La strega in Brianza
Un viaggio fra inquisitori, roghi e leggende popolarie

La credenza nelle streghe, si può dire, è vecchia quanto il mondo: abbiamo storie di streghe e maghe in molti miti antichi, la figura più famosa è probabilmente quella di Medea, la vendicativa amante dell’Argonauta Giasone. Ma chi è la strega? Il nome deriva da «strix», che designa un uccello notturno come la civetta o il barbagianni. Nell’antichità, la strega è colei che, mediante la magia, compie il male, e nell’Impero Romano è condannata appunto per i delitti a lei ascritti, senza connotazioni religiose. È solo col Cristianesimo che la strega viene condannata perché, venerando il diavolo al posto di Dio (è il diavolo infatti che insegna a queste donne le arti magiche), e quindi abiurando la Vera Fede, si pone come eretica.

L’immagine della strega data alle fiamme (e costretta lei stessa, o la sua famiglia se ella è indigente, a pagare la catasta di legna per il rogo) è tipica dell’Europa tra il Quattrocento e il Seicento (con un’appendice successiva a Salem, negli Stati Uniti). La Chiesa del X secolo, infatti, non si occupa delle streghe, anzi, viene raccomandato ai confessori di non credere alle storie di donne che si incontrano nottetempo col diavolo in quanto sono solo chiacchiere e sciocchezze: si tratta di rimasugli di paganesimo. Il primo provvedimento contro le streghe viene tradizionalmente fatto risalire al Papa Innocenzo VIII che, con la bolla Summis desiderantes affectibus del 1484, dichiara che le streghe vanno eliminate perché costituiscono un vero e proprio flagello. Tre anni dopo, i frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer pubblicano il Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe), un manuale che insegna a reprimere l’eresia, il paganesimo e la stregoneria. In una società dominata dagli uomini, le donne (il Malleus Maleficarum fa erroneamente derivare il termine «femina», «donna» da «fe+minus», «fede minore»: le donne, a causa della loro debolezza e a motivo del loro intelletto inferiore, sono per natura predisposte a cedere alle tentazioni di Satana) hanno conoscenze che gli uomini non possiedono e che quindi temono: le donne conoscono erbe che possono usare – ed usano davvero – per preparare intrugli o veleni. I secoli dal Quattrocento al Seicento sono inoltre segnati da una sanguinosissima serie di guerre di religione, e l’eresia viene presentata come un cancro, una fonte di discordia, di conflitto e di guerra, che mina la stessa unità della Nazione: per questo quest’epoca viene segnata dal fenomeno della «caccia alle streghe».

Le streghe sono donne che si recano a tregende o sabba (parola, quest’ultima, di origine incerta, che secondo alcuni studiosi deriverebbe dall’ebraico «sabbat», cioè «sabato», giorno sacro per gli Ebrei); il sabba è un incontro notturno tra il diavolo e le streghe, che vi si recano viaggiando in groppa ad animali demoniaci grazie ad un magico unguento (anche qui vi è un rimando al mondo classico: nell’Asino d’oro di Apuleio si parla di una donna che si trasforma in un gufo grazie ad un unguento e può così raggiungere in volo il suo amante). I sabba si tengono in luoghi isolati, come le cime dei monti o le rovine, spesso dove si trova un grande albero: qui si mangia, si beve, ci si lascia ad una sfrenata libertà di costumi (soprattutto di natura sessuale), come in un Paese di Cuccagna, un mondo alla rovescia dove scompaiono tutte le distinzioni sociali ed economiche, non c’è più padrone né servo, non ricco né povero, ma tutti sono tra loro uguali.

Se c’è una pestilenza, una carestia, un danno grave, la strega è un ottimo capro espiatorio: di più, ci sono processi in cui alcune donne, di propria spontanea volontà e senza neppure il ricorso alla tortura, ammettono apertamente di essere streghe e di essersi recate al sabba (la conoscenza di una strega riguarda solo le erbe, comprese quelle che provocano visioni o stati allucinatori – visioni che una donna semplice e illetterata, quale è quasi sempre una strega, potrebbe facilmente confondere con la realtà).

La grande persecuzione contro le streghe avviene principalmente nelle zone di confine tra il mondo cattolico e il mondo protestante: in Italia, quindi, sulle Alpi; a Benevento e in Sicilia, nessuna strega sale sul rogo. In Friuli, addirittura, ci sono uomini che si professano stregoni, ma che sono dalla parte del «bene» perché combattono contro le streghe cattive. Si ha addirittura il caso – e siamo in pieno Seicento, dunque nel momento in cui si è scatenata con più violenza la lotta contro le streghe – di una strega fiorentina, Costanza, non solo assolta, ma addirittura risarcita! Persino l’Inquisizione Spagnola non è così terribile come la vulgata vorrebbe far credere: in Francia, per esempio, si è ucciso di più (per non parlare della Svizzera, sotto quest’aspetto una delle regioni più pericolose d’Europa). Bisognerà aspettare il Settecento perché la caccia alle streghe, in seguito ad un profondo mutamento della concezione della giustizia, abbia finalmente termine.

In Brianza, la persecuzione delle streghe – a giudicare dalla documentazione giunta fino a noi – non è stata virulenta: è testimoniato un unico rogo, oltretutto di un uomo, avvenuto a Monticello. Bisogna però dire che la documentazione in nostro possesso è lacunosa in quanto, nella Milano dell’Illuminismo, i verbali dei processi per stregoneria sono stati bruciati: ci si è vergognati di aver dato credito ad assurde dicerie e si è voluto cancellarne persino il ricordo. Non possiamo quindi affermare se i roghi siano stati uno solo, o dieci, o cento…

La persecuzione contro le streghe, praticata anche da Santi popolarissimi e amati dalla gente, come San Carlo Borromeo (l’austero Arcivescovo di Milano), ha lo scopo principale di… salvarle: prima di essere bruciate sul rogo vengono confessate, così la loro anima ha diretto accesso al Paradiso. Anche in questo caso, però, ci sono voci dissonanti di chi grida che le streghe non hanno bisogno del rogo, ma dell’elleboro (l’erba che si dà ai pazzi): molte streghe – lo si è ricordato più sopra – ammettono spontaneamente e senza reticenze la loro partecipazione ai sabba, e sono realmente convinte di averne preso parte, ma solo perché hanno mangiato sostanze allucinogene che hanno provocato visioni poi scambiate per realtà. Si è anche riusciti ad identificare le erbe che avrebbero potuto provocare questi stati allucinatori, tutte erbe tipiche della Brianza. Oltretutto, le denunce di stregoneria sono sporte dalle stesse donne (la vicina di casa, la parente…), mosse spesso da invidia o gelosia.

Nella cultura brianzola, le streghe sono essenzialmente coloro che predicono il futuro (cosa vietata nel Cristianesimo). Due sono i termini dialettali con i quali vengono designate: «stria» (colei che conosce il futuro, spesso negativo) e «stroliga» (cioè «astrologa»: è la zingara, che legge il futuro e – fatto non troppo raro – rapisce i bambini). Significati analoghi si ritrovano nei termini con cui sono designate le streghe in Francia («sorcière», «colei che getta le sorti», ovvero che prevede il futuro) ed in Germania.

Ci sono molti racconti popolari che riguardano le streghe, racconti che molti dei nostri anziani ricordano ancora e che spesso ritengono realmente avvenuti.

Un primo racconto è ambientato lungo il corso del Lambro, fiume brianzolo per eccellenza. Un pescatore, a mezzanotte, scorge tre donne – tra cui sua moglie – che salgono sulla sua barca e si allontanano dopo aver pronunciato alcune parole magiche. Incuriosito, la notte successiva decide di nascondersi nella barca e giunge in uno splendido palazzo, con un lussureggiante giardino, dove si sta svolgendo un sabba. Alle luci dell’alba, però, tutto scompare: donne, palazzo, giardino, ed il povero pescatore si ritrova solo, costretto ad un lungo e faticoso viaggio di ritorno verso casa.

In effetti, lungo il Lambro in passato c’erano davvero ville signorili dove venivano date feste e banchetti che duravano notti intere, ma il fatto che racconti simili si ritrovino in ogni parte d’Italia ci fa dubitare seriamente che vi sia una qualche attinenza con vicende accadute realmente in Brianza.

Un altro racconto narra di un contadino che, di notte, scopre tre streghe sopra un albero di noce che ha nel suo campo. Subito, pianta nel tronco dell’albero un chiodo, cosicché le streghe rimangono intrappolate magicamente. Allo spuntar dell’alba, le donne si mettono ad urlare disperate, non potendo più andarsene con le tenebre. A liberarle interviene il parroco, che convince il contadino a togliere il chiodo e permettere così alle streghe di dileguarsi.

Il fatto che sia proprio un uomo di Chiesa ad intervenire in soccorso delle streghe, fa supporre che il racconto sia nato in un’epoca in cui alla stregoneria non si credeva più e non si sentiva il bisogno di distruggerla.

Un terzo racconto si ambienta anch’esso presso un albero di noce, pianta che tutti un tempo possedevano. Alcune streghe cantano e danzano intorno al tronco dell’albero. Il proprietario dell’albero, un contadino che viene definito «sciocco», le scorge e scappa in preda al terrore. Al mattino, scopre che le streghe gli hanno rubato la legna.

A noi, una cosa simile può far sorridere, ma un tempo la legna da ardere era la principale fonte di ricchezza delle classi contadine. Inoltre, a differenza dei due precedenti, questo terzo racconto potrebbe essere vero: per impadronirsi della legna, i nostri antenati mettevano in pratica le idee più bizzarre e fantasiose, persino inscenare un finto sabba per spaventare ed indurre alla fuga il proprietario.

Ma la strega brianzola più famosa è senza dubbio la Gibiana, festeggiata l’ultimo giovedì di gennaio, il giorno in cui in Brianza avvenivano i sabba (Gibiana significa appunto «donna del giovedì»). Il rogo della Gibiana si tiene a Cantù, ma la tradizione è viva in tutta la regione, cosicché il «culto» della Gibiana è lo spartiacque tra la Brianza e il resto del mondo – sebbene vi siano figure simili alla Gibiana in tutt’Italia –. Il falò che ricorda il suo rogo è inoltre un momento di festa, il «Carnevale della Brianza»: i bambini corrono per le strade, e poi di stanza in stanza nelle case, battendo tra loro mestoli e pentole di metallo perché il baccano spaventa e allontana le presenze malefiche; si mangia il risotto con la «luganega» (la salsiccia) lasciandone un piattino sul gradino del camino perché la Gibiana, che di notte si cala in ogni casa, si possa sfamare, altrimenti d’estate si vendicherà mandando sciami di moscerini (ricordiamo che Belzebù, uno dei nomi del diavolo, significa proprio «Signore delle Mosche»).

La Gibiana è una donna insieme buona e terribile: perseguita le zitelle lasciando della crusca davanti alla porta delle loro case, ma garantisce alle ragazze da marito di sapere se si sposeranno entro l’anno (si lancia una pantofola verso la porta di casa: se la pantofola cade con la punta rivolta verso la porta, le nozze sono in arrivo). E, in Brianza, proprio gennaio è il mese preferito per i matrimoni.

La Gibiana ha i tratti delle divinità minori pre-cristiane che si occupavano dei campi e della fecondità, e che solo nel Medioevo verranno demonizzate. Ella testimonia la persistenza nella Brianza antica dei riti pagani di fertilità: non fu strega all’inizio, lo divenne in seguito, quando il Cristianesimo scalzò il paganesimo e tutti i riti non Cristiani vennero ascritti all’opera del demonio.

(gennaio 2015)

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