Giorgia Meloni a Basovizza
Nel ventennale del ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata per attirare migliori attenzioni sulle vicende del confine orientale promuovendo dovuta giustizia e verità definitive

L’indimenticabile Vescovo di Trieste e Capodistria degli anni bui di guerra e dopoguerra, Monsignor Antonio Santin, aveva ammonito con lucida preveggenza che «le vie dell’iniquità non possono essere eterne» anche se non avrebbe potuto ragionevolmente ipotizzare quali sarebbero stati i tempi di un’attesa che, viste le circostanze, si annunciava lunga, angosciosa e difficile. Oggi, trascorso un complesso e contrastato ottantennio da quella stagione di sangue e di tragedia, è possibile guardare a quella profezia del celebre Presule, se non altro con la consapevolezza di un’Italia governata da una nuova fede patriottica, e soprattutto, all’insegna di un impegno altrettanto innovativo, fonte di speranze non effimere, e di consensi finalmente convinti.

Queste riflessioni sono emerse in maniera di tutta evidenza nelle menti e nei cuori di tanti patrioti, non soltanto giuliani e dalmati, ma di tutte le parti d’Italia. Ciò, dopo avere ascoltato la nobile allocuzione di Giorgia Meloni pronunciata dal Sacrario Nazionale di Basovizza, e cioè da un luogo che vide, assieme a tanti altri del comprensorio istriano, fiumano e dalmata, il sacrificio di troppe vittime, cui si poteva imputare la sola «colpa» di amare la Patria, ripetutamente ricordata nelle iniziative del 10 febbraio. Conviene dirlo con forza e convinzione: il Capo del Governo, con visibile e partecipe commozione, non ha lasciato spazio ad alcuna esegesi e interpretazione difforme, perché ha voluto inviare, proprio da quel luogo assai simbolico, un messaggio di fede, e prima ancora, un impegno volto a correggere, per quanto possibile, l’errore di un silenzio durato troppo a lungo, e conseguentemente, di connivenze altrettanto palesi.

La Legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo di Esodo e Foibe, e più generalmente delle «complesse vicende del confine orientale», compie vent’anni, e se non altro ha contribuito, come da premessa di Giorgia Meloni, a suscitare crescenti emozioni nel cuore di tutti gli Italiani degni di questo nome, attraverso un crescendo di partecipazione, e conseguentemente, di auspici. Lei stessa ha ricordato di avere partecipato a tante iniziative del Ricordo, tanto da giovane quanto da adulta, per finire all’odierna realtà di un intervento quale Presidente del Consiglio, cosa che una volta non avrebbe mai immaginato, ma che oggi consente di assumere un impegno solenne, cominciando da quello di trasmettere alle nuove generazioni la memoria di ciò che accadde, onde permanga sempre.

Rivolgendosi ad astanti e distanti, con riguardo prioritario al mondo dell’Esodo e agli eredi delle vittime, Giorgia Meloni ha detto, sulla scorta di un’espressione mazziniana, di considerarli una «famiglia del cuore» perché protagonista di un Amore per la Patria perduta, perpetuato – se non altro – nel dolore per la sua perdita. Diversamente dal vecchio assunto ottocentesco dell’Abate di Lamennais secondo cui «l’esule è sempre solo», ha voluto precisare che il pianto e la storia dei profughi giuliani, istriani e dalmati coincidono perfettamente col suo modo di sentire e di pensare, nell’ambito di una comunanza ideale che viene da lontano, testimoniata dalla sua evidente commozione.

Il Capo del Governo ha fatto alcuni esempi probanti. In primo luogo ha citato Monsignor Ugo Camozzo, ultimo Vescovo di Fiume italiana, che al momento di partire per l’Esodo divise in tre pezzi la propria bandiera tricolore, avvolgendovi Bibbia, Calice e Vangelo, per ricomporre la «Trinità» quando giunse nella nuova sede di Pisa, conservandola fino al momento di tornare alla Casa del Padre e dando disposizione di essere sepolto con quella stessa bandiera sul cuore, e con la Croce vescovile. Poi, ha rammentato Angelo Adam, un Ebreo di Fiume reduce dal campo tedesco di Dachau, ucciso dagli Slavi con tutta la famiglia dopo il fortunoso rientro dalla Germania e alle cui spoglie fu riservata la triste sorte di essere disperse dagli assassini. Infine, ha menzionato il caso di Odda Carboni, una signora trentanovenne infoibata a Vines (Albona), che si gettò da sola nella foiba – e non fu l’unica ad assumere tale comportamento eroico – levando alto e forte il suo grido di «Viva l’Italia» in faccia ai propri persecutori. Giorgia Meloni ha soggiunto di essere a Basovizza per ricordarli assieme a tutti gli altri martiri, e per chiedere perdono anche in nome delle vecchie Istituzioni per il lungo e colpevole silenzio circa le vicende del confine orientale.

Ha poi detto di trovarsi al Sacrario per rendere omaggio agli Esuli che decisero di lasciare ogni proprio avere pur di restare Italiani, ma senza abbandonare la propria identità che ne costituisce un DNA davvero incancellabile. Del resto, ha proseguito il Capo del Governo, gli Esuli «sono due volte Italiani, per identità e per scelta» avendo portato con sé un pugno di terra nativa o un pezzo dell’Arena di Pola: ben s’intende, oltre all’affetto per la terra avita, alle tradizioni e alla famiglia, «che nessuno può strappare». Ebbene, troppo spesso l’Italia non ha ricambiato questi alti sentimenti, come accadde nei noti episodi di Ancona o di Bologna, quando gli Esuli furono accolti dagli insulti di chi era prigioniero di un’ideologia per lo meno antipatriottica, e certamente anacronistica.

I «treni della vergogna» – come furono chiamati quelli che coincisero con tali incivili dimostrazioni – saranno ora esorcizzati, alla luce delle dichiarazioni di Giorgia Meloni, grazie a quello che è stato definito «treno del Ricordo», con un percorso di prossima effettuazione da Trieste a Taranto, e con presenze nelle maggiori stazioni per essere visitato da chiunque, non certo per dividere, ma per sanare la primigenia vergogna e per consentire il pieno ripristino del senso di solidarietà, fondamento primario della Nazione. Ecco un patrimonio da condividere anche con Slovenia e Croazia, nello spirito di una Gorizia unita che si appresta a diventare Capitale della Cultura Europea per il 2025, quale ulteriore degna celebrazione del ventennale cui perviene il «Giorno del Ricordo».

Oggi, il nuovo Parlamento della Repubblica intende ottimizzare quanto è stato fatto con la citata Legge del 2004, operando alacremente contro ogni giustificazionismo, riduzionismo e negazionismo, e tenendo presente, per l’appunto, che «si può fare sempre di più»[1]. In tale assunto, la storia italiana del confine orientale potrà fruire di nuove e massime attenzioni anche con l’istituzione del Museo Nazionale del Ricordo[2] che sorgerà a Roma, perché questa storia «appartiene all’Italia intera» che deve «avere la possibilità e l’occasione di dire grazie» al mondo esule.


Note

1 La celebrazione di Basovizza ha coinciso con la cerimonia tenutasi a Palazzo Chigi, auspice il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, con cui si è fatto luogo alla consegna di una dozzina di Medaglie d’Onore, di cui alla medesima Legge 30 marzo 2004 numero 92, riservate ai congiunti di vittime infoibate o diversamente massacrate dai partigiani titoisti, facendo ascendere a circa 1.500 il totale di quelle conferite a far tempo dall’entrata in vigore della predetta normativa.

2 La notizia dell’istituzione in parola è stata data dal momento pubblico, sempre in concomitanza col Giorno del Ricordo 2024. Al riguardo, è previsto un investimento nell’ordine di otto milioni di euro, distribuito negli esercizi finanziari compresi fra il 2024 e il 2026.

(maggio 2024)

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