Dalle Alpi al mare in cerca di fortuna
La Compagnia dei Caravana: secoli di
presenza bergamasca a Genova, impegnata nelle attività
portuali
Dopo la metà del Trecento, nonostante disordini politici e calamità naturali come la peste nera, Genova si impegna per una radicale trasformazione delle proprie strutture portuali: i pontili in legno vengono ricostruiti in pietra, il molo che difende lo specchio acqueo cittadino dalle tempeste viene rinforzato, la Lanterna subisce miglioramenti e riparazioni.
Vedendo migliorata la principale struttura propulsiva della vita economica cittadina, le comunità mercantili straniere presenti a Genova diventano esse stesse veicoli di benessere. Mercanti ebrei favoriti dall’abbandono di ogni tipo di politica antigiudaica da parte della Repubblica, mercanti francesi, fiamminghi, catalani, ma anche lombardi, fiorentini, senesi, lucchesi e piacentini si segnalano per i rapporti di fattiva collaborazione commerciale che riescono ad instaurare tra Genova e i loro centri di origine.
L’apertura politica verso gli stranieri va di pari passo con la necessità di manodopera specializzata in grado di educare, addestrare ed aggiornare professionalmente le masse giovanili provenienti dalle riviere liguri; ecco che dalle comunità oltremontane giungono esperti in grado di convogliare in città nuove conoscenze tecnologiche.
Questo fenomeno si inquadra in un contesto generale già favorevole alla presenza professionale straniera in città. Nella Genova medievale esistono infatti alcune arti esercitate prevalentemente da stranieri: medici e speziali sono per lo più forestieri; dalla Lombardia e dalla valle di Lugano arrivano i muratori, ancor oggi chiamati in dialetto «massacani» in omaggio alla loro antica provenienza dalla valle di Massaca; l’industria della carta nella valle di Voltri deriva direttamente dall’immigrazione artigiana proveniente da Fabriano.
È però agli immigrati che hanno una specializzazione nelle occupazioni legate alla navigazione che vengono concessi, in virtù dell’importanza della loro attività, gli sgravi fiscali più consistenti: tra costoro la presenza di facchini portuali provenienti dalle valli di Bergamo e dai laghi lombardi è altissima. In breve tempo questa categoria di addetti – che sin dagli inizi lavora al ponte del pedaggio – riesce a raggiungere il monopolio in quella che è la più importante tra le attività di movimentazione portuale: scaricare e movimentare all’interno della cerchia doganale le merci provenienti dall’estero.
È indubbiamente la città stessa, con la sua particolare conformazione urbanistica, a creare la necessità di una rete di addetti in grado di movimentare le merci ben oltre gli spazi relativamente angusti degli scali marittimi cittadini. Ecco quindi che, specie tra il XIV ed il XVI secolo, i facchini – chiamati a Genova «camalli» dal turco «hamal» («portatore») – non si limitano al semplice trasferimento delle merci nei magazzini portuali, ma ne seguono gli spostamenti in un areale molto più vasto, arrivando a rifornire, oltre ai dettaglianti cittadini, anche i luoghi di partenza delle carovane da soma dirette oltre gli Appennini.
Alcuni dati possono aiutare a comprendere l’importanza del fenomeno: tra ’500 e ’700 il numero dei lavoratori portuali impegnati in questa attività, e per lo più di nascita lombarda, oscilla tra le mille e le milletrecento unità, pari al 10% dell’intera forza lavoro maschile impiegata in città! Per quanto riguarda i secoli precedenti – il Trecento ed il Quattrocento – è lecito pensare che il numero degli addetti fosse sostanzialmente identico, anche perché, a parità di tecnologia impiegata, il volume dei traffici non era minore.
Dal punto di vista della specializzazione professionale, si può dire che non vi fosse merce a non avere il suo specifico addetto: trasportatori di pesci freschi e salati, olio, vino, grano, sale e, su tutti, i «ligaballe», specializzati nella confezione e nella riparazione delle merci in colli. L’inquadramento professionale, come si direbbe oggi, era estremamente vario: agli incaricati era concesso sia di esercitare il loro mestiere stabilmente, sia di avvicendarlo all’attività agricola nelle terre d’origine o alla marineria.
Tra questi gruppi, segnalata a partire dal Medioevo, spicca per la rigorosa organizzazione interna e i compiti specifici che le venivano affidati l’associazione dei facchini della Dogana, costituenti la Compagnia dei Caravana. Composta per lo più da lavoratori di origine lombarda fino al 1576, anno in cui il nuovo statuto prevedrà l’esclusiva provenienza bergamasca.
Il termine «Caravana», come molti altri del dialetto genovese, deriva dall’Oriente, e più precisamente dal persiano «Kairewan», sostantivo che designa una società o compagnia di mercanti, di viaggiatori o di pellegrini. Nel caso specifico della Compagnia dei Caravana il vocabolo individua quindi una compagnia di viaggiatori che si muove cercando occasioni di lavoro.
Un primo momento organizzativo della Compagnia, volto quasi certamente a razionalizzare una realtà da tempo presente a Genova, è rappresentato dai ventuno articoli contenuti in un documento datato 11 giugno 1340. In esso si precisa che i soci hanno donato un crocifisso ligneo alla chiesa di Santa Maria del Carmine per adornare la loro cappella dove hanno diritto di sepoltura; si fa inoltre menzione del patto di mutua assistenza tra gli appartenenti alla Compagnia che hanno l’obbligo di partecipare ad un certo numero di funzioni religiose, il divieto di bestemmiare e di prendere parte a risse. Di fondamentale importanza è poi la presenza di un patrimonio comune composto dai contributi che gli appartenenti versano alla cassa della Confraternita e dalle sanzioni pecuniarie inflitte a chi non rispetta le regole sociali; parte di questo patrimonio è riservato alla sovvenzione di sette posti-letto nell’ospedale della chiesa di Santa Maria Maddalena dove i soci hanno diritto di essere curati senza spesa alcuna.
L’insieme di regole sopra elencate doveva essere chiaramente di forte garanzia per dei forestieri riuniti per ragioni di lavoro in una città lontana dai loro Paesi di origine. In un contesto competitivo ed estremamente compatto come quello della Genova medievale non tardano a svilupparsi controversie con le altre compagnie di facchini, ma la tradizione di onestà e di serietà del nucleo bergamasco influisce favorevolmente sulle decisioni dei tribunali, anche se il ceto mercantile al potere si guarda bene dal favorire la formazione di un fronte unico dei lavoratori del porto. Da questo momento in poi la Società dei Caravana sarà in costante ascesa all’interno del tessuto cittadino genovese.
Nel 1487, in occasione della redazione dei nuovi statuti, si ha non solo il riconoscimento ufficiale del gruppo da parte del governatore del Duca di Milano Paolo Fregoso, ma anche l’aumento dei compiti di controllo della Societas Caravanae sui propri soci, caratteristica con cui la Compagnia si avvia a diventare un organismo che tutela un gruppo compatto e omogeneo sia per interessi professionali che per provenienza. Con gli statuti emanati dai Padri del Comune il 30 giugno 1576 la Compagnia entra a far parte del sistema delle corporazioni genovesi, con la possibilità di partecipare alla solenne processione del Corpus Domini.
Da questo momento in poi per entrare nella Compagnia dei Caravana addetta al trasporto «per le merce e le robbe che passano per la Dogana della mercantia» occorre aver compiuto diciannove anni ed essere «della loro gente e paesi», ossia bergamaschi.