Chi uccise i Romanov?
Una storia sempre affascinante, anche se
tragica
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 la famiglia di Nicola II fu sterminata a Ekaterinburg.
La famiglia Romanov nel 1913
Nicola II Romanov con la moglie Aleksandra e i figli Alexei, Maria, Tatiana, Olga, Anastasia.
Ancora oggi, a 95 anni di distanza, l’esatto numero degli assassini dello Zar non è noto. Secondo una delle versioni, furono otto persone; secondo un’altra, sarebbero state undici, tante quante le vittime. I principali tra loro erano Yurovskij e Medvedev-Kudrin: in seguito questi due personaggi scrissero le proprie memorie, nelle quali raccontarono nei minimi dettagli la notte della fucilazione. Entrambi erano fieri del proprio ruolo nella storia, ed entrambi fino alla fine dei loro giorni occuparono posizioni importanti e furono membri assai rispettati della società sovietica.
Yakov Mikhailovich Yurovskij (1878-1938) nel 1918 era comandante della Casa Ipatevskij a Sverdlovsk, dove fu alloggiata la famiglia imperiale: fu proprio lui a guidare il manipolo dell’esecuzione. Secondo quanto afferma Yurovskij, fu lui personalmente a uccidere lo Zar. La partecipazione dell’Ebreo Yurovskij all’uccisione dello Zar diede modo ai nazionalisti di affermare in seguito che «il nostro buon padre Zar è stato ucciso dagli allogeni». In realtà, gli «allogeni» erano solo due: Yurovskij, appunto, e il tiratore lettone Tselms, la cui partecipazione all’assassinio non è mai stata dimostrata in maniera definitiva.
Gioielliere di professione, nella notte della strage, Yurovskij si era preposto il compito di trovare i brillanti dello Zar. E, in effetti, li trovò: esaminando i corpi, si scoprì che nelle vesti delle figlie dello Zar erano cucite pietre preziose per un peso totale di oltre otto chili. Successivamente Yurovskij consegnò tutti i preziosi al comandante del Cremlino sovietico. I primi bolscevichi erano persone abbastanza disinteressate al denaro, ma dotate di una ferocia senza limiti.
Nel suo curriculum spiccano gli incarichi di presidente della Ceka del governatorato di Sverdlovsk, di responsabile del settore risorse auree del Gokhran (il Tesoro dello Stato), di direttore del Museo Politecnico di Mosca. Si tratta di incarichi tutti assai prestigiosi e di importanza strategica nei primi anni del potere sovietico.
Yurovskij morì nella clinica del Cremlino, a cui potevano avere accesso solo pochi eletti: i dirigenti statali tenuti in particolare considerazione dallo Stato. Gli fu diagnosticata un’ulcera perforante del duodeno. I testimoni oculari affermarono che la sua fine fu assai tormentosa.
Gli assassini dello Zar erano legati da amicizia e si recavano in visita gli uni dagli altri. Yurovskij, Goloschekin e Medvedev, che parteciparono con lui all’esecuzione, si trovavano a parlare del delitto di cui erano complici davanti a una tazza di tè, come se fosse un argomento qualsiasi. In particolare, amavano discutere di chi quella notte avesse sparato per primo. Una volta Yurovskij si presentò all’incontro con gli altri con aria di trionfo. Qualcuno gli aveva portato un libro pubblicato all’estero, nel quale era scritto nero su bianco che era stato proprio lui a uccidere lo Zar Nicola. Era raggiante.
Anche Mikhail Aleksandrovich Medvedev-Kudrin (1891-1964), dopo la Rivoluzione, ricoprì degli incarichi di prestigio. Ad esempio, fu assistente del responsabile della prima divisione del Reparto dotato di poteri speciali dell’NKVD dell’Unione Sovietica. Negli anni Trenta girò per gli istituti secondari superiori delle province, raccontando agli studenti la storia dell’uccisione dello Zar. Alla fine degli anni Cinquanta gli fu assegnata una pensione personale di 4.500 rubli. In un incontro con gli studenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’MGU (l’Università Statale di Mosca) raccontò con piacere che nel 1918 si doveva fare economia di munizioni e che pertanto lui e i suoi compagni finirono i nemici del popolo a colpi di baionetta.
Medvedev durante la sua carriera raggiunse il grado di colonnello. Prima di morire lasciò le sue dettagliate memorie sull’uccisione della famiglia imperiale, indirizzandole all’allora leader politico dell’Unione Sovietica Nikita Khrusciov (il manoscritto, intitolato Turbini ostili, rimase inedito). Nelle sue memorie Medvedev nega il ruolo predominante di Yurovskij nell’impresa e attribuisce a se stesso il merito di aver annientato la famiglia dello Zar.
Medvedev fu seppellito con gli onori militari nel cimitero di Novodevichi, la necropoli più prestigiosa del Paese. La browning con cui venne ucciso lo Zar Nicola fu lasciata da Medvedev per testamento a Khrusciov in persona.
Dopo la morte di suo padre, il figlio di Medvedev convinse il figlio di Nikulin a incidere su un nastro le proprie dichiarazioni. Si ritiene che Nikulin fu soltanto un testimone oculare del riconoscimento dei corpi della famiglia Romanov dopo la morte: «Ricordo che nel 1936, quando io ero ancora un bambino, Yakov Mikhailovich veniva a casa nostra a scrivere qualche cosa… Ricordo che lui e mio padre cercavano di rievocare insieme qualche cosa con grande precisione; a volte nascevano delle discussioni… l’ospite sosteneva di avere sparato per primo a Nicola… mio padre diceva che era stato lui, ma Yurovskij insisteva di essere stato lui a sparare…».
Nello stesso periodo un altro degli assassini dello Zar, Radzinskij, registrò le proprie memorie su nastro: «Un uomo entrò in acqua con delle corde e ne trascinò fuori i corpi. Per primo fu recuperato il corpo di Nicola. L’acqua era così fredda che le guance dei cadaveri erano rosse, quasi fossero stati vivi… Il camion rimase impantanato in una palude, e riuscimmo a malapena a tirarlo fuori… E a questo punto ci balenò l’idea che poi realizzammo… Decidemmo che non poteva esserci un posto migliore… Subito scavammo una fossa nella palude… versammo dell’acido solforico sui cadaveri per renderli irriconoscibili. Poco distante correva la ferrovia; prendemmo delle traversine marcite per mascherare la sepoltura. Seppellimmo nella palude solo alcune delle persone fucilate, gli altri corpi li bruciammo… Nicola di sicuro lo bruciammo, me lo ricordo… e anche Botkin; e così pure Alexei, mi pare…».
All’inizio degli anni Ottanta il capo del KGB Andropov amava ascoltare, alla sera, le confessioni degli assassini dello Zar. Secondo alcune voci, queste registrazioni sarebbero ancora oggi conservate negli archivi dei Servizi di Sicurezza.
(settembre 2013)