellettuali del tempo come, per citarne alcuni, San Tommaso d’Aquino, Cino da Pistoia, Boccaccio, Petrarca, e artisti, tra i quali spiccano, oltre a Simone Martini, Pietro Cavallini, Giotto, Tino da Camarino, Giovanni e Pacio Bertini: le loro sopravvissute opere si possono ammirare in Santa Chiara, in Donna Regina vecchia, in San Lorenzo Maggiore e nel Duomo di Napoli.


San Ludovico da Tolosa, puro manifesto politico

San Ludovico da Tolosa

Simone Martini, San Ludovico da Tolosa, 1317, Museo di Capodimonte, Napoli (Italia)

E ora veniamo alla grande tavola dipinta su legno realizzata nel 1317, anno della canonizzazione di Ludovico a Santo che, per seguire questa strada, decise di rinunciare al Trono donando la Corona a suo fratello minore Roberto.

Antefatto politico: nel 1290 Re Ladislao IV morì senza lasciare eredi, così la Corona passò a sua sorella Maria d’Ungheria moglie di Carlo II d’Angiò e madre di Ludovico e di Roberto. Senza entrare nel dettaglio e nelle beghe di Corte, dopo scontri, sequestri e riscatti nel 1295 a Ludovico fu permesso di salire al Trono ma, durante le varie beghe di potere, aveva già abbracciato la regola francescana e subito manifestò l’intenzione di lasciare la vita di Corte e la politica per dedicarsi completamente alla vita monastica; fu lo stesso Ludovico a passare la Corona al fratello Roberto. Tale gesto non passò inosservato e molti accusarono Roberto di aver indotto il fratello a farsi monaco e a lasciare il Regno. Nonostante la furiosa polemica, Ludovico si fece monaco e divenne Vescovo di Tolosa; carica ottenuta per l’indubbio peso politico del suo lignaggio e per il rapporto che gli Angioini avevano con il Papato.

Dopo la sua morte e dopo vari miracoli, nel 1317, velocizzando la pratica, Papa Giovanni XXII lo santificò. Ciò fu il pretesto per Re Roberto di mostrare al mondo intero la sua legittima salita al Trono e la santità del fratello e affidò all’abilità artistica di Simone Martini il compito di realizzare questo complesso manifesto politico.

La pala fu opportunamente collocata nella Basilica francescana di San Lorenzo Maggiore per una serie di motivi come: l’importanza della chiesa che garantiva la massima visibilità a tale manifesto politico; l’onore per la cattolicissima famiglia angioina di avere un Santo Francescano fra i suoi membri; legittimare agli occhi di tutti il suo Regno.

In poche parole Re Roberto utilizzò a suo favore il forte potere comunicativo dell’arte e Simone Martini riuscì, con la sua indubbia abilità, a condensare in un’opera il suo preciso intento politico, ossia mostrare la consequenzialità degli eventi succeduti per volere di Dio; il Santo principe, che rinunciò alla Corona per indossare un semplice saio francescano impreziosito, nel dipinto, dalle insegne vescovili, riceveva, per mano angelica, l’incoronazione celeste e, contemporaneamente, incoronava suo fratello Roberto. È stato Dio, attraverso il suo umile testimone, a volere Roberto d’Angiò come degno sostituto di Ludovico chiamato, a sua volta, a servire umilmente Dio come Francescano.

Per rendere tutto più solenne, San Ludovico è stato raffigurato in una posizione ieratica e dominante e che fissa lo spettatore proprio a voler rimarcare il suo gesto, in contrapposizione alla figura piccola e di profilo di Roberto. Tutto impreziosito dall’uso dell’oro che esalta la ricchezza delle vesti e delle corone.

Tutta quest’astrazione viene di colpo ridimensionata da molti e importanti particolari, infatti, nei cinque riquadri in cui sono stati raffigurati alcuni avvenimenti importanti per la vita di Ludovico ci sono elementi molto interessanti come, ad esempio, nel secondo riquadro è stato raffigurato l’interno di una stanza del monastero di Aracoeli di Roma, luogo dove Ludovico iniziò il noviziato e dove ricevette l’incarico da Papa Bonifacio VIII di diventare Vescovo di Tolosa; ad evidenziare la sua già santità in vita, è stato raffigurato con la mitra e il nimbo. Inoltre troviamo raffigurati tappeti, gemme, vesti ricamate in uso in quel periodo e, cosa decisamente importante, uno dei pochissimi ritratti giunti a noi, anche se è di profilo, di Re Roberto d’Angiò e, secondo qualche studioso, di Ludovico anche se reso più astratto dal suo essere raffigurato Santo.

San Ludovico da Tolosa, riquadri

Simone Martini, San Ludovico da Tolosa (riquadri sottostanti), 1317, Museo di Capodimonte, Napoli (Italia)

Questa raffinata capacità narrativa valse a Simone il titolo di «cavaliere», come veniva indicato negli appannaggi assegnati annualmente da Re Roberto, ciò indicava l’importanza raggiunta a Corte dall’artista.

Una curiosità, l’opera è stata realizzata su tavola, la cornice è stata intagliata a forma di giglio di Francia e, tra un giglio e l’altro, Simone firma la sua opera usando il colore bianco, da lontano si nota pochissimo.

Ovviamente Simone Martini lasciò tracce indelebili nell’arte dei contemporanei napoletani, essendo il suo stile intriso d’influenza provenzale e senese. Tale influenza si può ammirare in altri due dipinti su tavola posizionati prima dell’opera di Simone Martini, in cui è stato raffigurato un tema molto provenzale, cioè la Madonna dell’Unità; composizione ideata per prima dal pittore ligure Bartolomeo Pellerano da Camogli attivo nel Palermitano che è, per la precisione, un altro centro molto legato ad Avignone. Tale tema avrà notevole successo.

Le due opere esposte a Capodimonte sono state realizzate una da Roberto d’Oderisio e l’altra da un ignoto pittore napoletano. L’originalità sta nella raffigurazione della Madonna che allatta il Bambino seduta a terra e non assisa su un Trono.

Madonna dell'Umiltà

Roberto d'Oderisio, Madonna dell'Umiltà, circa 1340-1345, Museo di Capodimonte, Napoli (Italia)

Con questo piccolo assaggio di Medioevo vi rimando alla prossima scoperta di un altro artista custodito nel Museo di Capodimonte.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(gennaio 2016)

Tag: Annalaura Uccella, Simone Martini, Italia, Rinascimento, Umanesimo, Napoli, Museo di Capodimonte, Maria Amalia di Sassonia, Porcellana di Capodimonte, Regno di Napoli, Roberto d’Angiò, San Ludovico da Tolosa, Basilica di San Lorenzo Maggiore, Giovanni XXII, Bonifacio VIII, Madonna dell’Unità, Bartolomeo Pellerano, Roberto d’Oderisi, polvere di lapislazzuli.