Memorandum Ottantotto
Meritorie iniziative patriottiche nella Trieste di fine Novecento: il contributo di Italo Gabrielli

Dopo la scomparsa del Professor Italo Gabrielli, «andato avanti» nel gennaio 2018 all’età di 97 anni, le prime visite esplorative all’archivio del grande patriota istriano (autorevole storico della Venezia Giulia e dell’Istria, leader dell’opposizione al trattato di Osimo ed esponente di punta del nuovo irredentismo etico) hanno permesso di portare alla luce ulteriori suoi contributi, di specifico interesse quali documenti di un’epoca ben datata, ma di permanente valore critico e informativo.

Un contributo di particolare spessore riguarda l’approfondimento di alcune specifiche iniziative di Gabrielli, effettuato in un testo inedito e dattiloscritto in proprio (Memorandum Ottantotto: Il confine orientale – Storia, diritti e tormenti di un popolo che vuole sopravvivere, Trieste 1993, 45 pagine). Si tratta di una silloge dall’attribuzione certa, in quanto reca note manoscritte e firma autografa del Professore a conclusione del testo, la cui lettura, se non altro per lo stile, suggerisce l’ipotesi integrativa che sia stato scritto con il concorde supporto di qualche altra mano. Del resto, la presentazione «a cura» del Gruppo Memorandum Ottantotto (come da anno di fondazione) significa che esprime gli auspici, le idee e le valutazioni collettive degli aderenti a detto movimento, tutti patrioti di provata fede.

Al di là del trentennio trascorso e della naturale mutazione di talune prospettive, il testo si presenta quale documento di evidente valore storico sui cui contenuti essenziali vale la pena di soffermarsi ai fini di un primo, indispensabile inquadramento etico-politico, idoneo a sottolinearne taluni aspetti di permanente attualità.

Molta acqua è passata sotto i ponti e alcune rivendicazioni fondamentali formulate nell’opuscolo hanno perduto, almeno in parte, la forza polemica che potevano avere all’inizio degli anni Novanta. A esempio, sembra utopistico presumere che gran parte degli Esuli (la cui maggioranza appartiene ormai alla seconda e anche alla terza generazione) sia disponibile a tornare in Istria e Dalmazia e a risiedere nei luoghi d’origine; ed è altrettanto velleitario pensare che l’Italia possa trovare occasioni di breve termine per promuovere il ripristino della propria sovranità sulle terre che le appartennero fino al 15 settembre 1947 (cosa ritenuta propedeutica a ogni possibile opzione di ritorno). Ciò senza dire che la sola ipotesi in parola incontrerebbe l’ostracismo della Comunità Internazionale e della stessa Unione Europea.

Queste considerazioni oggettive non inficiano la validità di una possibile strategia ad ampio impatto e lungo termine, non solo istriana, fiumana e dalmata, e ben diversa da quelle ufficiali, finalizzata a «cogliere» ogni eventuale occasione geopolitica, sull’esempio della Germania di Helmut Kohl al tempo della riunificazione: ciò, ben diversamente da quanto accadde nel 1975 con il trattato di Osimo e più tardi col riconoscimento delle nuove Repubbliche ex Jugoslave entrate nell’Unione durante lo scorcio iniziale del XXI secolo, senza alcuna contropartita. Ciò, diversamente da quanto accadde per altri Stati Europei: a esempio, la Gran Bretagna pretese l’impegno di tali Repubbliche per il rispetto dei diritti umani, catafratti senza remore dalla vecchia Jugoslavia.

Sino alla tarda età, Italo Gabrielli si distinse per l’alto spessore morale e civile delle sue istanze, tanto più impegnative in quanto formulate nella matura consapevolezza di Cattolico osservante, fedele al perseguimento del bene comune, lungi da ogni egoismo di parte. Cosa che spiega ancora meglio la sua insistenza sui fattori etici, non disgiunti da quelli giuridici e politici, come nella sua maggiore opera (Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, Lithos Stampa, Pasian di Prato 2011, 160 pagine; e la seconda edizione ampliata del 2018, uscita per Luglio Editore, Trieste 2018).

In un quadro realistico, la stessa questione dei beni abbandonati, cui l’opuscolo dedica spazio significativo, e a cui il Professore si era dedicato con costanti attenzioni accogliendo il «grido di dolore» di tanti Esuli, è ben lungi dall’essere stata risolta, anche nell’ottica riduttiva del cosiddetto indennizzo equo e definitivo: in proposito, giova rammentare che in tempi ormai lontani vennero corrisposti soltanto acconti, in genere minimi, senza dire che le ultime sentenze pronunciate in materia dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, e ribadite in ambito europeo, sembrano avere recitato il «de profundis» sulle ultime attese del mondo esule, almeno per quanto riguarda il diritto positivo, dove la questione è sostanzialmente chiusa con buona pace di quello naturale, e delle «alte non scritte e inconcusse leggi» cantate nella tradizione classica e sempre vive nelle menti e nei cuori.

La parte di maggiore interesse dell’inedito di Gabrielli rimane quella storica, arricchita da parecchi dettagli che oggi si tende volutamente a dimenticare (e che proprio per questo è bene riproporre) perché scomodi nell’ottica delle «vulgate» prevalenti: a esempio, la ricostruzione del «Narodni Dom» da parte italiana (in ripristino e sostituzione del «Balkan» dopo l’incendio del 1920); il fatto che i provvedimenti adottati nell’epoca fascista in materia di anagrafe, scuole e stampa fossero inquadrati in un’ottica di reciprocità italo-jugoslava come statuito nei trattati di Nettuno e Pallanza; il cambio di campo con cui la Jugoslavia diede origine nel marzo 1941 all’intervento dell’Asse con evidenti conseguenze strategiche nel proseguimento della Seconda Guerra Mondiale e nelle disposizioni dello stesso trattato di pace, culminate nella rinunzia della sovranità italiana su due intere regioni; e così via.

A proposito dei fatti occorsi nel luglio 1920 a Trieste con l’incendio del «Balkan» in seguito a quanto accaduto a Spalato con l’uccisione di Tommaso Gulli e di Aldo Rossi da parte slava, è utile rammentare – a integrazione dell’opera di Gabrielli – che la questione è tuttora all’ordine del giorno, perché l’edificio in parola – andato a fuoco in occasione delle manifestazioni di protesta che videro l’ulteriore estremo sacrificio di Giovanni Nini e di Luigi Casciana – pur essendo attuale sede di istituzioni universitarie italiane, è stato «promesso» alla comunità slovena locale come risarcimento dei danni provocati dall’incendio di 100 anni or sono (!), sebbene di opposta matrice, e sebbene allo stesso titolo oggettivamente gratuito fosse già stato conferito un altro edificio situato sulle rive, sede attuale del teatro sloveno di Trieste. Si tratta di un’altra storia, ma non meno attuale anche per la concomitanza con il centenario di quegli eventi: motivo di più per sottolineare la congruità delle valutazioni critiche a suo tempo formulate da Gabrielli.

Considerazioni analoghe valgono per altre vicende fondamentali nella storia del confine orientale richiamate nel testo, con particolare riguardo al citato trattato di Osimo (nella sua surreale genesi e negli infelici contenuti) che segna una linea sostanziale di non ritorno: il comportamento dell’Italia fu inaccettabile politicamente e giuridicamente, suffragando la validità etica, civile e giuridica dell’impegno profuso da Gabrielli e dai suoi compatrioti, dapprima contro la firma, poi contro la ratifica, e infine contro l’applicazione. In effetti, per molti aspetti quello di Osimo fu un «tradimento» quasi peggiore, se non altro per le diverse circostanze storiche, di quello perpetrato col «diktat» del 1947 che fra le tante inique statuizioni aveva imposto all’Italia l’obbligo di non incriminare quanti avessero «agito in favore delle Potenze Alleate e Associate» (articolo 19) e che aveva provocato la nobile protesta di Benedetto Croce e di Vittorio Emanuele Orlando nel dibattito parlamentare per la ratifica, intervenuta il 31 luglio 1947: un’altra storia che, in omaggio a tradimenti vecchi e nuovi, si tende colpevolmente a rimuovere dalle memorie collettive della migliore Italia.

(luglio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italo Gabrielli, Memorandum Ottantotto, Helmut Kohl, Tommaso Gulli, Aldo Rossi, Giovanni Nini, Luigi Casciana, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando, trattato di pace del 10 febbraio 1947, trattato di Osimo del 10 novembre 1975, incendio di Trieste del 10 luglio 1920, Balkan.