Lenin, il rivoluzionario mistificatore
Gli scritti di Lenin risultavano poco
fondati e totalmente contraddittori con i suoi metodi di
potere
Nel corso della sua vita Lenin ha scritto molto, alternando dichiarazioni esplicite sui suoi propositi ad affermazioni oscure e ambigue, tentativi di darsi una veste democratica ricorrendo a dei sofismi. L’aspetto curioso della sua costante critica al «sistema borghese» e al suo formalismo democratico è che una volta preso il potere adoperò gli stessi metodi attribuiti ai suoi avversari portandoli alle estreme conseguenze. Gli scritti di Lenin fanno pensare alle affermazioni di certi gruppi religiosi dove perfezione morale e ipocrisia costituiscono un tutt’uno. Come molti marxisti Lenin non si interessava molto al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, l’obiettivo principale era la distruzione della odiata classe borghese considerata come un gruppo di esseri umani spregevoli non degni di vivere e partecipare alla vita della società.
Uno degli scritti che si caratterizza per essere più lontano dal programma effettivamente realizzato negli anni successivi è quello passato alla storia come le Tesi di Aprile, scritto alcuni mesi prima (aprile 1917) della conquista del potere; in esso si affermava: «Sopprimere la polizia, l’esercito e il corpo dei funzionari… Lo stipendio dei funzionari – tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento – non deve superare il salario medio di un buon operaio… E si pretende che io sia contrario alla più sollecita convocazione dell’Assemblea costituente!!». L’Assemblea Costituente venne effettivamente convocata, ma quando i bolscevichi presero atto di non disporre della maggioranza la chiusero dopo una sola seduta.
In un’opera di poco successiva (novembre 1918), La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky Lenin criticava il leader socialista rivoluzionario tedesco e affermava la necessità della «violenza rivoluzionaria del proletariato contro la borghesia» e continuava: «Non essendo lo Stato altro che un’istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno “Stato popolare libero” come aveva affermato il leader tedesco è pura assurdità: finché il proletariato ha bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell’interesse della libertà, ma nell’interesse dell’assoggettamento dei suoi avversari». Infatti Lenin riconobbe che le istituzioni parlamentari al tempo dello Zar (la Duma) erano state utili alla conquista del potere. Interessanti nella stessa opera le considerazioni sui soviet: «La democrazia proletaria, di cui il potere dei Soviet è una delle forme, ha dato appunto alla stragrande maggioranza della popolazione, agli sfruttati e ai lavoratori, uno sviluppo e una estensione della democrazia finora mai visti nel mondo», tacendo ovviamente che sei mesi dopo la conquista del potere le celebri assemblee dei lavoratori furono private dei loro poteri e sottomesse al controllo del Governo. Il proletariato, si affermava, non può «vincere senza spezzare la resistenza della borghesia, senza reprimere con la violenza i propri avversari, e che dove vi è “repressione violenta”, dove non vi è “libertà”, naturalmente non vi è democrazia».
Uno dei concetti più ripetuti da Lenin è che gli stati, compresi quelli di tipo democratico, nascondono dei poteri che sfuggono alla massa e sono rigidamente controllati da capitalisti e proprietari terrieri. Lenin li elenca, la ristretta classe dei possidenti dispone delle maggiori tipografie, dei locali migliori in cui riunirsi e di altri mezzi con cui sovrastare in maniera occulta le altre classi sociali. Il concetto non era del tutto nuovo, anche i socialisti moderati avevano messo in luce questo aspetto, ma era molto parziale, i capitalisti disponevano di alcune situazioni di vantaggio ma erano compensate da altre non meno importanti. I capitalisti e l’alta borghesia costituivano un gruppo ristretto di persone ed avevano pertanto un peso elettorale assolutamente minimo in confronto alla massa dei lavoratori dipendenti. Questa è la ragione per la quale le democrazie nel corso del tempo hanno realizzato nella gran maggioranza dei casi un equilibrio fra le varie componenti sociali ed economiche. Lo sfruttamento dei lavoratori salariali sotto il sistema capitalista è sempre rimasto un mito senza alcun fondamento storico, le differenze sociali si sono nei paesi liberali molto ridotte ed una abbondante quantità di statistiche storiche ce ne dà un’ampia conferma.
Non molto tempo dopo (marzo 1919) Lenin scrisse il Progetto di programma del PCR(b), sigla che sta per Partito Comunista Russo (bolscevico). In questa opera si mette in luce che la confisca delle terre a favore dei contadini doveva essere solo un provvedimento provvisorio, come in effetti fu in Russia, per creare la «collettivizzazione delle terre» e le grandi aziende agricole di stato che riducevano drasticamente il benessere e l’autonomia dei contadini. Nella stessa opera si parlava di soppressione del commercio privato, provvedimento già in atto nel paese che aveva, senza essere riportato nello scritto, costretto milioni di cittadini ad abbandonare le città per sfuggire alla fame essendo il razionamento e la distribuzione del cibo riservato in pratica ad alcune categorie protette. Non mancano anche in questo testo delle deformazioni della realtà della Russia sovietica: «Il potere sovietico, per la prima volta nella storia, non soltanto facilita in ogni modo l’organizzazione delle masse oppresse dal capitalismo, ma ne fa il fondamento, costante, e permanente di tutto l’apparato dello Stato, dal basso in alto, dell’apparato locale e di quello centrale. Solamente in tal modo si realizza di fatto la democrazia per la maggioranza del popolo, cioè la partecipazione effettiva della stragrande maggioranza del popolo, dei lavoratori, alla direzione dello Stato», affermazione singolare, essendo i sindacati stati posti sotto il controllo governativo, i cittadini privati di qualsiasi forma di rappresentanza, gli oppositori (anche di sinistra) arrestati o fucilati e la stampa sottoposta al controllo ferreo dello stato. Lenin travisando in maniera plateale la realtà affermava che nell’Unione Sovietica «l’organizzazione delle elezioni e la possibilità di indirle più spesso, e così pure le condizioni per la rielezione e la revoca dei deputati, sono assai più facili e più accessibili ai lavoratori della città e della campagna di quanto non lo siano nelle migliori forme di democrazia borghese… In nessuno, degli Stati democratici borghesi le masse lavoratrici hanno mai goduto del diritto di voto, formalmente concesso loro dalla borghesia, ma di fatto assai ristretto, in una misura anche solo approssimativamente così larga, frequente, generale, semplice e facile, quanto con il potere sovietico… si deve al tempo stesso invitare tutta la popolazione lavoratrice a partecipare in modo autonomo all’amministrazione dello Stato». In questa opera si parlava dell’opera nefasta della burocrazia, in un paese dove tutto è disposto e controllato dall’alto, i burocrati godevano di privilegi e di un potere immenso, ma Lenin nelle sue astrazioni utopistiche parlava di «lotta contro la burocrazia» che in pratica il governo comunista stesso aveva creato. Altro tema affrontato è quello della religione e delle istituzioni ecclesiastiche. Lo stato non doveva limitarsi a realizzare la separazione fra potere della Chiesa e potere dello Stato, ma combattere la «propaganda religiosa». Nell’opera si accenna anche alla «auto-educazione e auto-formazione degli operai e contadini» ma questa avrebbe dovuto avvenire non in maniera autonoma ma ovviamente sotto lo stretto controllo delle autorità.
Wladimir Aleksandrovich Serow, Lenin conversa coi contadini
Sempre nel 1919 Lenin si accinse a scrivere un’altra opera, Sullo Stato. In questa opera emergono le fantasie estremamente singolari dell’autore, che scriveva: «In Svizzera e in America impera il capitale, e ad ogni tentativo degli operai di ottenere un miglioramento più o meno serio delle loro condizioni si risponde immediatamente con la guerra civile». Dimenticava che negli Stati Uniti fu il capitalista Henry Ford a favorire gli aumenti salariali consistenti spontaneamente senza l’intervento dei sindacati. Lenin riprese poi un’affermazione già espressa da Karl Marx: «La massa che, non avendo proprietà, non possedendo nulla all’infuori delle proprie braccia, s’immiserisce a poco a poco», quando in quegli anni in America i lavoratori disponevano di una quantità di beni di gran lunga superiore a quelli dell’Unione Sovietica e le retribuzioni superavano di oltre venti volte quelle dei colleghi russi. Ma la caratteristica principale dell’opera è un’altra, ritorna nell’opera l’immagine idilliaca della società precedente alla realizzazione dello Stato, molto adoperata dai vecchi socialisti utopisti. «Vi fu un tempo in cui lo stato non esisteva. Esso apparve dove e quando apparve la divisione della società in classi, quando apparvero gli sfruttatori e gli sfruttati… Se prendete una opera qualunque sulla civiltà primitiva incontrerete sempre delle descrizioni più o meno precise, degli accenni e qualche ricordo di tempi che erano più o meno simili a un comunismo primitivo, quando la società non era divisa in possessori di schiavi e schiavi».
Due anni dopo Lenin si accorse che lo stato da lui creato presentava degli elementi negativi, il paese si avvicinava al momento più duro della carestia e il capo comunista ritenne che fosse necessario prendere dei provvedimenti e in un testo conosciuto come L’epurazione del partito affermava la necessità di «epurare in questo modo il partito dall’alto in basso… la situazione esige innanzi tutto un aumento del rendimento del lavoro, un aumento della disciplina del lavoro». Un problema già sollevato da Trotsky che propendeva per la militarizzazione del lavoro realizzata attraverso leggi che consideravano reato penale la scarsa produttività.
Per Lenin come per gli utopisti la realtà storica era qualcosa di molto relativo, le forzature nei suoi scritti erano considerate qualcosa di normale e le realizzazioni pratiche delle sue teorie non potevano che produrre uno dei regimi più coercitivi anche nei confronti delle categorie che in teoria sarebbero state protette.
Vladimir Lenin, Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (Tesi d’Aprile), «Pravda», 7 aprile 1917
Vladimir Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Mosca, ottobre-novembre 1918
Vladimir Lenin, Democrazia e Dittatura, «Pravda», 3 gennaio 1919
Vladimir Lenin, Progetto di programma del PCR(b), marzo 1919
Vladimir Lenin, Sullo Stato, Sverdlov, 11 luglio 1919
Vladimir Lenin, L’epurazione del partito, «Pravda», 21 settembre 1921.