La persecuzione religiosa sotto Stalin
Storia di una dura
repressione contro la religione che,
iniziata sotto Lenin e proseguita fino alla
caduta dell’Unione Sovietica, ebbe il suo
apice durante la dittatura di Stalin
La presa del potere dei bolscevichi in Russia diede inizio ad una feroce persecuzione antireligiosa volta a sradicare le «superstizioni» per educare il popolo all’ateismo. La morte di Lenin, avvenuta nel 1924, non significò un mutamento di politica, ma al contrario, si ebbe una continuazione delle misure repressive: il Patriarca di Mosca Pietro Poliansky, succeduto a Belavin Tichon morto nel 1925, venne arrestato ed esiliato in Siberia ed una sorte simile toccò anche al suo successore, Sergio, che venne imprigionato fino a quando nel 1927 fu liberato e sottoscrisse una dichiarazione di obbedienza al Governo Sovietico chiedendo ai fedeli di fare lo stesso. Quest’atto indebolì e divise la Chiesa Ortodossa in quanto molti membri dell’episcopato e del clero rifiutarono la sottomissione al Governo.
Verso la fine degli anni ’20 tuttavia, la campagna antireligiosa raggiunse il suo culmine quando Stalin, ottenuto il potere assoluto, decise di scagliare una nuova offensiva contro le religioni: venne inasprito il controllo sulle parrocchie da parte delle autorità locali e furono emanate ulteriori restrizioni all’attività religiosa, si istituì la settimana con cinque giorni lavorativi continui e uno di riposo per eliminare la pausa della festività della domenica e si ordinò il sequestro delle campane perché il suono «infrange il diritto al riposo delle grandi masse atee nei centri urbani e rurali». I ministri del culto furono assimilati ai «kulaki» venendo quindi deportati o esiliati, privati dei diritti civili come le tessere annonarie e l’assistenza medica e furono oberati di imposte (decuplicate fra il 1928 e il 1930). Furono inoltre distrutti molti edifici di culto al punto che al 1° marzo 1930 risultarono chiuse o demolite 6.715 chiese. Come ai tempi delle offensive antireligiose di Lenin, anche in questo caso si ebbero resistenze da parte della popolazione (si calcola che il 14% delle insurrezioni contadine verificatesi nel 1930 fu dovuto alla chiusura delle chiese e alla requisizione delle campane). Stalin fece perciò ipocritamente marcia indietro con un articolo in cui si censuravano le «inammissibili deviazioni nella lotta contro i pregiudizi religiosi», ma simile disposizione non ebbe alcun effetto sulla sorte dei ministri del culto deportati e negli anni successivi le offensive su vasta scala vennero sostituite da forme di disturbo capillare imponendo, per esempio, la chiusura delle chiese per i motivi più futili come «condizioni contrarie alle norme igieniche» o «assenza di copertura assicurativa». La campagna antireligiosa non riuscì ad attecchire profondamente se in un censimento del 1937 oltre il 50% degli adulti continuava a dichiararsi credente, ma la persecuzione causò un notevolissimo calo di fedeli e di luoghi di culto[1].
Oltre alla repressione, il gruppo bolscevico puntò anche alla propaganda dell’ateismo diffusa attraverso le associazioni giovanili, i sindacati e la stampa. Vennero fondate a tal senso istituzioni come la Lega degli Atei Militanti, la Casa Editrice Statale Antireligiosa o l’Università Serale di Ateismo. Molte chiese furono trasformate in musei dell’ateismo come la Cattedrale di Kazan a Leningrado divenuta il Museo della Storia della Religione e dell’Ateismo. Vennero inoltre sostituite le feste del calendario ortodosso con nuove celebrazioni ispirate dalla Natura: ad esempio, il Natale divenne la Festa del Grande Inverno per l’avvento del nuovo anno[2]. Come ha sottolineato lo storico Robert Conquest, nella lotta contro la religione «non si può fare a meno di notare l’animosità personale di Stalin in questa campagna, anche se il suo atteggiamento era ampiamente condiviso da molti altri comunisti militanti»[3].
La campagna antireligiosa riprese vigore verso la fine degli anni ’30 in concomitanza con il «Grande Terrore». Negli anni 1936-1938 si ebbero difatti le «Grandi Purghe» durante le quali Stalin organizzò dei processi-farsa per sbarazzarsi dei propri oppositori politici. La repressione però non fu solamente un affare interno al partito, ma colpì anche molte fasce della popolazione in quanto il dittatore sovietico era intenzionato ad attuare una «epurazione sociale» volta ad eliminare tutte le categorie che non rientravano nella sua visione del comunismo (stando agli archivi sovietici circa 700.000 persone furono giustiziate in quel periodo). Il clero fu tra gli obiettivi di questo massacro: «è tempo di finirla con le organizzazioni clericali e la gerarchia ecclesiastica» dichiarò un funzionario sovietico. Migliaia tra preti e vescovi furono giustiziati e imprigionati e molti edifici di culto vennero distrutti: all’inizio del 1941 meno di 1.000 chiese e moschee rimanevano aperte al culto rispetto alle 20.000 ancora in attività nel 1936[4].
Non meno tesi furono i rapporti con la religione cattolica. Fin dai tempi di Lenin la Santa Sede aveva cercato di arrivare ad una trattativa con il regime sovietico per giungere ad un «modus vivendi» che potesse sboccare in un concordato. L’URSS, inizialmente tentata dall’avere il riconoscimento vaticano per rompere l’isolamento nazionale, perdette però interesse dopo che molti Stati iniziarono a riconoscere il suo Governo e nel 1928 furono interrotte definitivamente le trattative con il Vaticano. Pio XI denunciò allora, in una lettera del 2 febbraio 1930 al vicario generale di Roma, «le orribili e sacrileghe scelleratezze che si ripetono e si aggravano ogni giorno contro le anime delle innumerevoli popolazioni della Russia», descrivendo anche alcune delle vessazioni a cui erano sottoposti i fedeli (processioni anticlericali, obbligo dei lavoratori a pronunciare blasfemie, arresti e assassini di religiosi…). In Russia le parole del Papa scatenarono un putiferio: Bucharin riesumò tutto il repertorio anticlericale (l’Inquisizione, Giordano Bruno, Galileo..) e si accusò il Papa di cospirare con Kerenskij e i banchieri di Wall Street[5].
Gli attacchi di Papa Pio XI contro il comunismo continuarono anche negli anni successivi e il più importante di questi fu probabilmente la sua enciclica del 1937 Divinis Redemptoris, che oltre a condannare l’ideologia comunista, denunciò anche i crimini di cui si rese responsabile in Russia e in Messico (anche se, a dir la verità, in quest’ultimo Paese non si può parlare di comunismo): «Vescovi e sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali». Il Pontefice denunciò anche la persecuzione religiosa in Spagna dove i comunisti (ed anche gli anarchici e i socialisti estremisti) scatenarono durante la guerra civile una repressione anticattolica che costò la vita a migliaia di religiosi e laici vicino alla Chiesa al punto che il segretario comunista della sezione spagnola, Jose Diaz, dichiarò nel marzo del 1937 che «la Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, perché la Chiesa, in Spagna, è oggigiorno annientata».
La persecuzione comunista contro le religioni continuò anche con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1939 Stalin si alleò difatti con Hitler stipulando il Patto Molotov-Ribbentrop e in conformità a questo accordo il Georgiano acquisì parte della Polonia, gli Stati Baltici, parte della Finlandia e della Romania: in queste regioni furono applicate le politiche sovietiche inclusa la repressione antireligiosa e nella sola Polonia Orientale, nella prima metà del 1940, circa 4.000 religiosi di varie confessioni furono deportati e «sostituiti» da 25.000 propagandisti appartenenti all’«Unione dei senza Dio» diretta da Emeljan Jaroslavkij[6].
Nonostante questo Papa Pio XII, dopo l’attacco tedesco all’URSS, rifiutò di benedire la «crociata antibolscevica» e intervenne presso i Vescovi Americani per spingerli ad accettare l’invio degli aiuti americani alla Russia, facendo anche lui, come il suo predecessore, distinzione tra l’ideologia comunista da condannare e il popolo russo verso il quale aveva sentimenti di affetto paterno. A spingerlo a questa scelta fu anche il timore di un’eventuale vittoria dei nazisti il cui trionfo non lasciava presagire nulla di buono per la Chiesa. Il gerarca fascista Galeazzo Ciano annotò il 25 dicembre 1941 sul suo diario: «Il Papa ha fatto un discorso natalizio e naturalmente non è piaciuto a Mussolini, perché ha trovato che dei cinque punti che contiene, quattro almeno sono rivolti contro le dittature. Ma ciò è inevitabile con la politica anticattolica dei Tedeschi. Isabella Colonna mi narrava ieri sera di aver recentemente parlato con il Cardinale Maglione, il quale ha detto che in Vaticano si preferiscono i Russi ai nazisti».[7]
L’attacco tedesco all’URSS ebbe però l’effetto di indurre Stalin ad alleggerire le pressioni contro la pratica del culto, sia per cercare di impressionare favorevolmente gli Alleati, sia perché era cosciente del fatto che il popolo non era disposto a combattere per il comunismo ma era pronto a morire per difendere «Santa Madre Russia». Il dittatore arrivò perciò a permettere l’elezione di un Patriarca, la nomina dei Vescovi, la formazione di un Sinodo e la riapertura delle chiese. Tuttavia, a partire dal 1948, il regime sottopose nuovamente la Chiesa Ortodossa a nuove persecuzioni e infiltrazioni, anche se la pericolosità della repressione non raggiunse i livelli di quella di anteguerra[8].
La lotta contro il nazismo non mutò la prospettiva espansionista di Stalin, ma al contrario, il Georgiano approfittò delle vittorie per espandere la sua influenza e costruire nei Paesi occupati dall’Armata Rossa dei regimi comunisti dipendenti da Mosca. La politica antireligiosa variò a seconda delle Nazioni, ma un punto in comune fu l’introduzione dell’ateismo di Stato e, nel caso dei Cattolici, il tentativo di separare i contatti del clero con Roma (in Polonia venne arrestato il Prelato Stefan Wyszynski, in Cecoslovacchia il Cardinale Josef Beran venne posto agli arresti domiciliari, in Ungheria il Primate Jozsef Mindszenty fu sottoposto ad un processo farsa ed incarcerato, mentre in Bulgaria il Beato Vincenzo Bossilkov fu condannato a morte per aver rifiutato di staccarsi da Roma…)[9]. In reazione a questa persecuzione Pio XII decise di emanare nel 1949 la scomunica contro chiunque aderisse o collaborasse con i partiti comunisti, ma quest’azione ottenne scarsi risultati.
Stalin morì il 5 marzo 1953. È difficile calcolare il numero delle sue vittime anche per via della carenza documentale, ma è indubitabile che fu direttamente responsabile della morte di milioni di persone. Dopo la sua scomparsa l’Unione Sovietica si fece meno repressiva, ma non fu per questo liberale e le persecuzioni religiose continueranno fino alla crisi dell’URSS.
1 Confronta Autori Vari, Il libro nero del comunismo, Milano 1998, pagine 160-161.
2 Confronta E. Gentile, Contro Cesare, Milano 2010, pagina 264.
3 R. Conquest, Stalin, Milano 2003, pagina 178.
4 Il libro nero del comunismo, pagina 187.
5 Confronta A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature. 1922-1945, Milano 1975, pagine 139-148.
6 Si veda Il Vaticano e le dittature, pagina 267.
7 Da Diario 1939-1943, Rizzoli Editore, Milano 1971.
8 Confronta A. Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin, Bologna 2007, pagina 532.
9 Per una sintesi sulla persecuzione dei Cristiani nell’Europa dell’Est si veda A. Riccardi, Il secolo del martirio, Milano 2000, pagine 133-183.