20 Settembre 2023 – 20 Settembre 1870
Importanza e attualità di una ricorrenza

Noi crediamo che il ricordo della data del 20 Settembre sia ancora necessario per «il risanamento ecologico del pensiero» che viene prima di ogni «bonifica ambientale». Tale data non rappresenta solo la presa di Porta Pia, evento pure importante e liberatorio che segnò la fine dell’anacronistico potere temporale del Papato, per il quale a Piero Gobetti «anche l’ombra e il nome sembravano insopportabili ad uno spirito moderno». Né si può dire che la presa di Roma del settembre 1870 fosse il completamento dell’unificazione nazionale, poiché ancora mancavano Trento e Trieste, acquisite solo dopo la carneficina del Primo Conflitto Mondiale. L’impresa trascese i significati storici, politici e militari, ma fu qualcosa che travalicò i confini dell’Italia, finendo per assumere, anche nel tempo a venire, il carattere di una rivendicazione culturale e morale. Da allora non furono comunque «rose e fiori» nella storia della costruzione dell’Unità Nazionale, in particolare nei rapporti fra laici e Cattolici, anche se a molti di quest’ultimi risultava gradita, anzi liberatoria, la separazione tra la sfera temporale e spirituale della Chiesa.

Fra questi, nella Lucchesia, si distinsero l’abate Matteo Trenta[1], il Padre Gioacchino Prosperi[2], il sacerdote Romualdo Volpi (il quale aveva scritto un libro, nel 1860, dove accoratamente si invitava il Pontefice a far cessare il potere temporale del Papato, causa dell’antagonismo fra Trono e Altare).[3]

In un’annotazione datata dicembre 1864, il mese del Sillabo, Giovan Battista Giorgini, il genero dell’autore dei Promessi Sposi, di antica famiglia lucchese (aveva sposato Vittorina, la figlia dello scrittore), diceva che Manzoni sperava molto in un Papa che fosse solo «Re delle preci». Altrove un altro inquieto scrittore cattolico, Antonio Fogazzaro, dichiarava che il 20 Settembre aveva rappresentato una fortuna immensa per la Chiesa, che aveva potuto iniziare la sua rigenerazione. Arturo Carlo Jemolo, grande storico cattolico-liberale, vide l’opera benefica della Provvidenza nella separazione tra Stato e Chiesa.[4]

Poi vi furono altri religiosi democratici che si schierarono operativamente con i mazziniani e con i garibaldini, come Don Giovanni Verità, «il prete di Garibaldi», che aveva salvato la vita all’Eroe dei Due Mondi nel 1849 e che fu ammiratore di Mazzini; come il frate Ugo Bassi, cappellano della legione garibaldina, che veniva ferito sul Gianicolo. Seguì Garibaldi nella fuga da Roma, verso Venezia ma, arrestato, venne fucilato dagli Austriaci l’8 agosto del 1849. E ancora, Alessandro Gavazzi, Padre Barnabita, che era amico di Bassi. Come Bassi, accantonò l’idea di un Pontefice guida della rivoluzione italiana e scelse la Repubblica, come unica forma di vera indipendenza nazionale e di sovranità popolare. Gavazzi fu anche a Lucca nel periodo di Carnevale del 1868, per tenere una serie di conferenze che suscitarono le proteste sdegnate del clero locale, il quale fece pubblicare un opuscolo contro di lui, dal titolo L’apostata Gavazzi in Lucca nel marzo 1868.[5]

Don Antonio Giovannetti, singolare e avventuroso, detto «Ciortellorino», di Castelnuovo Garfagnana, fu a Roma con Mazzini nel 1849. Nella Pasqua di quell’anno, celebrò in San Pietro una Messa Solenne per la Repubblica Romana. Caduta la Repubblica e la sua rivoluzionaria e democratica Costituzione, fu incarcerato. Successivamente liberato e bandito dallo Stato Pontificio, continuò negli anni a seguire a prender parte ai moti mazziniani; nel 1853 fuggì prima in America, l’anno dopo si recò in Inghilterra e nel 1855 era segnalato a Marsiglia, con l’intenzione di trasferirsi in Corsica e di avvicinarsi alla cara patria, come egli diceva. Nella sua fuga il sacerdote repubblicano aveva toccato le centrali della cospirazione all’estero: Londra, Marsiglia e la terra di mezzo, la Corsica, per ripresentarsi nel 1856 nelle comunità di Barga e Castelnuovo a sollecitare l’azione mazziniana e repubblicana.[6]

In Versilia si ricorda Giovan Battista Bichi, insieme al fratello Gaetano, che fu un carbonaro della setta degli Apofasimeni, poi confluita nella Giovine Italia, della quale fece parte anche Michele Carducci, il padre di Giosuè. Fu un vigilato speciale dalla polizia, fin dalla giovane età. Studiò a Pisa, col fratello e nel 1828 venne ordinato sacerdote. Scrisse anche un trattato patriottico ispirato dalla figura di San Bernardo di Chiaravalle, il monaco protettore e ispiratore dei Templari. Nel 1849, a Ginevra entrò in contatto con la Comunità Evangelica e divenne stretto collaboratore di Luigi De Sanctis, patriota, ex sacerdote cattolico che aveva aderito alla Chiesa Valdese.[7]

Oggi, a 153 anni dalla Breccia di Porta Pia, del patrimonio morale lasciato a noi da questi uomini del Risorgimento rimane molto poco. Lo spirito laico, essenza della democrazia liberale, nelle istituzioni del nostro Paese è praticamente ridotto a zero, avvolto da un clima conformista e nichilista. Man mano che ripercorriamo la storia della Repubblica ci rendiamo conto del suo progressivo consumo, esauritosi sotto gli assalti di vecchi e nuovi avversari e per i limiti dei suoi sostenitori. Il Partito d’Azione si disgregò nel 1947 mentre si apriva l’Assemblea costituente. I partiti che si ispiravano ai valori «risorgimentali» (repubblicano, socialdemocratico, liberale) costituirono sì un argine all’integralismo democristiano negli anni Cinquanta, ma persero in seguito la carica vitale. I radicali de «Il Mondo» di Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi, dopo una stagione di grande efficacia, si dispersero quando stava emergendo un Partito Socialista autonomo e finirono poi, con Marco Pannella, per isterilirsi in un settarismo vanesio senza più grande funzione politica. Con la crisi del 1992-1993, queste forze laiche e socialiste scomparvero quasi del tutto.

Ma il problema attuale non è solo questa debolezza laica: i pericoli, ora, sono forse più grandi, perché non vi è più neppure un preciso schieramento avverso, come lo era stato quello cattolico per buona parte della storia d’Italia, che comunque – quando in buona fede – era un importante elemento dialettico per costruttivi confronti. Anche questo mondo, al di là della sua struttura diffusa in buona parte dell’ecumene, sembra in uno stato di grande confusione.

Laici e Cattolici assomigliano ora a due pugili che si sono combattuti senza riuscire a sconfiggersi, che entrambi barcollano, storditi da uno spirito del tempo che nessuno dei due è riuscito a incanalare.

Riflettiamo su ciò che succede alle nuove «generazioni della rete», fra le quali troppi giovani non possono rinunciare alle «movide» o alle ammucchiate delle «sale da… sballo».

Al centro di questo mondo c’è uno spettro che predomina: la pseudocultura del narcisismo, come scrisse il giornalista Antonio Polito sul «Corriere della Sera». Lo spirito del tempo ripete come un mantra gli slogan: «sii te stesso», «realizza tutti i tuoi sogni», «non farti condizionare da niente e nessuno», «puoi avere tutto, se solo lo vuoi». Al centro di questo mondo vi è il culto del sé, del successo facile, e del corpo come mezzo di successo, sul modello dei calciatori e delle stelline. Il fallimento educativo che ne consegue è una delle cause, non una conseguenza, della crisi italiana. Ne è una prova il fatto che a parlare del disagio giovanile oggi siano chiamati gli psicologi e gli psicanalisti, non gli educatori. Bisognerebbe, invece, fare qualcosa per riprendere come emergenza nazionale il tema dell’educazione, e sottoporre a una critica serrata questa pseudo cultura. Ci vorrebbe una leale alleanza tra più soggetti: genitori, insegnanti, media, intellettuali, idoli rock, stelle dello sport, e ben vengano anche i preti e le parrocchie a levare i giovani dalla strada e a impedire che cantino certe stupide parole dei rapper, quali: «E ancora un’altra estate arriverà / e compreremo un altro esame all’università / e poi un tuffo nel mare / nazional popolare / La voglia di cantare non ci passerà».[8]

Occorrerebbe una Alleanza fra tutti gli uomini di buona volontà (di qualunque credo religioso siano) disposti a tamponare questa deriva dell’umanità assediata dalla superficialità, dai media irresponsabili gestiti dai molti «omini palla di burro» che portano la gioventù alla perdizione nel Paese dei Balocchi.

Non è tempo, oggi, di discettare se l’interpretazione teologica del Cardinale Biffi (Contro maestro Ciliegia: commento teologico a «Le avventure di Pinocchio»), sia conforme al nostro pensiero. Ne potremo riparlare a suo tempo. Ora non è il momento di dividersi sull’analisi del racconto di Collodi, che per Biffi è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal Cristianesimo; mentre per i laici il personaggio creato dallo scrittore toscano è alquanto diverso, poiché possiede quell’arduo metodo della ricerca libera, intimistica. Il burattino vuole sbagliare con la sua testa, piuttosto che accettare i consigli del Grillo Parlante, da prendersi in blocco, senza discutere, perché non è disposto a sacrificare la sua ansia di conoscenza. Ma acquisito il senso del «Dovere», la perseveranza lo porta al premio finale, dopo aver calcato quel pavimento a quadri bianchi e neri che è la vita nella sua eterna contraddizione tra il Bene e il Male. Male e Bene, inoltre, che si camuffano a prima vista, invertendo addirittura i loro ruoli per meglio ingannare chi si ferma alle apparenze. Come nell’antinomia più evidente del racconto di Collodi: quella che sorge dalla comparazione tra le figure del truculento Mangiafuoco e dell’«Omino tenero come una palla di burro» che guida la carrozza verso il Paese dei Balocchi. Ma, nonostante le apparenze, quanta umanità si rivelerà nel primo dei due personaggi e quanta efferatezza nel secondo!

Per il momento sospendiamo i nostri giudizi, pragmaticamente, sull’analisi del racconto.

Concordiamo, tuttavia, col Cardinale Biffi, alla luce dei nostri tempi, che il Paese dei Balocchi richiama Sodoma e Gomorra e i nostri ragazzi devono essere protetti dagli imbonitori, da coloro che insegnano che la vita non è anche «res severa».[9]

Chi ha contributi analoghi da offrire, si faccia avanti: c’è bisogno di tutti, in questa battaglia a 153 anni dalla ricorrenza del 20 Settembre.


Note

1 Su Matteo Trenta mi limito alla biografia di Simonetta Simonetti, Matteo Trenta, un educatore, un abate, un patriota, Istituto Storico Lucchese, «Rivista di archeologia, storia e costume», numeri 1-2/2008.

2 Su Gioacchino Prosperi si rimanda alle varie pubblicazioni della attenta studiosa Elena Pierotti, autrice per altro della brillante Tesi di Laurea in Storia Moderna, presso l’Università di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 2009-2010, dal titolo Padre Gioacchino Prosperi. Dalle amicizie cristiane ai valori rosminiani.

3 Su Romualdo Volpi si veda Gino Arrighi, Romualdo Volpi, sacerdote liberale lucchese, Estratto dal Tomo XI, Nuova Serie degli Atti dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, Felice Le Monnier, Firenze, 1961.

4 Giovanni Spadolini, L’Italia della ragione. Lotta politica e cultura nel Novecento, Le Monnier, Firenze, 1978, pagina 277 e seguenti.

5 L’apostata Gavazzi in Lucca nel marzo 1868, Tipografia Landi, Lucca, 1868.

6 Natalia Sereni, Palpiti d’amor di Patria a Bagni di Lucca, Maria Pacini Fazzi, Lucca, 2011, pagina 6 e seguenti.

7 Danilo Orlandi, La Versilia nel Risorgimento, Edizioni Versilia Oggi, 1976. Confronta anche Giorgio Giannelli, Almanacco Versiliese, Roma, Edizioni Versilia Oggi, 2001.

8 Antonio Polito, I no impossibili dei genitori ai loro ragazzi, il «Corriere della Sera», 13 gennaio 2017.

9 Roberto Pizzi, Collodi personaggio del Risorgimento, in «Documenti e Studi», Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, numero 35, 2013, pagina 151 e seguenti.

(ottobre 2023)

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