Donazione al Museo del Risorgimento di Lucca
La figura del patriota repubblicano
lucchese Pietro Barsanti
La stampa d’epoca che viene presentata stamani raffigura la fucilazione del patriota repubblicano lucchese Pietro Barsanti, avvenuta a Milano il 27 agosto 1870. È opera di Cesare Tallone, pittore che studiò all’Accademia di Brera e che esercitò una grande influenza sulla successiva generazione di artisti lombardi.
Tale stampa apparteneva allo scultore Gaetano Scapecchi (Lucca, 1° ottobre 1900-24 novembre 1975), che aveva compiuto il proprio apprendistato nello studio di Francesco Petroni, nipote di Urbano Lucchesi, altro grande scultore laico sensibile ai valori risorgimentali. Scapecchi, che era stato bersagliere, scolpì varie opere per i caduti della Prima Guerra Mondiale. Ne ricordo alcune: nel 1926 scolpiva una lampada votiva per il Monumento ai Caduti di Vorno. Nel 1929 realizzava una lapide in marmo per la facciata della chiesa di Migliano, nel comune di Fosciandora, sempre dedicata al dramma della Grande Guerra. Era anche autore dei monumenti ai Caduti di San Cassiano a Vico, di Mugnano e di Monsagrati, quest’ultimo raffigurante Santa Zita, con alla base un cippo dove – ci tengo a dirlo – è scritto anche il nome di mio nonno Zeffiro Pizzi, che nella I. G. M. attraversò il Piave per un viaggio di sola andata…
La stampa oggetto di questa donazione è poi giunta per successione ai due nipoti di Gaetano Scapecchi, Alessandro e Massimo, fra loro fratelli, che l’hanno donata al Museo del Risorgimento di Lucca con un gesto encomiabile che va a giovamento di tutta la nostra provincia. Tale opera è da ritenersi di grande valore simbolico e storico perché il caporale Pietro Barsanti appartiene al Pantheon del nostro Risorgimento.
Egli fu considerato il primo martire della Repubblica, per la sua sventurata e ingiusta fine voluta dalla Monarchia Sabauda. Venne descritto dalle cronache dell’epoca, alla sua morte, come un giovane poco più che ventenne, dalla tinta olivastra, con barba nascente e uno sguardo dolce e simpatico. Era nato il 30 luglio del 1849 a Gioviano, una piccola frazione di Borgo Mozzano, in provincia di Lucca.
Suo padre Vincenzo e sua moglie Teresa furono genitori di altre 4 figlie e di un altro maschio che tentò la fortuna migrando in America. Pochi anni dopo la nascita di Pietro, la famiglia si spostò a Lucca, dove Vincenzo Barsanti acquistò una casa in Via dei Borghi al numero 28 e aprì una drogheria.
Pietro Frequentò le scuole di Santa Maria Nera, gestite dai Chierici Regolari della Madre di Dio e successivamente si trasferì a Firenze, dove si avviò alla carriera militare nel collegio di San Girolamo delle Poverine Ingesuate; poi si trasferì nella Scuola Militare di Maddaloni, in provincia di Caserta. Finito il corso, il giovane Barsanti si arruolò nel Regio Esercito Italiano, dove ricoprì il grado di caporale. Di poco successivo fu il suo trasferimento a Reggio Calabria: qui aderì all’Alleanza Repubblicana Universale creata da Mazzini, che era riuscita, soprattutto dopo i fatti di Mentana del 1867, ad arruolare nelle sue file diversi militari, in particolare quelli di grado inferiore, fra i quali prevaleva un grande scontento. Lo scopo era rivoluzionario: abbattere la Monarchia e instaurare quella Repubblica che nacque solo nel 1946. All’inizio del 1870 si pensò fosse maturo il tempo della ribellione, mediante una serie di insurrezioni sparse nel Paese: fra queste le rivolte delle truppe di due caserme di Pavia. A quella avvenuta nella caserma del Lino, partecipò convintamente Barsanti. Fallite entrambe, scattò la repressione regia, che individuò nel nostro caporale di Gioviano il capro espiatorio, il quale, pur non avendo provocato alcun scorrimento di sangue, fu processato e condannato a morte. Fino a poco tempo fa, nel Ravennate e nelle Marche, risultavano attivi alcuni circoli politici intitolati a Pietro Barsanti. Nella toponomastica di Genova figura ancora la via denominata «Passo Barsanti Pietro – Caporale», che si colloca fra Via Caffaro e Corso Paganini.
Augusto Mancini celebrò la figura di Barsanti nel 1946 a Gioviano, nella piazzetta a lui intitolata, dove è collocata una targa con la sua epigrafe.
Non tutti sanno che le sue spoglie sono state riportate, dal Cimitero Monumentale di Milano, a Gioviano per la ripristinata festa del 2 giugno, nel 2003, grazie al Sindaco di Borgo a Mozzano di allora, Gabriele Brunini, all’impegno di Stefano Reali e del Senatore Del Pennino. Si riusciva così a realizzare il progetto che qualche anno prima Alfredo Petretti aveva ideato, coinvolgendo il Professor Domenico Maselli, allora deputato al Parlamento e che aveva visto la creazione di un comitato presieduto dallo stesso parlamentare, di cui facevano parte anche il già citato Gabriele Brunini e il sottoscritto. Gli intendimenti iniziali erano quelli di riportare i resti di Barsanti a Lucca e di collocarli insieme alle spoglie di Tito Strocchi. La mancanza di interesse da parte degli enti locali arrestarono l’iniziativa, ripresa meritoriamente e portata a buon fine, con la variante della collocazione dei resti del patriota nel suo paese natale di Gioviano, da parte dei responsabili del Comune di Borgo a Mozzano sopra citati.
Da registrare, però, che in tutti questi anni certi sedicenti progressisti non si sono dimostrati capaci di entusiasmi per questi sforzi di ricostruzione della memoria. Il loro interesse era solo per cose molto più grandi: ci si commuoveva solo davanti a posizioni superiori, come Europa, Mediterraneo, Umanità. E l’idea di Nazione veniva giudicata come un eufemismo, per non pronunciare la parola «fascismo». Curiosa deformazione, perché non si dà un solo caso di liberal democrazia moderna che non sia nata dentro lo Stato-Nazione. Mazzini e Garibaldi (che nessuno legge più) sono tra i padri nobili della Sinistra Italiana. Sono stati venerati tanti leader del Terzo Mondo – da Gandhi a Ho Chi Min a Fidel Castro – che erano prima di tutto dei patrioti. Abbiamo rispettato con una punta di invidia, nei nostri vicini francesi e inglesi, il sentimento di fierezza nazionale. «Right or wrong, my Country» («Che abbia torto o ragione, è il mio Paese») è un motto che condivideva anche Winston Churchill, avversario dei nazifascismi.
Ma c’è qualcosa di malsano nel pensare che tanti Italiani, che non si vergognano di pronunciare la parola Patria, siano idioti manipolati da mascalzoni. E inoltre occorre sempre domandarsi come costruire una convivenza civile, un futuro migliore, senza che una normale dialettica ci sottragga agli scontri antichi fra Guelfi e Ghibellini. Crediamo, invece, che le nobili cose, come questa donazione, contribuiscano a questo scopo.
Grazie ai signori Scapecchi, ci è permesso anche, in conclusione, di rilevare come Lucca, giudicata un’entità conservatrice, estranea alle vicende italiane e vista quasi come una zona franca della Toscana, aliena dal progresso della storia, fu invece percorsa, nel suo passato, da un filone culturale e politico indomito, in grado di smentire lo stereotipo di città bigotta e conformista.
Forse esagerato fu ciò che scrisse Carlo Paladini, sul suo giornale «Il Figurinaio», nel 1893:
«La provincia di Lucca fu quella che dette più martiri alla Riforma, più soldati a Garibaldi, più discepoli a Mazzini».
Ma l’abnegazione e il sacrificio dei vari Pietro Barsanti, Luis Ghilardi, Enrico Andreini, Tito Strocchi, Cleobulina Cotenna e la sua famiglia… e perché no: anche Giuseppe Pieri che lasciò la testa sotto la ghigliottina nel 1858 a Parigi, restano fissati nelle pagine della nostra storia.