La crisi del Mali
Nazionalismo etnico, radicalismo islamico e fragilità politica

Nei primi mesi del 2012 il Mali è stato travolto dalla quarta rivolta dei Tuareg nella sua storia post-coloniale, dalla conquista di tutte le città del Nord da parte delle forze islamiste e da un colpo di stato militare. Questa successione di eventi destabilizzanti ha colto di sorpresa l’intera comunità internazionale che considerava erroneamente il Paese un esempio di democrazia consolidata.

La crisi politico-istituzionale del Mali ha sollevato importanti interrogativi sulla stabilità degli stati sottoposti alla pressione delle tensioni etniche e delle minacce esterne.

Non è possibile comprendere la genesi di questa crisi se non analizzando la storia coloniale e post-coloniale del Mali, con una particolare attenzione alle dinamiche etniche e politiche.

L’eredità coloniale ha lasciato impronte profonde nel Mali, rivelandosi cruciale per il futuro assetto politico e statuale del Paese.

L’area che comprende l’odierno Mali divenne un territorio coloniale della Francia nel 1890 e fu conosciuto come Sudan Francese; l’interesse primario della Francia era collegare i suoi possedimenti in Senegal e in Algeria, ottenendo, inoltre, l’accesso al Congo attraverso il Lago Chad. Il Sudan Francese faceva parte della Federazione dell’Africa Occidentale (1865-1960), che comprendeva il Senegal, la Guinea Francese, la Costa d’Avorio, l’Alto Volta (Burkina Faso), il Niger, la Mauritania e il Dahomey (Benin).

La Francia si trovò ad amministrare un territorio etnicamente e linguisticamente disomogeneo, infatti nel Paese esistevano 23 etnie differenti, tra le quali le più numerose erano, e sono, quelle dei Kel Tamasheq o Tuareg, dei Dogon, dei Fulani, dei Malinké, dei Bambara, dei Soninké e dei Songhai. La frammentazione sociale e politica che ha caratterizzato il Sahel Occidentale nel XIX secolo ha ostacolato l’espansione francese, infatti la frammentazione comportava il dover trattare con un gran numero di gruppi etnici, spesso in competizione fra loro, nel tentativo di stabilire un controllo territoriale efficace. La resistenza locale fu molto forte, tanto che il completo controllo del territorio fu raggiunto soltanto in seguito.

I Fulani, presenti in tutta l’Africa Occidentale, sono pastori e agricoltori. I Dogon sono principalmente agricoltori e artigiani che vivono nella regione dell’altopiano centrale del Mali e del Burkina Faso, a cui, storicamente, è sempre mancato un sistema centralizzato di governo. I Bambara, che si situano nel Mali Meridionale e appartengono linguisticamente ai Mande, hanno dominato la politica del Mali. I Songhai sono prevalentemente pescatori e commercianti. Inoltre, ci sono i Mori, appartenenti ad un gruppo nomade che vive in tutto il Sahel.

È opportuno analizzare approfonditamente l’etnia Tuareg, poiché lo scontro con questa etnia è la base dei conflitti attuali dell’odierno Mali. I Kel Tamasheq, o Tuareg, comprendono popolazioni nomadi che si muovono attraverso i confini nazionali di Algeria, Burkina Faso, Libia e Niger. I Tuareg si sono sempre considerati distinti dagli altri gruppi etnici della regione del Sahel, soprattutto dai neri in quanto si ritengono bianchi. I clan Tuareg non sono omogenei, infatti sono internamente divisi in caste e clan, con gerarchie orizzontali e verticali. Ogni Confederazione consiste di numerosi raggruppamenti di clan nobiliari che, a loro volta, hanno associati dei clan subordinati, come quelli degli artigiani e degli ex schiavi. Di fede musulmana, parlano la lingua berbera. I Tuareg, che resistettero al controllo francese fino al 1917, vantavano una lunga storia di auto-sufficienza e di ribellione contro il potere straniero, anche se, come vedremo, una confederazione Tuareg mantenne buoni rapporti con la potenza coloniale, acquisendo una posizione privilegiata non solo rispetto ad altre etnie, ma anche nei confronti della propria.

Il Governo Coloniale amministrò in modo centralizzato il Mali, tuttavia non cercò di far modificare ai Tuareg la loro vita nomade, bensì consentì loro una certa libertà dal potere centrale dato che ne aveva compreso l’utilità ai fini della sicurezza territoriale, infatti favorì la Confederazione Tuareg Kel Adagh, poiché necessitava di un forte potere locale come supporto contro un’altra Confederazione, la Iwellemmedan. Inoltre, Kel Adagh fu scelta per il controllo delle strade e dei confini, ottenendo una posizione economica e sociale di rilievo e mantenendo buone relazioni con la Francia fino all’indipendenza.

La diffidenza esistente fra i diversi gruppi etnici fu esacerbata dalla politica coloniale francese che privilegiò quelle etnie meno propense alla rivolta contro la dominazione straniera; infatti, la Francia decise di formare una classe dirigente autoctona di etnia Bambara, residente nel Sud, che avrebbe dominato la politica del Mali dopo l’indipendenza.

Formalmente, le popolazioni indigene non potevano partecipare alla vita politica, tuttavia nel periodo coloniale emersero tre componenti sociali, capi locali, insegnanti e soldati, che avrebbero contraddistinto il panorama politico post-indipendenza. I capi tradizionali erano riusciti ad occupare uno spazio all’interno del sistema coloniale, acquisendo una certa autonomia. Gli insegnanti, di cultura francese, organizzarono sovente associazioni culturali e club letterari, da cui emersero molti partiti politici nel secondo dopoguerra. I soldati presero parte alle discussioni politiche dopo la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale.

I Malinké, i Songhai, i Bambara e i Soninké cercarono di ottenere una posizione politica all’interno dell’amministrazione coloniale, cooperando con i funzionari francesi, divenendo soldati affidabili durante le Guerre Mondiali, e partecipando al sistema educativo francese. Al contrario, i Mori e i Kel Tamasheq avrebbero preferito un’organizzazione politica indipendente rispetto al Governo Coloniale, prediligendo la formazione di uno stato autonomo invece che una federazione coloniale multietnica.

I primi partiti politici videro la luce nell’immediato dopoguerra, favoriti in questo da attori politici di cultura francese.

Il primo partito ad essere fondato nel 1946 fu il Parti Progressiste du Soudan (PSP) che diede l’avvio alla partecipazione politica, sebbene fosse apertamente sostenuto dall’amministrazione coloniale.

Al contrario, il Rassemblement Démocratique Africaine (RDA) cercò di separarsi dal Governo Coloniale, unendosi agli altri partiti comunisti dell’area francofona, nel tentativo di promuovere attivamente una piattaforma politica pan-africana e anticoloniale. Allo stesso modo, altri soggetti, tra cui il Parti Communistes, l’Internationale Socialiste, e l’Unione Soudanais (US), reclutarono con successo Africani francofoni attraverso le loro piattaforme politiche anticoloniali.

In ogni modo, nonostante un aumento significativo dell’attivismo politico, l’affluenza al voto nel Sudan Francese rimase bassa; ciò fu dovuto a svariati fattori, tra i quali la mancanza del suffragio universale, l’organizzazione delle elezioni all’inizio della stagione delle piogge, quando i contadini e i nomadi erano maggiormente occupati, la mancanza di risorse e informazioni per gli elettori, e la non conoscenza della lingua francese da parte del 98% della popolazione.

Nonostante la scarsa partecipazione politica, entro breve tempo il Mali avrebbe dovuto affrontare i problemi connessi all’indipendenza; infatti, il movimento della decolonizzazione in Africa era cresciuto rapidamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, poiché molti Paesi Africani avevano sperimentato una crescente ondata di nazionalismo e di desiderio di auto-determinazione. Per gli Stati Europei, la cui economia era stata fiaccata dalla guerra, stava divenendo sempre più difficile mantenere costosi possedimenti coloniali, anche in considerazione del nascere di movimenti nazionalisti violenti, come evidenziò la rivolta dei Mau Mau contro gli Inglesi nel 1952 in Kenya. Poco dopo, la Francia si trovò impegnata nella sanguinosa Guerra d’Algeria (1954-1962), che si rivelò estremamente costosa, sia in termini finanziari sia in termini di perdite di vite umane. Il Sudan Francese ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1960, nel mezzo della crisi algerina.

Nell’immediato secondo dopoguerra, le relazioni tra la Francia e le colonie dell’Africa Occidentale si caratterizzavano per il dibattito sulla natura dei loro rapporti; infatti, tra le élite africane, che avevano assimilato fortemente la cultura francese e che operavano all’interno dell’amministrazione coloniale, temi quali il federalismo e l’indipendenza cominciarono ad essere sempre più discussi. Allo stesso tempo, le autorità francesi iniziarono a consentire un’attività politica autoctona e la formazione di partiti politici.

Nel 1957 l’annuncio della Gran Bretagna che la Costa d’Oro (l’odierno Ghana) avrebbe ottenuto l’indipendenza accelerò il cammino verso l’autodeterminazione del Sudan Francese. Inoltre, nel 1958, la vittoria del «no» nel referendum svoltosi in Guinea sull’associazione con la Francia diminuì ulteriormente il controllo della potenza coloniale sull’Africa Occidentale. Poco dopo, il Senegal e il Sudan Francese si unirono in una federazione, ottenendo l’indipendenza nel 1960 come Federazione del Mali, mentre altre colonie sceglievano la formazione di uno stato indipendente. Questa unione ebbe breve durata, infatti dopo pochi mesi il Senegal si ritirò e la Repubblica Sudanese fu rinominata Mali.

Poco prima dell’indipendenza, la Francia cercò di creare un’area del Sahara per i Tuareg; questa area, conosciuta come Organizzazione Comune delle Regioni del Sahara, avrebbe portato i Governi di Algeria, Mauritania, Chad, Mali e Niger dentro una comune cornice politica, unendo la maggior parte della popolazione araba e Kel Tamasheq della regione. Modibo Keita, esponente di spicco del nazionalismo maliano, e gli altri leader africani rifiutarono la proposta, tale rifiuto contribuì ad alimentare la prima ribellione separatista Tuareg del periodo post-indipendenza.

Come molti altri Paesi Africani di nuova indipendenza, il Mali dovette affrontare enormi sfide politiche, economiche e geografiche, sfide che persistono ancora e che sono alla base della crisi attuale del Paese. Non sorprende che le istituzioni politiche e di governo fossero sottosviluppate o assenti nel nuovo stato; William Foltz ha evidenziato la separazione esistente tra «il processo politico e l’attività di governo dalla vita della maggior parte della popolazione… l’esistenza di una piccola e omogenea élite, l’assenza di un processo politico capace di garantire un ricambio pacifico e democratico della classe dirigente e il ritorno ad una carica politica una volta che una persona avesse perso una competizione elettorale»[1].

Un altro problema per il nuovo stato fu il numero veramente esiguo di persone con istruzione superiore e universitaria; ciò fu dovuto alla politica coloniale che, onde evitare rivolte e l’acquisizione da parte dei nativi di posizioni elevate nell’amministrazione, limitò fortemente la preparazione della popolazione autoctona. Di conseguenza, dopo l’ottenimento dell’indipendenza, il nuovo stato del Mali si trovò ad essere guidato da individui scarsamente formati. In aggiunta all’assenza di leader qualificati, il Paese era mancante anche di infrastrutture adeguate; in considerazione della prossima indipendenza, la Francia non aveva investito risorse finanziarie in servizi pubblici basilari, quali strade e aeroporti, dato che queste attività non comportavano un beneficio finanziario immediato.

Il Mali indipendente si presentava come un Paese molto fragile dal punto di vista delle istituzioni politiche, inoltre sussistevano altre condizioni avverse al suo futuro; infatti, i politici avrebbero usato il loro potere e le limitate risorse per rafforzare la fedeltà alle identità etniche e culturali. Ad esempio, data la mancanza di cospicui finanziamenti per la costruzione delle strade e di altri servizi di trasporto, il Governo assegnò la maggior parte dei progetti di costruzione e manutenzione alla parte meridionale del Paese, abitata in prevalenza dai Bambara.

I gruppi etnici del Nord furono emarginati politicamente e non beneficiarono delle infrastrutture e dello sviluppo finanziati dal Governo Federale; gli abitanti del Nord hanno avuto, di fatto, un accesso limitato all’acqua potabile e all’energia elettrica. Ciò ha fatto nascere un forte risentimento e una totale mancanza di fiducia verso lo stato centrale.

Il leader nazionalista Modibo Keita divenne Presidente della Federazione nel 1960, successivamente, quando questa si sciolse, ottenne la carica di Presidente del Mali, posizione che conservò fino al 1968.

La Presidenza di Keita si caratterizzò per un rinnovato centralismo governativo, molto somigliante a quello della Francia durante il periodo coloniale, inoltre, essendo finalizzata alla modernizzazione e alla liberalizzazione del Paese, considerò i Tuareg un problema. Molti studiosi affermano che il nuovo Governo Maliano era più ostile verso i Tuareg della Francia; in effetti, la colonizzazione francese del Sahel fu vantaggiosa per alcune Confederazioni Tuareg, favore che scomparve con la fine del colonialismo.

È importante osservare come alcune Confederazioni Tuareg, in particolare la Kel Adagh, siano passate dal possedere una posizione di privilegio all’emarginazione nella società post-indipendenza, questo capovolgimento di status ha costituito un fattore di instabilità interno estremamente rilevante.

Il desiderio dell’Esecutivo Maliano di centralizzare l’economia e liberalizzare la società ha ulteriormente esacerbato il «problema Tuareg»; infatti, il Presidente Keita cercò di realizzare nella pratica le sue idee socialiste nell’ambito dell’industrializzazione e della modernizzazione agricola, ritenendo il nomadismo dei Tuareg un ostacolo per tale modernizzazione e per lo sviluppo del Paese in generale. Keita sosteneva che la sedentarizzazione dei nomadi fosse importante per lo sviluppo della nuova nazione e per la loro trasformazione in cittadini produttivi.

Secondo molti studiosi, la pressione modernizzatrice di Keita è stata considerata dagli abitanti della zona settentrionale, in particolare dai nomadi del Nord del Mali, una violazione culturale ed economica.

Nella contrapposizione nascente con il nuovo stato non sono da sottovalutare le implicazioni culturali ed etniche, infatti, i Tuareg si consideravano, e si considerano, «nomadi bianchi» razzialmente superiori agli agricoltori neri del Sud e agli Arabi di tutta la regione, non accettando, di conseguenza, il principio di uguaglianza insito nella nozione di cittadinanza. I Tuareg non hanno mai riconosciuto la legittimità del Governo, in quanto non si ritenevano cittadini maliani, poiché erano nomadi e abitavano anche Paesi limitrofi il Mali.

La gestione delle risorse naturali è stata un’ulteriore fonte di conflitto all’interno del Paese; le regioni settentrionali sono particolarmente aride e difficili da coltivare, soggette ad una desertificazione che è cresciuta nel corso degli ultimi decenni. In un simile contesto, è chiaro come i clan Tuareg siano potuti sopravvivere per secoli soltanto grazie al loro stile di vita nomade. Nonostante il favore mostrato verso le etnie nomadi del Nord, la Francia decise di stabilire con certezza la proprietà della terra, generando, nel lungo periodo, un forte malcontento nella parte settentrionale del Mali. Il problema ebbe origine dall’impossibilità per il Servizio Forestale Francese di identificare i proprietari di ampie aree del Nord; conseguentemente, per giungere ad una determinazione precisa, fu deciso che la proprietà coincidesse con l’uso produttivo della terra che si riferiva, generalmente, all’agricoltura stanziale. Per questo, attività quali la pastorizia, la raccolta del legno, dei cereali selvatici, della frutta e delle piante medicinali non hanno trovato spazio nella definizione di proprietà. Dopo l’indipendenza, il Governo ha mantenuto le rigide leggi agricole e forestali fino al 1963, quando il regime di Keita introdusse una riforma agraria con la quale i terreni agricoli erano distribuiti secondo il principio del «primo occupante», penalizzando pastori assenti e migranti.

La ribellione nel Nord del Mali ebbe inizio proprio a causa di questa riforma agraria. L’esercito maliano, supportato militarmente dall’Unione Sovietica, riuscì a domare la rivolta nel 1964 sottoponendo l’area dei Tuareg ad una repressiva amministrazione militare. Il Tenente Colonnello Kalifa Keita dell’esercito maliano osservava come «mentre il Governo era riuscito a porre fine alla rivolta, le misure coercitive avevano alienato molti Tuareg che non avevano appoggiato gli insorti. Le atrocità e le violazioni dei diritti umani da entrambe le parti hanno contribuito a creare un clima di paura e di sfiducia nel Nord. E mentre il Governo ha annunciato una serie di programmi per migliorare le infrastrutture economiche locali e le opportunità di sviluppo, sono mancate le risorse per attuarle. Di conseguenza, il malcontento dei Tuareg non ha trovato risposta, generando un risentimento in molte comunità. Chiaramente, il problema dell’instabilità era stato differito, non risolto»[2].

Le tattiche usate dai militari, inclusi massacri, avvelenamento di pozzi, e la distruzione delle greggi, lasciarono un sentimento di profonda amarezza che avrebbe alimentato la crescente percezione di emarginazione economica e politica.

Nonostante la sconfitta dei ribelli, il Paese non era politicamente ed economicamente stabile; infatti, il Governo di Keita fu costretto a chiedere il supporto della Francia e di altri stati.

Nel 1968 il regime di Keita fu rovesciato dal Generale Moussa Traoré che governò in modo dittatoriale per ventitré anni, trasformando il Mali in uno stato di polizia. Come il suo predecessore, dovette affrontare una nuova rivolta dei Tuareg, cercando, allo stesso tempo, di addivenire a degli accordi di pace. Le gravi siccità degli anni Settanta e Ottanta contribuirono al mantenimento dell’ordine nelle regioni settentrionali, poiché molti giovani di etnia Tuareg, che avrebbero potuto ribellarsi contro il regime, si trasferirono in Libia per sfuggire alla fame e alla miseria. Tuttavia, nel 1991 il ripetersi di un’ennesima siccità, unita al malcontento collettivo per la grave situazione economica, provocò una rivolta generalizzata della società civile. Traoré commise l’errore di ordinare alle truppe di sparare sugli studenti che manifestavano contro di lui, uccidendo centinaia di persone; ciò provocò un’ondata di sdegno tra la popolazione, e il Tenente Colonnello Amadou Toumani Touré si unì alle forze democratiche e dopo aver preso il potere promise una riforma delle istituzioni e libere elezioni. Touré contribuì a riscrivere la Costituzione e indisse nuove elezioni nel 1992.

Alpha Oumar Konaré fu eletto Presidente per due mandati consecutivi nel 1992 e nel 1997, successivamente, nel 2002 e nel 2007, Touré divenne Capo dello Stato. La carica presidenziale non può essere ricoperta per più di due mandati consecutivi, ogni mandato ha la durata di cinque anni.

I rapporti con i Tuareg ebbero un nuovo peggioramento nel 1996, ciò nonostante, il Governo riuscì a raggiungere un accordo con gli insorti.

Dopo dieci anni di relativa stabilità interna, esplose una nuova insurrezione separatista dei Kel Tamasheq; l’insurrezione iniziò il 23 maggio del 2006, ad opera di ex combattenti scontenti delle Forze Armate del Mali, in collaborazione con la Libia di Gheddafi che sperava di estendere la sua sovranità su tale territorio.

Guidati dall’Alleanza Democratica per il Cambiamento, gli ex soldati lanciarono diversi attacchi contro le Forze Armate regolari nei tre anni successivi. Il conflitto si arrestò nell’agosto del 2008, allorquando il Governo Maliano e i ribelli siglarono un cessate il fuoco. Questa tregua ebbe breve durata, infatti dopo soli quattro mesi ripresero i combattimenti. Il Trattato di Pace fu siglato nel maggio del 2009.

Tutti questi tentativi separatisti risultarono fallimentari, tanto che la creazione di uno Stato Tamasheq non si è mai concretizzata.

Anche se il Mali aveva sperimentato già tre rivolte, nella primavera del 2012 la condizione interna del Paese era divenuta più complicata, data la presenza dell’organizzazione terroristica Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Molti studiosi di politica internazionale avevano giudicato impossibile un’alleanza tra i terroristi islamici e i ribelli secessionisti Tuareg, dato che il Mali era considerato un bastione moderato dell’Islam Sufi. Nondimeno, non erano stati presi in debita considerazione il complicato sistema di caste e clan dei Kel Tamasheq e la natura opportunistica di Al-Qaeda.

Storicamente, Al-Qaeda ha iniziato ad operare nella zona settentrionale del Mali nel 2003, ma le sue radici sono molto più antiche e derivano dalla guerra civile algerina. Nel 1992, il Front Islamique du Salut (FIS) fu vietato in Algeria perché ne minacciava il Governo democratico; in risposta al divieto, si trasformò in diversi gruppi scissionisti, tra i quali il più importante era il Groupe Islamique Armé (GIA) che scatenò la guerra civile nel Paese. Alla fine del 1990, dal Groupe Islamique Armé nacque un’altra organizzazione, il Groupe Salifiste pour la Prédication et le Combat, che nel 2007 acquisì il nome di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico. Inoltre, la tensione esistente tra Arabi e neri portò alla nascita del Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), che iniziò ad operare nel 2011.

È importante ricordare come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico sia sempre stata pronta a sostenere i movimenti autoctoni nella loro opposizione ai Governi Centrali degli stati della regione. Al-Qaeda nel Maghreb Islamico si trovava nel Nord del Mali dal 2003, ma in quel periodo era spesso in contrasto con i clan Tuareg e le due fazioni si combattevano l’un l’altra.

Il biennio 2011-2012 ha visto la fragile democrazia del Mali rompersi sotto il peso di diversi fattori, culminati nel colpo di stato del 2012.

Il primo elemento è stato il rafforzamento di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico nella regione in seguito alla guerra algerina, infatti, rinforzata dall’esclusione dell’Islam radicale dalla legislazione di questo Paese, ha prosperato per poi diffondersi in Mali e nel Sahel in generale.

Il secondo elemento è stato la nascita nel 2011 del Mouvement national de libération de l’Azawad (MNLA)[3]. Dopo la fine dell’ultima rivolta separatista nel 2009, durante la quale i Tamasheq fallirono nel tentativo di creare uno stato autonomo, i combattenti si ritirarono in Libia per ristabilire i contatti con i simpatizzanti separatisti. La nuova formazione politica aveva come obiettivo primario la formazione di uno Stato Tuareg autonomo, ma allo stesso tempo, intendeva rappresentare le aspirazioni delle popolazioni – non solo Tuareg – originarie del Nord del Paese. Inizialmente, tale formazione si considerava laica. È difficile pensare che la forma tollerante di Islam sunnita praticato in Mali dalla maggior parte della popolazione abbia potuto diventare un terreno fertile per la predicazione del salafismo, tuttavia, il Mouvement national de libération de l’Azawad si alleò con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico e con Ansar-al-Dine («Difensori della fede»). Questa organizzazione terroristica è stata fondata da Iyad Ag Ghaly, esponente di spicco di un clan minore Tuareg, con l’obiettivo di promuovere la Sharia in Mali.

Il terzo elemento consiste nella progressiva debolezza del messaggio esclusivamente indipendentista dei Tuareg, infatti la formazione islamista radicale Ansar-al-Dine è stata fondata proprio da un componente Tamasheq. Inoltre, queste milizie ebbero accesso ai depositi di armi dopo la caduta del regime libico. Come risultato, i gruppi separatisti del Nord del Mali ricevettero un afflusso importante di armamenti durante un periodo di crescente attrito con il Governo Centrale.

Il quarto elemento è rappresentato dalla caduta del regime di Gheddafi in Libia, che permise il rientro in Mali di molti di quei Tuareg che avevano lasciato il Paese durante i precedenti periodi di siccità; essi erano anche ben addestrati militarmente, poiché erano entrati numerosi nell’esercito libico.

Ad ulteriore prova dell’importanza dell’etnia nel contesto africano, è importante segnalare che molti dei Maliani rientrati in patria dopo il 2011 si unirono alle milizie in base all’appartenenza tribale.

Tutti questi fattori hanno concorso al golpe del 2012.

Molti dei Maliani che avevano combattuto in Libia stabilirono dei collegamenti con il Mouvement national de libération de l’Azawad e con politici Tamasheq. Questa organizzazione, nata nell’ottobre del 2011, era ispirata dalla recente indipendenza del Sud Sudan e intenzionata ad ottenere un riconoscimento internazionale al fine di promuovere i diritti Tamasheq, e richiese un referendum sull’autodeterminazione in base alle norme del diritto internazionale.

Successivamente, il Mouvement national de libération de l’Azawad adoperò ogni mezzo, compresa la violenza, per raggiungere l’indipendenza, asserendo che i diritti politici dei Kel Tamasheq erano stati continuamente violati dall’Esecutivo, dominato dai Bambara.

Prima del colpo di stato del 2012 il Mali stava vivendo una difficile situazione economica, infatti, oltre alla siccità e alla scarsa sicurezza alimentare, il turismo, un settore importante dell’economia nazionale, stava subendo le ricadute negative delle attività terroristiche di Al-Qaeda nella regione del Sahel.

Si è così creata una «tempesta perfetta» costituita da siccità, da un’economia nazionale debole e dalle crescenti tensioni tra un Governo Centrale vacillante e i Kel Tamasheq, pesantemente armati. Tutto ciò ha creato le condizioni per un cambiamento radicale nel sistema politico del Mali, dando inizio, nel gennaio del 2012, al colpo di stato.

Il 17 gennaio del 2012 i componenti del Mouvement national de libération de l’Azawad attaccarono le città settentrionali di Menaka, Aguelhok e Tessalit. A causa della mancanza di risorse adeguate e di motivazione dei militari governativi, il Mouvement national de libération de l’Azawad riuscì ad espellere dall’area l’esercito nazionale. Irritati dalla sconfitta da parte del gruppo ribelle, i funzionari militari e le loro famiglie protestarono contro il Governo in tutto il Sud del Mali.

Il 22 marzo è così andato in scena un golpe ad opera di una fazione dell’esercito stanziata a Kati, piccola guarnigione a circa 15 chilometri a Nord di Bamako. A guidarla, il capitano Amadou Haya Sanogo, ufficiale peraltro addestrato dagli Americani nell’ambito di uno dei programmi promossi da Washington per sostenere i Governi locali nella lotta contro la branca di Al-Qaeda nel Maghreb. Il Presidente Touré fu rimosso dal suo incarico e fu istituito il Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia e dello Stato di Diritto (CNRDRE).

Nella notte tra il 16 e il 17 aprile i militari protagonisti del golpe arrestarono alcune figure vicine a Touré, tra cui gli ex Primo Ministro e Segretario della Difesa, oltre ad alcuni alti quadri dell’esercito.

Pochi giorni dopo il colpo di stato, gran parte dell’esercito maliano si sfaldò, con la conseguente conquista di circa due terzi del Paese da parte del Mouvement national de libération de l’Azawad, che dichiarò prematuramente l’indipendenza dell’Azawad il 6 aprile.

Nel contempo, soltanto due giorni più tardi, Ansar-al-Dine, Al-Qaeda nel Maghreb Islamico e il Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) ebbero la meglio militarmente sul Mouvement national de libération de l’Azawad, facendogli perdere gran parte delle città conquistate nel Nord del Mali.

Le varie organizzazioni terroristiche si unirono per impossessarsi delle città controllate dal Mouvement national de libération de l’Azawad, in modo da espandere oltre le frontiere i loro traffici di droga e le altre attività economiche.

Contemporaneamente, il Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia e dello Stato di Diritto tentò di rimuovere le istituzioni centralizzate del Mali, sospese la Costituzione del 1992 e chiese la creazione di un Congresso Nazionale per determinare il futuro del Paese e le azioni da intraprendere contro il Mouvement national de libération de l’Azawad.

Dopo l’unanime condanna della comunità internazionale e grazie alla mediazione dell’Organizzazione economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), il 6 aprile si giunse a un accordo per formare un Governo di transizione guidato dal Presidente del Parlamento Dioncounda Traoré. Il 17 aprile fu resa nota la nomina a Primo Ministro di Cheick Modibo Diarra, presidente di Microsoft Africa e fondatore del Rassemblement pour le développement du Mali.

Il Governo civile si dimostrò altrettanto caotico quanto quello militare, non possedendo le capacità per riprendere il controllo delle città settentrionali controllate dal Mouvement national de libération de l’Azawad.

Dopo il crollo dell’esercito del Mali nei primi mesi del 2012, il Mouvement national de libération de l’Azawad smantellò sistematicamente la burocrazia statale nel Nord, in particolare quegli aspetti ritenuti essere simboli della laicità del Governo francofono.

Per esempio, nella città di Douentza, le scuole, le carceri, i centri medici e le banche furono chiusi dal momento dell’arrivo delle milizie del Mouvement national de libération de l’Azawad fino alla loro partenza nel luglio del 2012.

Allo stesso tempo, è importante osservare come le tensioni tra le diverse etnie – Fulbe, Dogon, Songhay e Tamasheq – subissero un progressivo incremento, dato l’afflusso di enormi quantitativi di armi e la mancanza di una mediazione ufficiale, determinata dall’assenza delle forze di sicurezza nella regione.

L’applicazione della Sharia da parte del Mouvement national de libération de l’Azawad, di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico e di altri gruppi islamisti comportò un netto peggioramento della condizione femminile; infatti, le donne furono costrette ad indossare il velo, a non poter lavorare, se non in casi sporadici, e a non poter uscire di casa liberamente. Oltre a ciò, si riscontrò un aumento dei matrimoni forzati a causa della condanna a morte per quante avessero delle relazioni extraconiugali o dei figli illegittimi. Inoltre, queste formazioni islamiste perpetrarono molti atti di violenza contro la popolazione civile, tra cui le esecuzioni sommarie, le violenze sessuali, la tortura e l’utilizzo di bambini-soldato.

La guerra civile nel Mali stava avendo delle forti ripercussioni sull’assetto geopolitico regionale, tuttavia, la rivalità esistente tra l’Algeria e la Mauritania, i due più influenti Paesi confinanti con il Mali Settentrionale, e la competizione per la leadership all’interno dell’Unione Africana (AU) impedirono un accordo sulle modalità di gestione del conflitto.

Contemporaneamente, in una regione già poverissima, la situazione umanitaria divenne sempre più drammatica: in breve di tempo, oltre 200.000 profughi si rifugiarono in Niger e Mauritania.

Nel gennaio del 2013, la Francia intervenne militarmente in Mali, dopo che il Presidente ad interim Dioncounda Traoré ne aveva chiesto il sostegno militare. L’intervento militare francese aveva come finalità di espellere Al-Qaeda nel Maghreb Islamico dal Nord del Mali, mettere fine ai sentimenti antifrancesi, e prevenire la diffusione di forme radicali di Islam.

Donne del Mali e i Francesi

Donne del Mali osservano l'arrivo delle truppe francesi a Diabalyorig Main, in uno scatto del fotoreporter della Reuters Joe Penney

Questa decisione di intervenire direttamente in Mali fu presa dopo che per tutto il 2012 la Francia aveva rifiutato tale sostegno, nel timore che si delineasse uno scenario di guerra simile a quello afghano. La Francia riconobbe l’opportunità di rafforzare le relazioni con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ed altri Paesi in Europa e in Africa partecipando ad un conflitto dal quale sarebbe uscita sicuramente vincente, oltre a ciò, l’intervento in Mali le offriva l’occasione di consolidare la sua influenza politica a livello internazionale.

Dal punto di vista militare, in meno di tre settimane le truppe francesi, con il supporto delle Forze Militari del Mali e dei Paesi facenti parte dell’Organizzazione economica degli Stati dell’Africa Occidentale, misero fine alla ribellione dei Tuareg, riconquistarono le città più importanti nel Nord del Mali, e dispersero i ribelli islamisti, la maggioranza dei quali si nascose tra la popolazione o si ritirò tatticamente tra le montagne e nel deserto.

Dal 9 aprile la Francia iniziò a ritirare una parte dei suoi contingenti.

Le elezioni, tenutesi il 28 luglio 2013, videro vincitore il precedente Primo Ministro Ibrahim Boubacar Keita sull’ex Ministro delle Finanze Soumaila Cisse. È interessante notare come entrambi questi esponenti politici abbiano conseguito la laurea in Università francesi, un’ulteriore prova della stretta connessione tra la classe politica e dirigente del Mali, fondamentalmente di cultura francese, e l’ex potenza coloniale.

La Francia ha continuato a mantenere una presenza diplomatica e militare nella regione, in modo da consolidare il Governo Centrale ed evitare un’ulteriore ribellione dei Tuareg, inoltre, dal maggio del 2014, ha deciso di ampliare le operazioni militari anti-terrorismo in Burkina Faso, Niger e Ciad.

L’intervento militare francese è stato oggetto di sentimenti contrastanti; infatti, sebbene i sondaggi effettuati nel 2012 mostrassero una popolazione favorevole, molti abitanti e leader della regione del Sahel ritenevano che l’ex potenza coloniale fosse più interessata alle risorse presenti nell’area, uranio e oro, che alla sicurezza. Questo punto di vista è stato favorito dalla presenza nel Paese, dal 2013, della Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali (MINUSMA), una missione delle Nazioni Unite avente lo scopo di promuovere la riconciliazione e il dialogo e favorire il ristabilimento dell’autorità statale (Risoluzione ONU 2164), che è stata considerata, invece, alla stregua di un’occupazione occidentale. Per questa ragione, il coinvolgimento occidentale costituisce un ulteriore ostacolo alla sicurezza interna del Mali, poiché se la popolazione percepisce l’Esecutivo come un fantoccio della Francia o dell’Occidente può essere più propensa alla rivolta. Inoltre, il recente colpo di stato in Burkina Faso rappresenta un pericoloso precedente per i Governi dell’Africa Occidentale.

Anche se l’Esecutivo e le milizie separatiste hanno firmato un accordo di pace nel maggio 2015, è importante evidenziare come nessuna delle parti abbia intrapreso delle trattative dirette, infatti, il Trattato è stato scritto da altri attori internazionali. Sebbene l’accordo rappresenti un punto importante per il ripristino della pace, tralascia un tema fondamentale: il desiderio dei Maliani del Nord di una inclusione nella vita nazionale che non pregiudichi il mantenimento della loro peculiare identità culturale.

Nell’accordo, si privilegia il ristabilimento dell’ordine e della stabilità, piuttosto che mirare a soddisfare il desiderio di vero e proprio cambiamento che scorre in profondità tra le popolazioni del Nord. L’accordo menziona superficialmente temi quali l’accesso ai servizi sociali di base, i posti di lavoro o la giustizia, tematiche al centro delle rivendicazioni popolari. Dare priorità alla sicurezza sminuisce la necessità di ripristinare la funzione sociale dello stato in tutto il territorio del Mali.

Senza una soluzione al problema della corruzione dilagante e del clientelismo, e senza il superamento di modelli ridondanti e antiquati di decentramento, è improbabile che il Mali mostri un significativo miglioramento delle relazioni tra il Governo legittimo nel Sud e l’area settentrionale del Paese.


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Note

1 Confronta William J. Foltz, From French West Africa to the Mali Federation, New Haven, CT: Yale University Press, 1965, pagina 189.

2 Keita Kalifa, Conflict and Conflict Resolution in the Sahel: The Tuareg Insurgency in Mali, Carlisle, PA: Strategic Studies Institute, U.S. Army War College, 1998, pagine 10-11.

3 Con il termine Azawad i Tamasheq indicano il territorio settentrionale del Mali.

(marzo 2017)

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