Età della Pietra
Una stagione dell’umanità preistorica e
dei suoi valori spirituali nelle interpretazioni del
pensiero moderno: il caso di Mircea Eliade
La percezione del «totalmente Altro» di cui alle riflessioni filosofiche del Novecento, con particolare riguardo a quelle del grande pensatore romeno Mircea Eliade[1], esprime un riferimento al sacro che trascende ogni limite di spazio e di tempo. Infatti, si estende alle epoche lontane, ivi comprese quelle più remote, con specifici riferimenti alla cosiddetta Età della Pietra, e nel suo ambito, a quella relativamente più recente, vale a dire il Neolitico (in linea di larga massima, dai 15.000 ai 10.000 anni or sono).
A prima vista, si tratta di ricorrenti interpretazioni attualizzate, oltremodo lontane dalla «realtà effettuale» di Niccolò Machiavelli, legata in misura quasi drammatica ai problemi dell’epoca rinascimentale, sebbene il Segretario Fiorentino l’abbia elevata alla dignità di «categoria». In realtà ogni stagione umana, ivi comprese quelle preistoriche, non può prescindere, se non altro nelle interpretazioni compiute dall’esegesi contemporanea, da riferimenti che trascendono la materia, come quelli idonei a ravvisare nelle stesse culture primordiali la ricerca di valori, se non altro estetici o decorativi, ben diversi da quelli legati alla semplice sopravvivenza.
Nel linguaggio comune che contraddistingue talune interpretazioni della ricerca odierna, l’Età della Pietra si collega a forme esistenziali in cui la lotta per la vita, con riguardo prioritario a quella per la conquista del cibo, ebbe caratteri generalmente assorbenti. Non è sempre così: infatti, la presenza del senso religioso connesso a forme di trascendenza che si trova nelle culture più antiche è un fenomeno assoluto, come dimostrano i reperti a carattere plastico e figurativo in tante regioni del pianeta, e le attenzioni comuni per il culto dei morti, in cui è facile ravvisare la fede nella presenza di un aldilà e di una vita spirituale ultraterrena.
La pietra è naturalmente protagonista, anche nella fase preistorica della vita umana, ormai tanto lontana quanto difficile, confermando il carattere di straordinaria durata nei secoli e nei millenni, tipico di tanti materiali «nobili» utilizzati in architettura e nelle arti plastiche. La pietra è una protagonista ancora più apprezzabile quando si pensi ai limiti tecnici dei tempi lontani, con enormi difficoltà di estrazione e lavorazione che ne esaltano a più forte ragione i primigeni valori essenziali, senza dire dell’indisponibilità dei metalli, e in primo luogo del ferro, la cui scoperta e il cui uso furono largamente successivi.
A prescindere dai tanti esempi che potrebbero essere proposti sulla religiosità dei nostri antichi progenitori in Europa e nel mondo (fra quelli più noti, si pensi alla britannica Stonehenge e all’isola cilena di Pasqua, oltre che alle decine di migliaia di «dolmen» presenti nel solo Vecchio Continente), ciò che preme evidenziare è la ricorrenza costante di attenzioni per il mondo dello spirito, ben lumeggiata da Mircea Eliade anche nel riferimento a stagioni primitive caratterizzate da urgenze materiali oltremodo superiori a quelle odierne, se non altro nell’ambito della sopravvivenza e nell’impegno per i bisogni della vita quotidiana: un fattore che esalta i significati etici di quelle prime espressioni artistiche, e quindi spirituali.
Monumenti e sepolcri del Neolitico, e talvolta, anche di epoche precedenti, dimostrano che, sia pure in assenza di compiute formulazioni religiose, l’essere umano non può prescindere dal senso del «totalmente Altro» che è del tutto suo. Ciò, diversamente da quanto si deve dire per il mondo animale e per quello vegetale, che pure appartengono alla Creazione nella sua totalità, ma non fruiscono di una natura specialissima come quella dell’anima immortale.
Ecco un fattore davvero decisivo nell’affermare il carattere «diverso» dell’essere umano, che assurge al superiore «quid sui» in cui il momento dello Spirito statuisce la subalternità della materia, con un implicito rifiuto totale di ogni rinnovata tentazione marxista o nichilista.
In tutta sintesi, la fede in Dio, da quello delle Sacre Scritture del Vecchio e Nuovo Testamento al Grande Spirito delle culture indiane d’America, è una costante universale che ha trovato espressione finalmente compiuta nei valori non negoziabili della civiltà cristiana e nella Rivelazione. E la pietra, dal canto suo, ne costituisce una testimonianza perenne, nella sua continuità di «sostanza delle forme eterne» esaltata dalla poesia di Gabriele d’Annunzio[2] e capace di sfidare i millenni.
1 Mircea Eliade (Bucarest 1907-Chicago 1986) è stato un protagonista della cultura novecentesca nella sua Romania e nel mondo. Laureato in filosofia e lettere all’Università della sua città natale (1928), aderì al Movimento Legionario nel 1932 mutuandone una formazione di avanzato nazionalismo con forti legami spirituali, e quattro anni dopo divenne docente di Storia delle Religioni nell’Ateneo della capitale. Agli inizi del Secondo Conflitto Mondiale si trasferì a Parigi, dove visse il complesso periodo dell’occupazione tedesca, e più tardi prese dimora definitiva negli Stati Uniti, dove fu titolare di una nuova cattedra universitaria a Chicago e dove scomparve alla vigilia del suo ottantennio di vita. Ha lasciato un cospicuo contributo di romanzi, di saggistica e soprattutto di opere filosofiche, tra cui Aspetto del mito (1957) e Il sacro e il profano (1959) dove ha ravvisato nel fenomeno religioso una costante insopprimibile della cultura e della vita umana.
2 Nell’opera dannunziana, anch’essa novecentesca come quella di Mircea Eliade, la pietra assume definizioni decisamente innovative quali «altitudine insonne alata» o anche «carne delle statue chiare» quasi a metterne in luce caratteri animati, e come tali, in grado di parlare al cuore dell’umanità.