Il Biennio Rosso
La violenza fu uno degli elementi
determinanti delle scelte politiche del nostro Paese nel
periodo successivo alla Grande Guerra, ad essa presero parte
non solo fascisti e socialisti, ma gruppi diversi, ostili
per ragioni diverse all’idea di democrazia
Il 1919 fu l’anno del forte spostamento a Sinistra non solo in Italia, ma in tutta l’Europa. Gli orrori della guerra avevano spinto molti a rifiutare quello Stato elitario «democratico-borghese» che l’aveva prodotta e di cui le masse popolari avevano conosciuto enormi sofferenze. A questa tendenza aveva contribuito anche il cosiddetto ceto medio che aveva preso parte a diverse agitazioni, ma quando la Sinistra assunse le posizioni più estremiste, indicando lo Stato bolscevico russo come un modello da seguire, e riteneva di poter ricorrere anche ai metodi della violenza per raggiungere il suo fine, una parte notevole dell’opinione pubblica, specie del Nord dove si erano avuti i maggiori scontri del Biennio Rosso, iniziò a spostarsi a Destra. Tale cambiamento venne rapidamente percepito da Benito Mussolini che si propose come un restauratore, sia pure poco ortodosso, dell’ordine pubblico.
Il partito socialista aveva nel ’19 aderito alla Terza Internazionale che prevedeva espressamente il ricorso alla lotta armata, ed aveva assunto anche alcune iniziative in questo campo (costituzione di una «forza armata proletaria» al Consiglio Nazionale dell’aprile 1920) nel corso del Biennio Rosso. L’estremismo dei socialisti era forse più verbale che reale, tuttavia i suoi appelli ad una rivoluzione bolscevica in Italia scossero l’opinione pubblica, anche quella che per motivi sociali non era pregiudizialmente contraria alla Sinistra. Filippo Turati al riguardo aveva espresso tutte le sue perplessità, e aveva previsto la reazione di una parte importante della società: «Di tutte quelle classi medie, quelle piccole classi, quei ceti intellettuali, quegli uomini liberi che si avvicinavano a noi, che vedevano nella nostra ascensione la loro propria ascensione e la liberazione dell’uomo, e che noi con la minaccia della dittatura e del sangue gettiamo dalla parte opposta». Scrisse alcuni anni dopo, nel 1922 il «Corriere della Sera»: «La violenza è quasi sempre un’arma che ferisce le mani di chi l’adopera: i socialisti che tiranneggiavano bestialmente l’Emilia con la loro dittatura spavalda e coi loro tribunali rossi ne sanno qualcosa. Ne potrebbero sapere molto domani i fascisti, se con gli incendi e coi ferimenti credessero, a loro volta, di governare la regione liberata».
Il 1919 aveva visto un numero limitato di scontri fra fascisti e socialisti, molto più numerosi erano risultati quelli fra Arditi e nazionalisti da una parte contro i socialisti. Gli Arditi costituivano un gruppo che sfuggiva ad una facile collocazione politica, e che risentiva maggiormente di suggestioni emotive che di questioni di tipo strettamente politico. Gli Arditi comunque erano ovviamente orientati verso il nazionalismo, e risentivano molto della influenza di futuristi e dei dannunziani successivamente. Il gruppo politico futurista era sorto per iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti, un intellettuale anche lui difficilmente collocabile politicamente, ma che poteva essere considerato un anarchico-nazionalista. Il programma futurista era fortemente anticlericale, patriota, e presentava anche delle istanze di tipo socialista, socializzazione delle terre, imposta progressiva, minimi salariali.
Il primo importante episodio di violenza in quell’anno fu l’assalto all’«Avanti». Se la responsabilità di tale episodio è da attribuirsi ai nazionalisti (Arditi, futuristi, neo-nati fascisti), significativo è comunque che dalla sede del giornale furono esplosi diversi colpi di arma da fuoco, che provocarono fra l’altro la morte di un soldato posto a tutela dell’ordine pubblico. Lo scontro non aveva molto a che vedere con questioni di lotta sociale come nel periodo successivo dello squadrismo, ma si inseriva nel contrasto riguardante le questioni della guerra, e nel clima di ostilità nei confronti dei reduci tenuto dai socialisti e dalla Sinistra in genere. Una testimonianza significativa sulla campagna di denigrazione nei confronti di chi aveva combattuto ci è stata fornita da Emilio Lussu, importante leader dell’antifascismo, nel suo scritto Marcia su Roma e dintorni. Nei mesi successivi si verificarono nuovi scontri fra Arditi e socialisti, sempre per responsabilità dei primi, ma anche l’uccisione di un paio di carabinieri ad opera degli anarchici.
Nella seconda metà dell’anno iniziò lo scontro sociale più pesante. Nel luglio si ebbe una serie di scioperi e di saccheggi da parte di manifestanti che protestavano contro il carovita. Le proteste interessarono soprattutto le maggiori città del Centro-Nord, ebbero un carattere poco organizzato, tuttavia in alcune città i commercianti furono costretti a consegnare le loro merci alle locali camere del lavoro. I disordini furono duramente repressi dalle forze di polizia che provocarono la morte di una trentina di dimostranti e molte centinaia di arresti. Nello stesso mese si ebbe lo sciopero internazionalista a sostegno della Russia bolscevica che vide episodi di violenza sia da parte dei manifestanti sia da parte di gruppi di Arditi.
In ottobre lo scontro si spostò nelle campagne con l’occupazione delle terre da parte dei contadini in Sicilia; la protesta ebbe carattere violento e vide l’assalto alle residenze dei proprietari e di una caserma dei carabinieri; in provincia di Caltanisetta in particolare, si ebbe la morte di tredici contadini e di un militare nel corso di un assalto della folla alle forze dell’ordine. Il movimento a favore dei lavoratori agricoli, attivo anche nell’Emilia Romagna, vide non solo il contributo dei socialisti, ma anche quello dei popolari, attraverso le cosiddette leghe bianche, e quello altrettanto notevole delle associazioni degli ex-combattenti, ma fra le varie componenti ci furono dei contrasti che diedero luogo ad occasionali scontri fra manifestanti.
È utile tener presente che i governi Nitti e Giolitti cercarono di stemperare il contrasto sociale nel Paese, ricercando la collaborazione con i socialisti riformisti e attraverso delle iniziative a favore dei lavoratori, in particolare è da ricordare l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore, un decreto per l’utilizzo delle terre incolte, le assunzioni autorizzate dal sindacato.
Nel novembre di quell’anno si tennero le elezioni politiche che rappresentarono un grave insuccesso per le liste fasciste e i partiti politici che si richiamavano all’interventismo. I giorni precedenti e quelli successivi alle consultazioni videro episodi di violenza di cui furono protagonisti fascisti e Arditi. A seguito di questi vennero effettuati numerosi arresti fra i quali lo stesso Mussolini, che venne tuttavia rilasciato per l’intervento del Presidente del Consiglio Nitti. L’inizio dei lavori della Camera venne turbato da nuovi incidenti, con l’aggressione dei parlamentari socialisti che avevano accolto con provocazioni l’arrivo del Re, da parte di studenti e ufficiali monarchici, ma anche la morte di uno studente nazionalista, e l’assalto di un’armeria da parte dei manifestanti di Sinistra.
L’insuccesso elettorale dei fascisti frenò per un certo periodo gli scontri fra gruppi politici, tuttavia continuarono gli scontri fra forze dell’ordine e manifestanti, nonché di quest’ultimi con i cosiddetti crumiri. Una parte della popolazione non tollerava i disordini e il continuo ricorso alla cessazione del lavoro, e si costituirono associazioni di cittadini – nazionaliste in genere – che intendevano boicottare gli scioperi. I nazionalisti erano abbastanza presenti nel mondo studentesco e diedero vita a Roma nel maggio del 1920 ad una manifestazione per commemorare l’entrata in guerra dell’Italia, manifestazione degenerata in violenza con la morte di cinque guardie regie ed alcuni cittadini.
A Viareggio e a Bari si ebbero sommosse popolari durate alcuni giorni che videro l’assalto di caserme e il blocco delle ferrovie per impedire l’arrivo delle truppe di rinforzo. A Milano uno sciopero dei ferrovieri sostenuto dagli anarchici provocò ugualmente diverse vittime fra forze dell’ordine e cittadini. In Puglia si ebbero nuove occupazioni delle terre e assalti alle case dei proprietari. Il bilancio più pesante degli scontri si ebbe nel giugno ad Ancona. Un reggimento di bersaglieri che attendeva la smobilitazione ebbe l’ordine di partire per l’Albania, i soldati si ribellarono, arrestarono i loro ufficiali e chiesero il sostegno della locale camera del lavoro e dei partiti della Sinistra. Le organizzazioni operaie ed una parte della popolazione cittadina diedero inizio ai disordini, trafugarono le armi, diedero l’assalto ad alcune caserme ed eressero barricate nella città. I moti si allargarono ad altre città con assalti alle armerie e attentati ai treni. Il governo revocò l’ordine di imbarco dei bersaglieri e mantenne un atteggiamento relativamente prudente. Gli scontri comunque durarono alcuni giorni e si conclusero con una trentina di morti di cui una decina fra le forze dell’ordine.
Nello stesso periodo le questioni di politica estera continuavano ad agitare il Paese. A Trieste si era avuta notevole tensione fra Italiani e Slavi. Il movimento fascista era ben presente nella città, disponeva della sezione più numerosa d’Italia, e faceva sentire la sua voce sulla questione dalmata. L’episodio di violenza più noto è quello dell’incendio dell’hotel Balkan dove erano ospitate le sedi di alcune associazioni slave. Dopo una intensa sparatoria, con morti da entrambe le parti, l’edificio ormai vuoto, venne dato alle fiamme. Il numero delle vittime non fu alto, comunque suscitò emozione nel Paese, che viveva con preoccupazione la questione della Dalmazia e dei rapporti con la Jugoslavia. Pochi giorni dopo si ebbe l’assalto da parte di nazionalisti e fascisti alla tipografia dell’«Avanti» a Roma, nel corso del quale vennero aggrediti due deputati socialisti. Nello stesso giorno venne ucciso dai dimostranti un «volontario» che si era posto alla guida di un tram per boicottare lo sciopero degli autotranvieri.
L’occupazione delle fabbriche del Nord nell’estate di quell’anno, con la sua sfida diretta allo Stato, rappresentò il culmine del Biennio Rosso e costituì uno degli eventi che maggiormente scosse l’opinione pubblica; scrisse Giovanni Amendola nel settembre di quell’anno: «Come può darsi che lo Stato non venga direttamente tirato in questione dalla pratica ed attuale negazione di quella proprietà privata, che è garantita dalle sue leggi? O dalla violazione più completa del diritto personale, effettuata da individui e da organi che parlano e agiscono in nome di un diritto inconciliabile con l’ordine presente? O infine dall’impiego di forza armata contro la forza armata dello Stato ed in sostegno della violazione continua e radicale delle sue leggi ed in appoggio di una situazione la quale, mentre è incompatibile con l’istituzione statale italiana, obbedisce invece nello spirito e nelle forme alla volontà ed alle vedute pubblicamente manifestate da uno Stato che sinora non è italiano e cioè dalla Repubblica dei Soviet?».
Che il timore di una violenta degenerazione politica non fosse solo una preoccupazione di conservatori e borghesi è confermata da Giorgio Bocca nella sua biografia di Togliatti. Il giornalista riporta i piani militari degli occupanti, le guardie rosse, che disponevano di un gran numero di armi, e decisero di non portare alle estreme conseguenze l’azione per lo scarso sostegno di cui disponevano nelle zone di provincia. Alcuni giorni prima dell’accordo sindacale che doveva porre fine all’occupazione delle fabbriche, si ebbero a Torino degli scontri che costarono la vita a quindici persone di cui la metà fra le forze dell’ordine.
Particolarmente importanti nella degenerazione dello scontro politico che portò alla formazione dello squadrismo, sono considerati gli avvenimenti di Bologna e di Ferrara del novembre e dicembre 1920. Le guardie rosse a seguito di un attacco armato dei fascisti ad una manifestazione per l’insediamento della amministrazione socialista cittadina a Bologna, lanciarono alcune bombe colpendo gli stessi manifestanti e provocando la morte di dieci persone, contemporaneamente venne ucciso un consigliere della Destra. A Ferrara una manifestazione antisocialista venne fatta oggetto di colpi d’arma da fuoco e si ebbero tre caduti fra i fascisti e due fra i socialisti, il fatto provocò numerose proteste, e spinse la popolazione cittadina a simpatizzare con la Destra. Scrisse in quel periodo il «Corriere della Sera» a proposito delle nuove organizzazioni fasciste e dei socialisti «abituati a vincere senza incontrare resistenze, senza esporsi a pericoli, abituati a vedere la borghesia e il governo piegar sempre il capo ai loro ultimatum, oggi avvertono che c’è qualcosa di mutato».
Le agitazioni dei socialisti non avevano portato a dei grandi risultati, e il movimento operaio entrò in crisi, tale situazione venne confermata dai deludenti risultati della Sinistra alle elezioni amministrative del ’20 e a quelle politiche dell’anno successivo. Contemporaneamente i fascisti iniziarono a darsi una organizzazione militare superiore e a intraprendere la distruzione sistematica delle camere del lavoro e delle altre strutture del movimento dei lavoratori, il nostro Paese si avviava alla crisi finale.
Morti e feriti negli scontri politici 1920-1921 |
||||||
Anni |
Polizia e carabinieri |
Socialisti |
Fascisti |
|||
morti |
feriti |
morti |
feriti |
morti |
feriti |
|
1920 |
51 |
437 |
172 |
578 |
4 |
57 |
1921
(1° gennaio-14 maggio) |
21 |
53 |
48 |
149 |
35 |
146 |
Dati ufficiali forniti dal Ministero degli Interni e riportati in Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, 1965.