La jihad da Maometto a Bin Laden
Il concetto islamico di «guerra santa» è andato soggetto a numerose e varie interpretazioni, tanto che numerosi capi lo usarono per i loro scopi puramente politici

L'11 settembre del 2001, un commando di terroristi islamici riuscì a dirottare alcuni aerei di linea che sorvolavano gli Stati Uniti. Due di essi si schiantarono contro le Torri Gemelle del World Trade Center di New York, uno colpì il Pentagono mentre un quarto, diretto forse contro la Casa Bianca o forse contro l’Air Force One (l’aereo presidenziale) precipitò nei pressi di Pittsburgh per la tempestiva reazione dei passeggeri. L’episodio scosse il mondo e provocò una serie di guerre, ritorsioni, attentati riproponendo uno dei temi che sembravano esser destinati a rimanere per sempre ad ammuffire nei manuali di storia: le «guerre di religione» – in lingua araba, «jihad».

Ma che cos’è, esattamente, la «jihad»? Vi sono due interpretazioni:

1) per il sufismo, la dottrina mistica dell’Islam (ora in declino), la «jihâd-ul-akbar» è la Grande Guerra Santa che viene combattuta contro il proprio «io» inferiore ed è di massima importanza per ogni musulmano: in pratica, si riferisce all’aspetto personale e spirituale di sopraffare i desideri peccaminosi;

2) nel secondo significato, molto più letterale, la parola indica l’uso della violenza per diffondere la fede.

Ci riferiremo, per andare a fondo nella questione, alle fonti islamiche del Corano e degli hadith. Il Corano, com’è noto, è una raccolta degli insegnamenti che Maometto dettò in vita a quattro scribi; fu standardizzato diciannove anni dopo la morte di Maometto e ne esistono quattro diverse redazioni, di cui la più usata è quella seguita dai musulmani sunniti (che rappresentano l’85% di tutti i credenti nell’Islam) – ci riferiremo a questa. Gli hadith («ahadith») sono invece raccolte scritte («tradizioni») dei detti e delle azioni di Maometto, il cui esempio e autorità hanno grande importanza nell’Islam. Gli hadith, assieme al Corano, sono intesi a governare ogni aspetto della vita, inclusa la legge civile. Esistono diverse raccolte di hadith, ma quella compilata da Bukhari, che visse duecento anni dopo Maometto, è considerata molto importante. Il Corano è suddiviso in centoquattordici capitoli chiamati «sure». Gli hadith di Bukhari sono numerati consecutivamente, e sono suddivisi in nove volumi, e a loro volta in vari libri.

Molti musulmani, è noto, sono persone straordinariamente benevole e desiderose della pace. E l’Islam ha in sé molti elementi di pacifismo: «As-Salâm», ovvero «la Pace», è uno dei novantanove nomi di Allah; e «pace, pace» è il canto dei beati nel Paradiso musulmano.

A parte queste premesse, però, chiunque voglia commettere una violenza è perfettamente giustificato dal Corano a farlo. Sebbene la violenza nel Corano a volte sia intesa come autodifesa, altre volte è violenza gratuita. Ci sono tre motivi per cui qualcuno può essere ucciso: assassinio, adulterio, o abbandono dell’Islam (apostasia); secondo la legge pakistana, chiunque insulti Maometto può essere messo a morte, mentre in Siria per essere uccisi basta pronunciare la parola «ebreo» (inserita in qualsiasi contesto).

Molti passaggi nel Corano esortano i musulmani a uccidere gli infedeli, termine che in origine designava gli Arabi che non si sottomettevano all’Islam ma, dopo la morte di Maometto e la violenta espansione territoriale islamica, passò ad indicare tutti i non musulmani.

Così, per esempio, nella sura 2 (190-193): «Combattete per la causa di Allah contro coloro che vi combattono [...]. Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio. [...] Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti. Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia [reso solo] ad Allah».

O nella sura 4 (76): «Coloro che credono combattono per la causa di Allah, mentre i miscredenti combattono per la causa degli idoli. Combattete gli alleati di Satana. Deboli sono le astuzie di Satana».

Interessante è poi la sura 5 (33), ove alla «giustizia umana» si affianca la «giustizia divina»: «La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al suo messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso».

Ancora, nella sura 9 (5-23): «Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. [...] Combatteteli finché Allah li castighi per mano vostra, li copra di ignominia, vi dia la vittoria su di loro, guarisca i petti dei credenti [...]. Oh voi che credete, non prendete per alleati i vostri padri e i vostri fratelli se preferiscono la miscredenza alla fede». Il versetto 29 è illuminante: «Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il suo messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità»; questo è molto grave perché il popolo della Scrittura comprende gli Ebrei e i Cristiani! Inoltre, il Corano incita a non aver pietà del nemico finché non si converta (sura 47, versetto 35): «Non siate dunque deboli e non proponete l’armistizio mentre siete preponderanti».

Quelle appena citate, ovviamente, sono solo alcune delle numerose sure che incitano alla «guerra santa» in nome di Allah.

Ma il Corano non è la sola base per la violenza nell’Islam. L’esempio di Maometto stesso ha posto le fondamenta per la violenza mediante le sue opere e i suoi comandi, che si trovano negli hadith. L’11% delle pagine degli hadith di Bukhari fa riferimento alla Guerra Santa. La jihad militare è una parte tradizionale dell’Islam, sebbene la partecipazione alla guerra santa sia oggi ritenuto dalle correnti moderate un dovere facoltativo e non un obbligo.

Maometto proclamò di aver avuto la sua prima visione da Dio nell’anno 610 dopo Cristo, e i primi tredici anni del suo ministero furono contraddistinti da una predicazione pacifica nella città della Mecca; durante questo periodo, Maometto si mostrò come un uomo ben intenzionato che cercava di elevare la condotta morale del suo popolo attraverso una serie di leggi che – perché fossero accettate da tutti – faceva credere gli fossero state dettate da Dio. Ma nell’anno 623 egli divenne un leader politico nella città di Medina: col suo potere politico comparve un nuovo comportamento aggressivo. Attaccò le carovane e usò la spada per diffondere la sua religione e accrescere il suo potere: nei soli dieci anni in Medina, Maometto condusse personalmente ventisette sanguinose invasioni e ne preparò sessantacinque, ordinando ai suoi seguaci di condurne molte altre. Si trattava, in pratica, di razzie e saccheggi per procurarsi il cibo, tanto che alcuni teologi musulmani sostengono che le uniche «guerre sante» siano quelle da lui combattute; tuttavia, già nel VII secolo il Califfo Omar proibì ai suoi soldati di comperare e coltivare appezzamenti di terra – desiderava restassero una casta militare dedita alle arti belliche, anche se avrebbero dovuto essere in gran parte mantenuti a spese dello Stato: ovviamente, una tale situazione rendeva la guerra inevitabile per procurarsi i beni con cui pagare i soldati. Maometto, inoltre, assassinò molti dei suoi oppositori durante la sua vita, compresi poeti e poetesse di opere satiriche. Durante la sua battaglia contro i Quraisciti, attaccati a tradimento dopo che lui stesso li aveva convinti ad una tregua, donne e bambini furono venduti come schiavi, e centinaia di uomini catturati furono decapitati (pratica che abbiamo visto essere comune per i terroristi di oggi); anche alcuni del suo stesso popolo furono inorriditi da queste cose.

Osama bin Laden (il miliardario saudita che vive rintanato in qualche grotta dell’Afghanistan o del Pakistan ed ha progettato l’attacco dell’11 settembre contro gli Stati Uniti), nel famoso videotape scoperto in Afghanistan nel 2001, disse: «Mi è stato ordinato di combattere la gente fino a quando essi non diranno che non c’è altro Dio se non Allah, e che Maometto è il suo profeta». In queste parole echeggia il linguaggio del Corano stesso!

Inoltre, ai musulmani viene insegnato che chi combatte e muore in una jihad riceve il perdono di tutti i peccati commessi, e viene ricompensato con una vita sensuale e lussuriosa in Paradiso: il Paradiso islamico si chiama «Giardino delle Delizie» ed è descritto come una grande oasi, dove i beati vivono in ricchi palazzi, banchettano con cibi squisiti e bevande inebrianti (comprese quelle proibite sulla terra) e fanno l’amore con le sempre-vergini urì. Molte sure promettono, a chi muore in guerra, di andare «nel più alto dei Paradisi»; si veda, ad esempio, la sura 3 (157-158): «E se sarete uccisi sul sentiero di Allah, o perirete, il perdono e la misericordia di Allah valgono di più di quello che accumulano. Che moriate o che siate uccisi, invero è verso Allah che sarete ricondotti» e più ancora nel versetto 195: «Il loro Signore risponde all’invocazione: “In verità non farò andare perduto nulla di quello che fate, uomini o donne che siate, ché gli uni vengono dagli altri. A coloro che sono emigrati, che sono stati scacciati dalle loro case, che sono stati perseguitati per la mia causa, che hanno combattuto, che sono stati uccisi, perdonerò le loro colpe e li farò entrare nei Giardini dove scorrono i ruscelli, ricompensa questa da parte di Allah. Presso Allah c’è la migliore delle ricompense”». Oppure alla sura 4, versetto 74 si legge: «Combattano dunque sul sentiero di Allah, coloro che barattano la vita terrena con l’altra. A chi combatte per la causa di Allah, sia ucciso o vittorioso, daremo presto ricompensa immensa», come anche si esplicita alla sura 22 (58-59): «Quanto a coloro che sono emigrati per la causa di Allah, che furono uccisi o morirono, Allah li ricompenserà nei migliore dei modi. In verità Allah è il migliore dei compensatori! Li introdurrà in un luogo di cui saranno soddisfatti. In verità Allah è il Sapiente, il Magnanimo». Inoltre si veda Bukhari 4:63, 72, 80, 85, 137, 175, 216, 266.

Dunque, uccidendo i non-musulmani si ottiene la ricompensa più elevata in questa religione. Non solo: poiché Allah è libero nelle sue scelte, può far andare un uomo all’Inferno anche se quello non ha mai fatto nulla di male e, anzi, si è comportato sempre in modo irreprensibile. C’è un solo modo per essere quasi sicuri di andare in Paradiso: morire in una jihad.

Da qui ai kamikaze (parola giapponese che durante la Seconda Guerra Mondiale designava i piloti nipponici che si suicidavano gettandosi con gli aerei contro le navi americane per avere la certezza di colpirle) il passo è breve: sebbene Maometto condanni il suicidio, negli anni ’80 del XX secolo il dittatore iraniano Khomeini stabilì che chi si toglie la vita per uccidere – o tentare di uccidere – un nemico non-musulmano diventa martire e va in Paradiso. Agli aspiranti kamikaze vengono imposte veglie, digiuni e la lettura di passi del Corano (non solo quelli che abbiamo segnalato) che inneggiano alla morte per Allah ed ai premi che si riceveranno. Un vero e proprio «lavaggio del cervello»!

Già nel Milione (e siamo quindi in pieno Medioevo!), Marco Polo racconta del Vecchio della Montagna che aveva fondato la «setta degli assassini»: nel suo inaccessibile castello aveva fatto crescere un rigoglioso giardino e qui faceva crescere dei giovani facendo loro credere d’essere in Paradiso. Quando voleva uccidere un nemico, addormentava uno di questi giovani e lo faceva trasportare in una stanzetta fredda e angusta. Poi gli prometteva che l’avrebbe fatto tornare in Paradiso in cambio di un omicidio. Sia che il giovane sopravvivesse sia che morisse nell’impresa, era sicuro di tornare in Paradiso!

Nel 2005, la televisione di Stato iraniana mandò in onda un cartone animato orripilante: era la storia di un ragazzino palestinese che, dopo aver visto uccidere i suoi genitori dai soldati israeliani, si recava dai kamikaze e si faceva dare una cintura esplosiva, gettandosi poi su un convoglio israeliano e facendosi saltare in aria insieme agli odiati nemici. Questo cartone era la «ciliegina sulla torta» che andava a coronare una serie di affermazioni con cui nei giorni precedenti si era auspicata la cancellazione dello Stato d’Israele dal planisfero geopolitico e fu trasmesso sul canale governativo nell’ora di maggior ascolto dei bambini.

La tradizione di violenza, che è iniziata con Maometto, continua ai giorni nostri. In ogni parte del mondo molti musulmani uccidono o comunque perseguitano le persone semplicemente perché non sono musulmane. Questi fatti sono ben documentati in Nigeria, Algeria, Sudan (dove è presente anche la moderna schiavitù), Egitto, Iran, Afghanistan, Tajikistan, Pakistan, Iraq e Malesia.

Secondo l’organizzazione «Voice of the Martyr» (i dati risalgono al 2002-2003), ben centosessantamila Cristiani vengono uccisi ogni anno a causa della loro fede, e per la stragrande maggioranza sono uccisi da musulmani. Se l’Islam è una religione di pace, come si sente dire di tanto in tanto non solo dai musulmani ma anche dai mass-media, perché c’è così tanta oppressione in tutti i Paesi islamici?

Secondo un documentario PBS Frontline intitolato Saudi Time Bomb? (Bomba a orologeria Saudita?), nell’anno 2000 i libri di testo del Ministero dell’Educazione dell’Arabia Saudita contenevano un insegnamento ripugnante proveniente dagli hadith (Bukhari 4:176-177) e secondo l’insegnamento di Maometto stesso. Quest’insegnamento fa parte dell’istruzione dell’obbligo per tutti i bambini delle scuole medie dell’Arabia Saudita. L’insegnamento, intitolato La vittoria dei musulmani sugli Ebrei, è il seguente: «L’ultima ora non verrà prima che i musulmani combatteranno gli Ebrei, e i musulmani li uccideranno. Così gli Ebrei si nasconderanno dietro le rocce e gli alberi. Allora le rocce e gli alberi grideranno: “Oh, musulmani. Oh, servitori di Dio. C’è un Ebreo dietro di me. Venite e uccidetelo”».

Fa parte del testo anche un elenco di princìpi, che comprendono il seguente: «Ebrei e Cristiani sono i nemici dei credenti. Essi non approveranno mai i musulmani. State attenti a loro». Quest’insegnamento è perfettamente in linea con i precetti del Corano (sura 5, versetto 51): «Oh voi che credete, non sceglietevi per amici i Giudei e i Cristiani».

E vengono in mente le parole che aveva pronunciato Gesù dinanzi ai suoi discepoli: «L’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. E faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né Me» (Vangelo secondo Giovanni, capitolo 16, versetti 2-4). Queste parole hanno oggi un significato potente.

Quanto detto finora spiega perché i leader musulmani in tutto il mondo siano stati così accomodanti nel condannare l’attacco dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti. Anche in America, la loro risposta è stata: «Sì, l’attacco era sbagliato, ma...» È ciò che segue il «ma» che è importante per comprendere le loro reali opinioni.

L’Islam è una dottrina di potere e di gloria. I musulmani trovano difficile credere che i Cristiani possano adorare Gesù, data la sua mancanza di potere politico e la sua apparente sconfitta per mano delle autorità. Inoltre, non ammettono che Gesù possa essere stato crocifisso, sia perché nell’Islam nessuno può versare il proprio sangue in remissione di altri, sia perché Allah non poteva permettere che un suo messaggero morisse; secondo il Corano (che ha ripreso l’eresia nestoriana), Dio portò in salvo Gesù in cielo e i Romani crocifissero «un’ombra vaga». In realtà, l’Islam non è una religione: è un’ideologia con dei chiari interessi socio-politici. Non esiste la separazione tra Chiesa e Stato nell’Islam ortodosso. Le nozioni occidentali di democrazia e libertà sono in opposizione all’Islam ortodosso: così come Allah è uno, unico deve essere il suo rappresentante sulla terra. L’umanità intera deve essere controllata completamente dalla legge islamica, e non deve essere permesso allontanarsi dall’autorità di Allah. Per usare le parole del dottor Samuel Schlorff, esperto di religione islamica dell’Arab World Ministries, «i musulmani credono che il destino dell’Islam sia di estendere il proprio controllo fino a quando l’intera “Dar al-Harb” [che significa “Casa della Guerra”, e designa l’intero mondo non-musulmano] sia soggetta alla legge islamica in uno Stato islamico, e ciò include l’uso della forza». Il fatto stesso che non esista libertà di religione in molti dei Paesi musulmani è una prova che dimostra che l’Islam non vuole altro che il dominio globale attraverso il controllo politico.

Si sente affermare comunemente dalla stampa e dai media che l’Islam è una religione di pace. Questo è vero soltanto se inteso in un senso – la pace verrà quando tutte le religioni «concorrenti» saranno state sottomesse all’Islam (vedere la sura 9, versetto 29, già citata più sopra). I musulmani che dicono che l’Islam è una religione di pace, possono dirlo solo ignorando o adattando i suoi comandamenti violenti.

Quando finirà questa catena di sangue? La risposta è racchiusa nell’intelligenza e nel cuore dell’uomo!

(gennaio 2006)

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