Riflessioni sul rapporto tra Chiesa e
Fascismo
Analisi sulle motivazioni che portarono la
Chiesa alla collaborazione e allo scontro col Fascismo
Se si eccettua il breve periodo iniziale in cui il programma dei Fasci di Combattimento propugnava un acceso anticlericalismo, negli anni della sua esistenza il Partito Fascista avrebbe sempre ufficialmente ribadito il suo rispetto per la Religione Cattolica. Nonostante fosse rimasto intimamente antireligioso, Mussolini comprese infatti che un avvicinamento alla Chiesa gli avrebbe permesso di sfruttare la sua influenza per aumentare il suo prestigio e raccogliere consensi all’estero e all’interno del Paese e, per contro, la Chiesa sperava invece di ottenere, attraverso la collaborazione col Fascismo, degli ampi vantaggi nel campo materiale e spirituale.
Effettivamente, fin dai primi anni del suo Governo, Mussolini concesse alla Chiesa numerose agevolazioni come l’aumento della congrua al clero, la reintroduzione dei crocifissi nelle scuole, l’inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nella riforma scolastica e il riconoscimento nel calendario di diverse festività religiose. Il culmine di questa politica si ebbe nel 1929 attraverso la stipula dei Patti Lateranensi che stabilì la nascita dello Stato del Vaticano, il riconoscimento del Cattolicesimo come religione di Stato e un risarcimento finanziario alla Santa Sede per l’espropriazione dei territori e dei beni della Chiesa avvenuta in epoca risorgimentale. Per la sua politica, Pio XI conferirà a Mussolini il 9 gennaio del 1932 l’Ordine dello Speron d’Oro. Eppure – nonostante la stretta collaborazione – non mancarono durante il Ventennio anche dei forti dissensi tra Chiesa e Fascismo.
Una delle cause di scontro riguardava l’educazione della gioventù per la quale si ebbe una grave crisi negli anni 1930-1931 al punto che si arrivò quasi alla rottura dei rapporti diplomatici tra lo Stato Italiano e la Santa Sede. Per tentare di monopolizzare la formazione dei giovani, i fascisti avevano avviato dei violenti attacchi contro l’Azione Cattolica per costringerla allo scioglimento tramite campagne di stampa diffamatorie e azioni squadriste contro i suoi circoli. A questi attacchi il Pontefice, per protesta, rispose con la sospensione delle processioni in occasione del Corpus Domini e con la redazione dell’enciclica Non abbiamo bisogno che – diffusa attraverso le ambasciate – denunciava al mondo la persecuzione dell’Azione Cattolica: «È con dolore indicibile che vedemmo una vera e reale persecuzione scatenarsi in questa Nostra Italia ed in questa Nostra medesima Roma contro quello che la Chiesa ed il suo Capo hanno di più prezioso […] in nessuno Stato del mondo l’Azione Cattolica è stata così odiosamente perseguitata (non vediamo quale altra parola risponda alla realtà e alla verità dei fatti) come in questa Nostra Italia». Se è vero che lo scontro per l’Azione Cattolica trovò un compromesso tra le due parti nel settembre 1931, è pur vero che questo accordo era destinato a essere precario come prova anche il fatto che vi furono in anni successivi altre schermaglie e scontri. È probabile che – se il regime fosse sopravvissuto – vi sarebbero state nuove azioni violente contro l’associazione cattolica.
L’altra causa di dissapori riguardò l’introduzione nel 1938 delle leggi razziali. Tale passo irritò il Pontefice perché questo veniva considerato un «vulnus» inferto al Concordato e, soprattutto, perché il razzismo era considerato dal punto di vista cattolico un vero e proprio errore dottrinale. Per contrastare questa politica, la Santa Sede si mosse in una duplice direzione: da un lato cercò di attuare un’«azione persuasiva sul Governo […] per far loro comprendere a quali tristi conseguenze conduce una politica razziale esagerata»; dall’altro, vennero inviate istruzioni speciali ai Vescovi per invitarli a denunciare i «danni e le conseguenze di un nazionalismo e di un razzismo esagerato». Vi furono perciò mobilitazioni del Clero contro il razzismo fascista: degno di nota, a tal proposito, il discorso del Cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster tenuto il 13 novembre 1938: «Se c’è, dunque, un concetto antimperiale ed antiromano, è indubbiamente questo mito razziale del XX secolo; il quale violentemente indietreggia di due millenni la storia del mondo»[1].
Ci si può domandare il motivo per il quale il Fascismo giunse a scontrarsi con la Chiesa in questi campi, rischiando di rompere i rapporti di buona collaborazione instaurati in precedenza. In ciò vi furono indubbiamente presenti delle motivazioni politiche: nel caso della soppressione delle associazioni cattoliche vi era il timore che queste potessero diventare il ricettacolo di antifascisti (in particolare di ex popolari), mentre l’introduzione di una legislazione razziale che discriminava gli Ebrei era in linea con la politica di avvicinamento alla Germania Nazista.
Vi furono tuttavia anche motivazioni più profonde di ambito ideologico: quello di «fare gli Italiani» dando loro un’«educazione guerriera». Riguardo alla formazione dei giovani, Mussolini ebbe difatti a dichiarare il 13 maggio 1929 in un discorso alla Camera: «Questi fanciulli devono essere educati nella nostra fede religiosa; ma noi abbiamo bisogno di integrare questa educazione, abbiamo bisogno di dare a questi giovani il senso di virilità, della potenza, della conquista, e soprattutto, abbiamo bisogno di trasmettere la nostra fede, le nostre speranze». Anche l’introduzione delle leggi razziali era diretta a questo scopo: fare degli italiani un popolo di conquistatori, specie dopo la costruzione dell’Impero in Africa Orientale (la Carta della Razza, oltre agli Ebrei, colpiva anche gli Arabi e gli Etiopi): «Gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono con il prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime» dichiarò Mussolini.
In ciò era però presente un’evidente contraddizione: da un lato, il Regime Fascista si proclamava Cattolico, dall’altro però Mussolini, privatamente, espresse opinioni profondamente negative sul Cristianesimo (e in particolare sul Cattolicesimo) considerato una religione che aveva diffuso «teorie debilitanti e svirilizzatrici», nonché un ostacolo alla trasformazione antropologica degli Italiani, e una delle cause delle scarse capacità guerriere di questi ultimi. [2] Probabilmente è anche per questa evidente inconciliabilità tra Stato Fascista e religione cristiana che il Duce in alcune occasioni affermò persino il proposito di disfarsi in futuro della Chiesa Cattolica: una volta affermò che il Papato era come un tumore maligno annidato nel corpo dell’Italia, e che bisognava «liquidare questo problema una volta per tutte»; sostenendo anche che Roma non era abbastanza grande per contenere contemporaneamente lui e il Papa. [3]
È tuttavia improbabile che Mussolini sarebbe passato dalle parole ai fatti: troppo forte era in Italia l’influenza della Chiesa per poter effettuare azioni persecutorie simili a quelle avvenute nel Terzo Reich o in Unione Sovietica; e il Fascismo non aveva quel surrogato di religiosità che ebbero invece il Nazismo e il Comunismo. Non potendo disfarsi della Chiesa, il Fascismo vi venne quindi a patti per sfruttarla per i propri interessi, ma nel contempo intendeva subordinarla a esso, e limitare le sue attività alle sole pratiche di culto. Da ciò nasce anche il paradosso del ruolo della Chiesa durante il Ventennio: da un lato complice del Fascismo nell’aumentare il suo potere e il suo prestigio, ma dall’altro sua nemica nell’ostacolare le sue aspirazioni totalitarie.
1 Confronta Mario Avigliano-Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli Italiani che si ribellarono a Mussolini. 1925-1943, Il Mulino, Bologna, 2023, pagine 322-323.
2 Confronta Aurelio Lepre, Mussolini l’Italiano, Arnoldo Mondadori, Milano 1995, pagine 203-204 e 290.
3 Confronta Denis Mack Smith, Mussolini, Fabbri Editori, Milano 1995, pagina 359.