Un autentico patriota
Ricordo di Daniele Lembo nel decennale dalla scomparsa

Sono trascorsi dieci anni da quando Daniele Lembo è «andato avanti» lasciando un’eredità di valori e di testimonianze che non possono essere dimenticati, assieme a un grande esempio di vita. La mancanza di questo patriota continua ad avvertirsi da parte di tutti, e in modo più intenso da coloro che ne conobbero la fedeltà al «nobile sentire» e nello stesso tempo, all’obbligo di agire in conseguenza.

Era un uomo dello Stato, e proprio perché tale non faceva mistero dei suoi ideali, riassumibili in istituzioni ispirate ai valori non negoziabili dell’«ethos», nell’ambito di un’azione politica capace di coniugarsi al meglio con il perseguimento del bene comune, di un rinnovato senso della nazionalità e di un nobile patriottismo scevro da compromessi. Comprendeva certamente di non essere molto attuale, ma sapeva per lucida consapevolezza di esperienza e di studi che in molte occasioni la storia, ivi compresa quella italiana, è stata fatta dalle minoranze illuminate e dalla fede che erano in grado di promuovere. In questo modo di pensare non sarebbe stato azzardato cogliere una reminiscenza del Vico e della sua teoria ciclica dei corsi e ricorsi.

«Di multiforme ingegno» nel vero significato della parola, aveva saputo conciliare un forte impegno professionale con quello altrettanto vivo di storico e giornalista, dedicando attenzioni prioritarie alle vicende della Seconda Guerra Mondiale: ciò, con particolare riferimento a quelle della Repubblica Sociale Italiana, alla resistenza fascista nell’Italia occupata, ai delitti compiuti dai partigiani nell’ultimo biennio del conflitto e soprattutto a guerra finita. Ad alcuni episodi, Lembo volle riservare pagine indimenticabili: per fare qualche esempio, basti ricordare quelle sulla difesa dell’Agro Pontino dopo lo sbarco alleato di Anzio, o sui bombardamenti criminali effettuati dall’aviazione anglo-americana in palese spregio del diritto internazionale bellico, come nel caso particolarmente drammatico, o meglio efferato, per il numero di vittime innocenti della scuola di Gorla, presso Milano, dove il 20 ottobre 1944 gli incursori uccisero 184 bambini, e una ventina d’insegnanti e loro collaboratori.

Nelle sue opere documentate, e sempre obiettive, Lembo non ha fatto concessioni a una «vis» polemica che sarebbe stata comprensibile, se non anche giustificata in un’opera di fede come la sua, ma si preoccupava di non derogare ai canoni della vera storiografia e di mettere a disposizione dei lettori, a futura memoria, la testimonianza dei fatti, e quindi, delle matrici e delle responsabilità che ebbero a determinarli. Ne emerge un quadro partecipe ma nello stesso tempo schietto di una realtà che si commenta da sola e implica giudizi motivati, finalmente condivisi anche da taluni di coloro che – bontà loro – non avevano scelto la cosiddetta «parte sbagliata».

Attenzioni specifiche sono state dedicate da Lembo alla storia della Venezia Giulia e alla tragedia delle Foibe e dell’Esodo, con espressioni misurate ma proprio per questo icastiche, come quando, soffermandosi sulla prassi partigiana di legare i prigionieri e di sparare soltanto al primo, in modo da precipitarlo nella voragine carsica trascinandosi dietro gli altri, si era limitato a constatare non senza una punta d’ironia che ciò consentiva di «risparmiare pallottole». Con parole elette e sensibili aveva commemorato, fra i tanti episodi di quel grande dramma, la strage di Vergarolla del 18 agosto 1946, ordita dall’OZNA sull’omonima spiaggia di Pola per accrescere il terrore e accelerare, con l’Esodo, la pulizia etnica voluta da Belgrado: un eccidio – parte di un più ampio delitto contro l’umanità – in cui persero la vita oltre cento vittime innocenti, in buona parte donne e bambini.

Al grande spirito dolente di Daniele Lembo ripugnava che l’Italia avesse perduto due intere regioni come l’Istria e la Dalmazia a vantaggio di chi non aveva titoli oggettivi per giustificare tale usurpazione: quella del confine orientale era stata una tragica guerra di «tutti contro tutti» in cui Tito, alla fine, era stato capace di emergere e di farsi riconoscere dagli Alleati, grazie alle loro «approssimazioni successive», quale rappresentante ufficiale della Jugoslavia, a prezzo di indicibili efferatezze.

L’attenzione per la grande storia non gli impediva di sviluppare quella per le infinite tragedie personali che costellarono un periodo così plumbeo, ricordando i caduti con ammirazione e con affetto, senza trascurare frequenti visite di omaggio a vari «Campi della Memoria» e senza dimenticare di porre in evidenza come il loro sacrificio, reso più crudele dalle agghiaccianti angherie dei partigiani, a cominciare da quelli titoisti, fosse stato indotto da una pagina ingloriosa come quella dell’8 settembre, in cui il tradimento si era unito alla fellonia e alla disorganizzazione elevate a sistema.

Qualora uomini come Daniele Lembo non avessero lasciato ai posteri un messaggio di fede e di beninteso impegno patriottico si sarebbe dovuto inventarli, ma grazie al Cielo ci sono stati e ci affidano un patrimonio inestinguibile di valori e la consapevolezza che vale sempre la pena di battersi per il loro perseguimento, anche quando sembra che siano oscurati dal pressappochismo oggi dominante e da un relativismo edonistico fine a se stesso. Onorarne la memoria è doveroso, raccogliendone il testimone a futura memoria e proseguendo la buona battaglia.

In questo senso, ricordare Daniele affidandone la memoria alle riflessioni delle migliori coscienze nazionali è un atto dovuto, ma prima ancora costituisce un imperativo morale mutuato da una vera e propria «eredità d’affetti» come quella che Ugo Foscolo aveva posto a presidio e presupposto dei suoi Sepolcri, nella stessa logica che governa l’esistenza di tanti memoriali e monumenti storici in onore dei caduti di tutte le epoche e di tutte le guerre.

L’insegnamento di più alto spessore affidato da Lembo al comune sentire è quello rivolto a tenere alta la bandiera, anche se un colpevole oblio pare sostituirsi al forte esempio di pensiero e di azione; e quindi, di operare oltre ogni ostracismo e ogni incomprensione nella matura consapevolezza di affidarsi a un chiaro impegno volitivo, a un tempo etico e politico, capace di far germogliare il buon seme, e alla fine, di «spostare grandemente la linea del possibile» – come da felice espressione di Benedetto Croce – verso l’avvento di uno Stato sociale davvero giusto, e sempre attuale.

(settembre 2023)

Tag: Carlo Cesare Montani, Daniele Lembo, Giambattista Vico, Maresciallo Tito, Ugo Foscolo, Benedetto Croce, Agro Pontino, Anzio, Gorla, Milano, Venezia Giulia, Vergarolla, Pola, Belgrado, Istria, Dalmazia, Jugoslavia, Seconda Guerra Mondiale, Repubblica Sociale Italiana, Foibe, Esodo giuliano istriano e dalmata, OZNA, Bombardamenti Alleati, Campi della Memoria.