L’assassinio di Calvo Sotelo
L’uccisione del capo dell’opposizione
parlamentare spagnola preludio alla guerra civile terminata
in un bagno di sangue
Nella notte tra il 12 ed il 13 luglio 1936, due automezzi carichi di miliziani armati e di agenti del servizio segreto si fermarono al numero 89 di Calle Velàzquez, nella parte elegante di Madrid, residenza di un deputato dell’opposizione. Ne scesero due poliziotti che entrarono con la forza nell’appartamento ed invitarono il parlamentare a seguirli; prima di andarsene gli agenti tagliarono i fili del telefono e ripartirono col prigioniero che inutilmente invocava l’immunità parlamentare. Poco dopo il silenzio della calda notte madrilena fu rotto da un rumore di spari; erano i due colpi di pistola sparati alla nuca del deputato, il cui corpo fu poi gettato davanti ad un cimitero. La Spagna degli anni Trenta conosceva il terrorismo nelle sue forme più violente, ma quel cadavere non era di un qualsiasi attivista politico, bensì era quello di Josè Calvo Sotelo, quarantatré anni, leader dell’opposizione parlamentare spagnola e capo del partito di ispirazione monarchica Renovaciòn Española (Rinnovamento Spagnolo).
La violenza politica in Spagna era endemica dal 1931, anno della proclamazione della Repubblica; la nazione spagnola aveva fame di progresso, di democrazia e di benessere, tutte cose che né i governi conservatori né le dittature militari che si erano succedute dall’Ottocento avevano saputo dare. Purtroppo gli uomini politici repubblicani che dall’oggi al domani si erano trovati a dirigere un Paese di venticinque milioni di abitanti non erano abituati a guardare troppo lontano imbevuti com’erano di cultura massonica e radicale, nonché di un anti-clericalismo addirittura ridicolo nel suo fanatismo; erano convinti che bastasse scatenare le masse contro avversari ben individuati (la Chiesa, le classi abbienti, i nostalgici della monarchia) per ottenere automaticamente dei risultati positivi.
Tutto ciò portò ad una notevole instabilità politica, basti dire che dal 1931 al 1935 la Repubblica Spagnola conobbe ben ventisei crisi di governo, e ad una esplosione della violenza senza precedenti. La Repubblica infatti poteva contare sin dall’inizio sull’appoggio della potentissima F.A.I. (Federaciòn Anarquista Iberica), la centrale anarchica, che, con la sua appendice sindacale C.N.T. (Confederaciòn Nacional del Trabajo) contava centinaia di migliaia di iscritti, tutti facilmente mobilitabili e tutti convinti seguaci della violenza come metodo di lotta politica.
Basti dire che uno dei più prestigiosi leader anarchici era quel Buenaventura Durruti famoso perché negli anni Venti aveva assassinato l’Arcivescovo di Saragozza e che era, naturalmente, a piede libero. L’anti-clericalismo eccessivo che portava gli anarchici ad incendiare, pressoché indisturbati, chiese e conventi, e l’immobilismo degli instabili governi repubblicani, portarono ad una crescita dell’opposizione di Destra che si raccolse attorno a due partiti, il già citato Rinnovamento Spagnolo, di ispirazione monarchica e diretto da Josè Calvo Sotelo, e la maggiore Confederaciòn Española de Derechas Autònomas (Confederazione Spagnola di Destre Autonome), di ispirazione Cattolica e diretta dal giovane Josè Maria Gil Robles, all’estrema Destra vi era la piccola Falange Española fondata e diretta da Josè Antonio Primo de Rivera e che si ispirava al fascismo italiano.
I comunisti in Spagna rappresentavano anch’essi una esigua minoranza in quanto le forze di ispirazione repubblicana erano o socialiste o radicali o anarchiche, ma seguivano rigidamente le direttive del dittatore sovietico Stalin che premeva per una federazione delle forze progressiste e quindi essi furono i maggiori fautori di quel Fronte Popolare che portò in quel 1936 a riunificare tutte le forze della Sinistra spagnola, tranne gli anarchici che non partecipavano alle elezioni, ma appoggiavano la Repubblica dall’esterno e ne costituivano un po’ il braccio armato. Anche la Destra era abbastanza forte e fece la sua campagna elettorale in modo molto efficace, insistendo soprattutto sulla necessità di una pacificazione nazionale e chiedendo a gran voce la fine delle campagne anti-cattoliche e la punizione per gli autori delle violenze politiche.
Si votò col sistema maggioritario il 16 febbraio 1936 ed il Fronte Popolare con quattro milioni e duecentomila voti circa ottenne duecentosettantasei seggi, la Destra, con tre milioni ed ottocentomila voti ottenne solo centotrentadue seggi, i restanti trentaquattro furono spartiti tra nazionalisti baschi ed indipendenti. Il Fronte Popolare disponeva così della maggioranza assoluta di governo e poteva governare a suo piacimento, ma le classi disagiate, che avevano in massima parte dato il loro voto al Fronte e che avevano creduto che la loro situazione potesse cambiare dall’oggi al domani rimasero profondamente deluse; del resto il programma «tutto e subito» non era realizzabile da nessun governo, indipendentemente dal colore politico.
Questa delusione delle classi lavoratrici si tradusse ben presto in una forsennata ripresa degli scioperi, in cinque mesi di Fronte Popolare se ne ebbero trecentoquaranta, di cui addirittura centoventotto generali. Il governo, diretto dal repubblicano di Sinistra Casares Quiroga riprese la campagna anti-religiosa per sviare l’attenzione della popolazione ed il risultato fu una ripresa del terrorismo anarchico in tutta la Spagna, con centinaia di vittime, soprattutto sacerdoti e fedeli cattolici. Poi, con un colpo a sorpresa, il governo il 14 marzo 1936 sciolse la Falange (che alle elezioni del 16 febbraio aveva avuto solo quarantaquattromila voti corrispondenti allo 0,70%) e ne fece imprigionare i capi.
Gil Robles e Calvo Sotelo continuamente in Parlamento tuonavano contro il clima di violenza che sopraffaceva la Spagna e che vedeva il governo inerte, se non addirittura complice in quanto non poteva (e non voleva) rinunciare all’apporto politico e militante degli anarchici; e sarà proprio da un discorso pronunciato da Calvo Sotelo alle Cortes (il parlamento spagnolo) che partirà il meccanismo che culminerà con il suo assassinio.
Calvo Sotelo nel suo discorso si era limitato a fare una sterile elencazione di tutti gli episodi di violenza che si erano succeduti in Spagna dal 16 febbraio 1936 e che avevano visto come protagonisti o gli anarchici o gli Asaltos, una sorta di milizia finanziata dal governo; si trattava di dati non nuovi, che erano apparsi su tutti i giornali, ma dai banchi dei deputati governativi si scatenò un fuoco di fila contro di lui. Il famoso deputato delle Asturie, la comunista Dolores Ibarruri, detta la Pasionaria, più volte lo aveva apostrofato con un minaccioso: «È il tuo ultimo discorso!», lo stesso Presidente del Consiglio Casares Quiroga si era lasciato sfuggire che la violenza contro il capo del partito monarchico non sarebbe stata considerata un crimine. Di fronte a questa minaccia Calvo Sotelo aveva dato, alle Cortes, una risposta che avrebbe finito col decidere del suo destino, come riportato nel libro La guerra di Spagna, di Autori Vari, Edizioni Cremille, 1971. «Ho le spalle larghe – gli aveva risposto il leader dell’opposizione –, signor Casares Quiroga: lei è un’altra tempra d’uomo, sempre pronto alla sfida ed alla minaccia. Ho sentito due o tre suoi discorsi in vita mia, tutti pronunciati dallo stesso banco nel quale si trova ora e sempre ugualmente violenti. Prendo quindi atto delle sue minacce nei miei confronti, non ci mancava che questo. Ebbene, le ripeterò quello che disse San Domenico Silos al Re di Castiglia: “Sire, mi può privare della vita, ma niente di più”». Perciò, quando le pistolettate di un militante della Falange assassinarono un tenente della milizia Asaltos, fu quasi una conseguenza logica l’idea, partorita in questa milizia, che il farla finita una volta per tutte con i capi della Destra sarebbe stata cosa gradita al governo, ma Primo de Rivera era in prigione, Gil Robles al sicuro in Francia, restava Calvo Sotelo, avrebbe pagato lui per tutta la Destra.
L’uccisione di Calvo Sotelo gettò la Spagna in una profonda costernazione; non si trattava infatti di una morte come quelle che finora si erano avute nei conflitti tra fazioni o nel terrorismo anarchico anti-religioso, adesso ciascuno Spagnolo si sentiva minacciato e sentiva che la resa dei conti era vicina perché prima o poi sarebbe venuto il momento delle scelte. Le reazioni del governo furono ambigue, all’inizio negò la matrice politica del delitto, poi minimizzò la cosa, in seguito procedette all’arresto di alcuni Asaltos palesemente estranei all’omicidio, mentre i veri assassini si erano volatilizzati, e questo, agli occhi dell’opinione pubblica spagnola, non faceva altro che provare che gli autori dell’attentato godevano di complicità ad altissimo livello, forse addirittura fino alla Presidenza del Consiglio. Il 14 luglio si tenne a Madrid il funerale del deputato assassinato la cui salma, vestita di un saio francescano, per ventiquattro ore aveva ricevuto gli omaggi di una folla addolorata e silenziosa. Al funerale erano presenti tutti i capi della Destra; purtroppo la giornata finì in tragedia in quanto gruppi di anarchici e di Asaltos spararono sulla folla che assisteva alle esequie uccidendo due persone e ferendone decine. Quattro giorni dopo le guarnigioni dell’esercito di stanza nel Marocco e nelle Canarie si ribellarono al governo; era scoppiata la guerra civile: durerà novecentottantasei giorni e causerà seicentomila morti.