Esodo e foibe: dal ricordo all’impegno
Per una memoria più completa e consapevole

Si compie un ventennio dalla promulgazione della Legge 30 marzo 2004 numero 92, voluta dall’Italia, con voto parlamentare sostanzialmente unanime – quelli di segno contrario furono appena 15 – per ricordare l’immane tragedia storica del grande esodo giuliano, istriano e dalmata, l’agghiacciante vicenda delle foibe e la «complessa vicenda del confine orientale». Quella normativa, che intese programmare uno specifico riconoscimento ai congiunti delle vittime da conferire proprio nel termine ventennale, e promuovere la commemorazione celebrativa di quel dramma nelle scuole di ogni ordine e grado, ebbe il nobile intento di elidere un silenzio ufficiale troppo lungo, ma i suoi effetti sono rimasti circoscritti a una commossa reminiscenza, cui non hanno fatto seguito, come sarebbe stato auspicabile alla luce della stessa volontà legislativa, impegni concreti volti a rimuovere una lunga serie di ingiustizie.

In effetti, gli scopi dichiarati della Legge sono stati conseguiti in parte minoritaria: non a caso, i riconoscimenti consegnati agli eredi dei caduti assommano a circa un migliaio, con un’incidenza tuttora marginale sulla cifra dei potenziali aventi diritto, maggiore di quasi venti volte, come da precise valutazioni di un attento storico istriano come Luigi Papo, che fu anche patriota. Quanto all’informazione scolastica, il suo carattere episodico è stato motivato con pervicace ricorrenza da frequenti ostracismi nell’ambito degli Istituti interessati e dagli stessi libri di testo, in buona misura lontani dalla necessaria oggettività.

Senza Ricordo non può esistere un futuro civile e consapevole, ma proprio per questo una corretta applicazione della Legge numero 92 avrebbe dovuto estendersi, non tanto a pur legittime proteste, quanto a proposte efficaci, e di possibile realizzazione immediata a cura del momento politico. Ciò, nella matura consapevolezza di dover dare la preferenza, nell’immediato, alle iniziative che non inducano rilevanti costi aggiuntivi per la finanza pubblica, chiamata al risanamento, tanto arduo quanto oggettivamente necessario.

Al riguardo, si possono nuovamente proporre alcuni interventi fattibili in tempi celeri, e quel che più conta, di riconosciuta rilevanza etica: proroga della stessa Legge numero 92 nella parte riferita alla scadenza del termine ventennale per i conferimenti in onore delle vittime; ristrutturazione dei testi per le scuole nelle parti concernenti esodo e foibe; revoca, sebbene di valenza ormai simbolica, del trattamento pensionistico ai responsabili di quei delitti contro l’umanità reso più grave dalla piena e incostituzionale reversibilità; applicazione effettiva della Legge 15 febbraio 1989 in materia di anagrafe con l’introduzione di adeguate sanzioni a carico dei soggetti giuridici inadempienti (si tratta di cassare la dizione «nati in Jugoslavia» nei documenti di esuli venuti alla luce in territori che erano stati italiani fino alla data di vigenza del trattato di pace).

Queste misure potranno essere utilmente integrate con altre provvidenze maggiori non appena ciò sia consentito dalla politica economica nazionale, ma nel frattempo sarebbe importante, e confortante, prendere atto di una diversa disponibilità in primo luogo etica, che finora è stata patrimonio di nobili minoranze, in palese deroga all’effimero risveglio della breve stagione di condivisioni collettive, in cui si era pervenuti alla promulgazione della Legge istitutiva del Ricordo.

È certamente indispensabile approfondire la conoscenza della storia evitando celebrazioni fondate sulla sola commozione, peraltro comprensibile, e mettendo a fuoco caratteri e dimensioni del genocidio di cui le genti giuliane, istriane e dalmate furono vittime incolpevoli, spesso con straordinaria efferatezza.

In tale ambito, è congruo ricordare, fra l’altro, che i luoghi dell’estremo sacrificio raggiunsero le centinaia. Che la persecuzione ebbe carattere interclassista andando a colpire in misura maggioritaria proprio i nullatenenti ed estendendosi a circa novanta categorie professionali. Che quote ragguardevoli dei caduti furono ascritte dalla popolazione femminile e persino dai minori. Che il «pogrom» investì tutte le età, dai neonati agli anziani quasi novantenni. Che un quarto dei massacri fu compiuto a carico di soggetti provenienti da altre regioni – segnatamente del Mezzogiorno – in buona misura servitori dello Stato con la sola colpa di avere onorato l’imperativo del dovere. Che i campi jugoslavi di prigionia e di sostanziale sterminio furono almeno 120, superando persino quelli italiani in cui i profughi furono precariamente ospitati. Che l’esodo assunse dimensioni davvero plebiscitarie, estendendosi ai nove decimi della popolazione, con punte superiori in diverse città istriane.

Ammettere ufficialmente queste realtà, anche da parte di Lubiana e Zagabria, e prima ancora di Roma, è il presupposto, se non altro, di un risarcimento etico prioritario alla luce delle «alte non scritte e inconcusse leggi» di antica memoria; a patto che l’assunto non si limiti a formule accademiche spesso ripetitive, né tanto meno alle «frottole rimate» di più recente formulazione poetica.

La politica italiana e le stesse organizzazioni del popolo giuliano, istriano e dalmata, al pari di quelle d’Arma, hanno l’obbligo di attualizzare la filosofia della volontà, secondo cui questa prerogativa dello spirito è quella che più di tutte distingue l’uomo vero da quello rassegnatamente labile. San Paolo e Machiavelli, nelle pur diverse prospettive di azione rivolta, rispettivamente, alla salvezza dell’anima, e poi a quella dello Stato, posero in luce la necessità di «essere pronti». È un assunto da condividere anche a proposito di esodo e foibe, e della speranza, non disgiunta dalla fede, che cotanta tragedia continua a suscitare nella coscienza collettiva: la storia non finisce oggi né domani, e proprio per questo impone di non abbassare mai la guardia a tutela del buono e del giusto, e conseguentemente, di una ritrovata capacità di cogliere le occasioni che l’Italia ha colpevolmente perduto negli ultimi decenni, per lo meno con decorrenza dall’infausto trattato di Osimo, con cui fu formalizzato il trasferimento «gratuito» alla Jugoslavia della sovranità sulla Zona «B» del cosiddetto Territorio Libero di Trieste (1975).

Sta scritto nell’Ecclesiaste che esistono un tempo per morire, e un tempo per vivere; un tempo per distruggere, e un tempo per costruire; un tempo per amare, e un tempo per odiare. Ebbene, quelle di esodo e foibe furono stagioni di dolore e di pianto. Oggi è necessario superarle e sublimarle nelle forze della vita, compresa – con buona pace dei «vigliacchi d’Italia» – quella dell’odio nei confronti del «Male Assoluto», che in aderenza alla perenne tradizione cristiana è soltanto Satana, artefice primo dei delitti contro l’umanità.

(febbraio 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, esodo e foibe, Legge 30 marzo 2004 numero 92, vicenda del confine orientale, Luigi Papo, Giorno del Ricordo, campi jugoslavi di prigionia e di sterminio, trattato di Osimo, Territorio Libero di Trieste, Male Assoluto.