Norma Cossetto: nuove strumentalizzazioni
Panchine policrome per l’incolpevole vittima dei partigiani di Tito (1920-1943)

Norma Cossetto, Medaglia d’Oro al Merito Civile per l’eroico comportamento assunto nel 1943 davanti ai partigiani assassini, e il Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, che con encomiabile «motu proprio» avrebbe conferito la suddetta onorificenza, dopo un sessantennio, alla sorella Licia Cossetto Tarantola, sono oggi accomunati in un duplice trattamento ai limiti dell’offesa, in ogni caso paradossale, anche perché del tutto immotivata[1].

L’assunto trova motivazioni certamente non effimere nella prassi, recentemente diffusa a macchia d’olio per iniziativa di alcuni Comuni, e di qualche loro corifeo, di «onorare» una martire purissima come Norma, attraverso l’installazione, solitamente nei giardini pubblici, della cosiddetta «panchina-ricordo» (con varianti cromatiche comprese fra il rosso acceso e un tricolore presuntivamente ma non necessariamente patriottico).

Si tratta di una prassi tanto innovatrice quanto opinabile, se si pensa che già prima della surreale proliferazione «panchinara» oltre 200 Comuni italiani, all’insegna di una viva sensibilità patriottica, approvarono – spesso all’unanimità – l’intitolazione a Norma di un luogo pubblico destinato a perpetuarne la memoria storica. In genere, ciò è accaduto con riferimento prioritario alle toponomastiche cittadine, ma senza escludere riferimenti ad anfiteatri, aule, biblioteche, sale istituzionali, scuole, e così via.

Ciò posto, l’iniziativa delle «panchine-ricordo» (per non dire di quella delle cosiddette «rose-ricordo» che le ha prontamente affiancate – anche alla luce del costo minimale di siffatte «commemorazioni» o presunte tali) ha finito per soppiantare la prassi consuetudinaria già in atto, in guisa talmente ripetitiva da indurre la presunzione di una volontà innovatrice in senso tendenzialmente minimalista.

Queste considerazioni sono oggettivamente fondate, a prescindere dalla loro prioritaria rilevanza etica, persino nell’etimo. Non a caso, la panchina, diminutivo di panca, è definita dal «Vocabolario Treccani» (Milano 2003) quale «sedile fisso – spesso posto in luoghi pubblici», senza dire del significato figurativo assunto nel gergo sportivo quale «postazione riservata all’allenatore di una squadra, e ai giocatori di riserva» (donde l’espressione «restare in panchina» riferita a chi non gioca, assumendo un ruolo naturalmente subordinato). Fuor di metafora, la «piccola panca» è un oggetto con funzioni strumentali e non certo con quelle di esprimere significati eletti, né tanto meno valori patriottici[2].

Il fatto che le panchine possano essere considerate omaggio «alla memoria» in un caso di sublime sacrificio come quello di Norma Cossetto (maturato dopo il nobile rifiuto alla proposta di passare dalla parte degli assassini) unisce alla sorpresa il rammarico per l’iterazione di tali iniziative. Ne consegue un naturale invito a considerarne gli aspetti oggettivamente offensivi in sede morale, come specificato in premessa, e tanto più strumentali alla luce dei colori diversi che sembrano evocare interessate interferenze politiche di varia estrazione, destroidi, centriste o sinistrorse che siano.

Conviene aggiungere che le similitudini emerse negli ultimi tempi fra i ricorrenti e crescenti casi di stupro, talvolta con l’uccisione finale delle donne coinvolte, e il delitto contro l’umanità che ebbe in Norma una delle vittime maggiormente simboliche, e come tale destinata a diventare un emblema perenne del grande dramma giuliano, istriano e dalmata, sono per lo meno improprie. Ciò introduce, nel mondo di un’informazione sempre più affrettata e quindi aliena dalle necessarie riflessioni, caratteri sempre più approssimativi[3].

In realtà, la giovane studentessa istriana fu uccisa, insieme a tanti altri martiri, nell’ambito del disegno di «pulizia etnica» messo a punto dal sistema titoista a supporto delle annessioni che il trattato di pace avrebbe pedissequamente avallato, anche se stupri e violenze ne furono il frequente corollario a soddisfazione degli assassini e dei loro turpi disegni; al contrario, quanto accade nel nuovo millennio, promuovendo la crescita degli istinti peggiori, resta un momento di crimini «personali» resi più probabili dalla profonda crisi mondiale dei valori morali di base.

Nel nuovo millennio esistono problemi dalle dimensioni maggiori, come attestano la proliferazione degli eventi bellici e la tendenza ad anteporre l’uso della forza rispetto a quello della diplomazia: un avvitamento che, sia pure con qualche residua resipiscenza, si avverte anche in Italia. Eppure, come fu detto con indubbia lungimiranza da qualche patriota del Risorgimento, oggi dimenticato all’insegna di un impegno per il futuro che peraltro non può prescindere dai valori del passato, «chi ha cura del poco, a più forte ragione avrà cura del molto». Allora, si onorino come si deve tutti i martiri vecchi e nuovi, compresi quelli delle Foibe, o meglio dell’Italianità, e si proceda in tal senso, di grazia, prescindendo da sostanziali dissacrazioni che nella migliore delle ipotesi assumono connotati tutt’altro che funzionali allo scopo, e palesi concessioni al grottesco; mentre nella peggiore non escludono l’ipotesi del tradimento.

In conclusione, è tempo di onorare compiutamente e con maturo convincimento la «nostra» Norma Cossetto, con le migliaia di donne uccise in circostanze analoghe durante quella lunga stagione senza «pietas», e con lei, il Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi. Quest’ultimo, con commendevole iniziativa personale, dopo avere ricordato la «luminosa testimonianza di coraggio e di amore patrio» proposta da Norma all’attenzione comune, volle conferire alla memoria della martire istriana la Medaglia d’Oro al Merito, in aggiunta alla laurea «honoris causa» già concessa dall’Università di Padova, or sono tre quarti di secolo[4]. Ecco: questo è un momento di riflessione matura, da consigliare a chiunque, lungi dalle scorciatoie e dalle semplificazioni oggi di moda.


Note

1 La storiografia può contare su diversi testi concernenti la tragica vicenda di Norma, con dovizia di particolari anche romanzati, ma con una sostanziale unità di giudizi circa il punto focale del suo dramma, accentrato nella «pulizia etnica» programmata dal regime di Tito contro gli Italiani, e ammessa senza mezzi termini, in tempi successivi, dai suoi massimi luogotenenti quali Edvard Kardelj e Milovan Djilas, cui si deve la precisazione di averne «condannato» uno per promuovere l’esodo di cento. Qui, tra le fonti più ragguardevoli, basti citare quelle di Alberto Bolzoni, Roberto Menia, Rossana Mondoni, Padre Flaminio Rocchi, Guido Rumici, Frediano Sessi, e prima ancora, la sorella Licia Cossetto Tarantola, che si sarebbe impegnata per tutta la vita in un’opera di attenta, affettuosa testimonianza. Non sono mancate altre fonti dichiaratamente divulgative, soprattutto in tempi recenti, quali le varianti «fumettistiche», e come tali collocate in un’ottica che «mutatis mutandis» è assimilabile a quella delle panchine.

2 Conviene rammentare che l’omaggio ai caduti avviene per inveterata consuetudine sugli attenti, in segno del dovuto rispetto, mentre la «piccola panca» è destinata, per la «contraddizion che nol consente» di dantesca memoria, all’accoglimento di un numero ridottissimo di persone in atteggiamenti di «relax» e di conseguenti potenzialità ludiche in contrasto col ricordo dei martiri in maniera congrua e moralmente funzionale.

3 La tragedia di Norma, a ben vedere, ha trovato illustrazioni dettagliate non tanto nella grande storiografia, quanto in diversi scritti a carattere monografico, con maggiore e comprensibile insistenza sugli aspetti personali se non anche sulla psicologia della vittima, e quindi sugli ambienti in cui visse la sua breve esistenza. Sta di fatto che la sua grandezza morale è fuori discussione, a cominciare dalla nobile dignità con cui nella fase iniziale della pur breve prigionia (26 settembre-5 ottobre 1943) volle respingere il vano tentativo di trascinarla dalla loro parte, esperito dai suoi aguzzini in misura verosimilmente strumentale.

4 Nell’estate del 1943, poco prima di incontrare il proprio infausto destino, Norma aveva frequentato l’ultimo anno di corso universitario e si apprestava, dopo aver programmato gli ultimi esami nella sessione autunnale, a discutere la tesi di laurea sulla geografia e geologia dell’Istria che aveva deciso di scegliere d’accordo con il relatore, Professor Carlo D’Ambrosi, illustre cattedratico della materia. Dopo la tragedia della morte in foiba, a guerra ormai finita, vale a dire dalla tarda primavera del 1945, il suo caso fu oggetto di particolari attenzioni da parte del Rettore, Professor Concetto Marchesi, grande latinista e comunista convinto ma fondamentalmente obiettivo, che volle associarla a tanti studenti «caduti per la libertà» fino a disporre per il conferimento della laurea «ad honorem», avvenuto nel 1949. In conseguenza, il nome di Norma fu inserito assieme agli altri nella grande lapide posta all’ingresso del Rettorato, mentre in tempi più recenti un nuovo cartiglio maggiormente esplicativo fu scoperto nel loggiato adiacente.


Bibliografia essenziale

Bolzoni Alberto, Ho incontrato Norma: il mio percorso verso Norma Cossetto, Amazon Italia Logistica, Torrazza Piemonte 2021, 90 pagine (d’impostazione innovatrice, anche nel senso di utili approfondimenti a carattere psicologico)

Menia Roberto, Dieci febbraio: dalle foibe all’esodo, Edizioni del Borghese, Roma 2020, 248 pagine (sintesi dei maggiori episodi storici nelle zone del confine orientale)

Mondoni Rossana e Garibaldi Luciano, Nel nome di Norma, Edizioni Solfanelli, Chieti 2010, 148 pagine (con una lunga testimonianza della sorella, Licia Cossetto Tarantola)

Montani Carlo Cesare, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia: Pensiero e vita morale, Aviani & Aviani Editori, Udine 2021, 410 pagine (frequenti riferimenti alla vicenda di Norma)

Rocchi P. Flaminio, L’Esodo dei 350 mila Giuliani Fiumani e Dalmati, quarta edizione, Difesa Adriatica, Roma 1999, 718 pagine (disponibile anche nella traduzione inglese a cura di P. Marco Bagnarol, Associazione Giuliani nel mondo, Trieste 2010)

Rumici Guido, Infoibati (1943-1945): i nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Gruppo Editoriale Mursia, Milano 2002, 498 pagine (contiene anche i verbali della squadra di recupero delle vittime infoibate – compresa Norma Cossetto – comandata dal Maresciallo Arnaldo Harzarich)

Sessi Frediano, Foibe Rosse: la vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel 1943, Edizioni Marsilio, Venezia 2010, 149 pagine (con notizie spesso originali sulla storia della martire).

(marzo 2023)

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