Onore a Licia Cossetto nel decennale dalla scomparsa
Uno struggente ricordo della sorella di Norma, che aveva dedicato la vita alla memoria della patriota istriana diventata simbolo perenne del martirio giuliano e dalmata

Nel 70° anniversario della tragica scomparsa di Norma Cossetto, vale a dire il 5 ottobre 2013, la sorella Licia, che aveva fatto di quel ricordo una vera e propria ragione di vita, scomparve in agro di Cessalto (Venezia) all’età di 90 anni, mentre stava recandosi a Trieste per partecipare alle celebrazioni della triste ricorrenza: forse per l’ultima volta, come lei stessa aveva dichiarato agli amici che la invitavano a una ragionevole prudenza, consigliata dall’età avanzata e dalle condizioni di salute necessariamente non ottimali.

Eppure, non si era voluta sottrarre a quello che riteneva un vero e proprio imperativo categorico, alla maniera di Kant, con l’omaggio alla memoria di Norma, patriota di sicura fede, insignita di laurea «honoris causa» dall’Università di Padova (1949), dove era giunta al quarto anno di corso nella facoltà di Lettere[1], senza dire della Medaglia d’Oro al Valor Civile conferitale dal Quirinale in occasione del «Giorno del Ricordo» (2006).

Norma Cossetto

È un segno del destino che Licia sia tornata improvvisamente alla Casa del Padre proprio il 5 ottobre, durante una dolorosa anabasi verso la sua terra nativa e verso una reminiscenza sempre straziante di Norma e del padre Giuseppe[2], anch’egli vittima dell’odio di chi aveva scelto la foiba come strumento di morte allucinante per chi era colpevole di avere amato l’Italia, secondo la lucida affermazione di Maria Pasquinelli, al pari della propria anima.

Come Norma, anche Licia era diventata un simbolo del martirologio giuliano, istriano e dalmata, che non a caso era stato riconosciuto, per l’appunto, proprio dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel febbraio 2006, quando si compiacque di consegnare alla medesima Licia la Medaglia d’Oro al Valore concessa per «motu proprio» in memoria di Norma. Tale conferimento non costituiva soltanto una pur importante onorificenza conforme alle disposizioni normative, ma voleva essere un attestato del comportamento eroico tenuto dalla giovane studentessa istriana davanti ai suoi aguzzini, culminato nel rifiuto di una collaborazione per lei impensabile. Motivazione non ultima, fra l’altro, della predetta laurea «honoris causa» che l’Università di Padova volle conferire a Norma sin dal 1949, e al suo sacrificio di combattente per l’italianità, e quindi per la libertà: un riconoscimento, quello dell’Ateneo Patavino, cui non fu estraneo, fra gli altri, anche il Professore Concetto Marchesi, celebre latinista e autorevole dirigente del Partito Comunista, e tuttavia, obiettivo e consapevole.

Licia Cossetto

Licia Cossetto con Carlo Azeglio Ciampi

A proposito dell’onorificenza consegnata da Ciampi, si deve aggiungere che il Presidente, dopo averle consegnato personalmente la Medaglia d’Oro, quale testimonianza evidente di un particolare apprezzamento, chiese a Licia se fosse soddisfatta di tale sopravvenuta coscienza istituzionale, mentre lei, pur manifestando le espressioni di prammatica gratitudine, rispose di essere comunque amareggiata per aver dovuto attendere tanti decenni, sebbene la storia di Norma fosse conosciuta molto bene sin da primi anni del dopoguerra.

Da quell’epoca plumbea, Licia, sfuggita miracolosamente a un terribile destino analogo anche per mezzo di una lunga, angosciosa fuga a piedi dalla propria terra in mano straniera, aveva coniugato i doveri familiari e quelli connessi al suo ruolo pubblico di educatrice, con una lunga e convinta milizia per ricordare Norma, e con lei, tutte le vittime innocenti di un sistema perverso, non soltanto italiane. In effetti, gli uomini di Tito non facevano distinzioni tra la pulizia etnica a danno degli Italiani e quella politica o classista a danno dei connazionali che non avessero condiviso il nuovo verbo del comunismo jugoslavo. Del resto, secondo la lucida ricostruzione di Luigi Papo, furono quasi 20.000 le vittime di nazionalità italiana infoibate o diversamente massacrate dai partigiani titoisti, segnatamente nel periodo successivo alla fine delle operazioni militari: è inutile aggiungere che erano generalmente immuni da qualsiasi «colpa» o presunta tale.

In tale ottica, Licia aveva svolto opera meritoria visitando un alto numero di regioni italiane per raccontare la tragica esperienza della famiglia e di un numero ormai incalcolabile di martiri; partecipando a centinaia di iniziative in ricordo di Norma; rilasciando importanti interviste e inaugurando luoghi pubblici intitolati alla sorella. Ciò, non soltanto in campo strettamente toponomastico, dove per ogni buon conto sono oltre 100 i Comuni Italiani che hanno deliberato detta intitolazione, e peraltro senza dire di quel migliaio che ha onorato più generalmente i martiri delle foibe nella loro totalità. Di tutto ciò, il popolo giuliano, istriano e dalmata deve essere consapevole e grato, perché Licia ha lottato con alta nobiltà d’animo contro diffuse incomprensioni e inaccettabili silenzi, elisi solo in parte da circa un ventennio con la promulgazione della legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo.

Licia ha affidato alle nuove generazioni un testimone che deve essere raccolto e valorizzato al meglio, ora che la tragedia del confine orientale, con la progressiva scomparsa dei maggiori protagonisti, può aspirare alla completezza di un giudizio storico maturo e finalmente oggettivo, ma non per questo indulgente nei confronti di conclamate responsabilità criminali.

I patiboli su cui è stato versato tanto sangue giuliano, istriano e dalmata dal Risorgimento in poi, con particolari accentuazioni ed efferatezze nel quadriennio compreso fra il 1943 e il 1947, hanno lasciato un segno indelebile. Come stava scritto nell’occhiello del primo giornale fiumano dell’esilio, la gloriosa «Vedetta d’Italia» di alte memorie patriottiche, «le idee non si strozzano, ché anzi dal patibolo risorgono, terribilmente feconde».

Licia ha avuto il merito di rammentarlo agli ignari e agli immemori in una lunga serie di evocazioni non certo formali, sino all’ultima di Muggiò poco prima della scomparsa, e di avere posto le basi di un’informazione impegnativamente etica e spirituale[3], destinata a produrre, nel breve e nel lungo termine, risultati positivi e confortanti prospettive di riscatto etico e civile.


Note

1 Al momento della sua tragica scomparsa in foiba, Norma aveva raggiunto i 23 anni e stava preparando la tesi di laurea in Geografia, proprio sulla sua patria istriana dalla «terra rossa» e dalle importanti riserve geologiche e giacimentologiche. Nondimeno, alternava lo studio alla supplenza annuale di Italiano, Latino, Storia e Geografia, che le era stata affidata proprio a Parenzo in sostituzione di un professore richiamato alle armi: l’hanno ricordata recentemente, fra gli altri, alcuni ex allievi tuttora viventi, con particolare riguardo a Ottavio Sicconi, titolare della propria libreria di Latina.

2 Giuseppe Cossetto, padre di Licia e di Norma, si trovava fuori sede nella triste stagione dell’ottobre 1943, quando ebbe luogo la cosiddetta «prima ondata» del dramma delle foibe, prima della momentanea «riconquista» del territorio da parte delle forze dell’Asse. Non avendola trovata, si mise alla ricerca della figlia assieme al cugino, ma fu intercettato da una pattuglia partigiana particolarmente solerte nell’ucciderli entrambi.

3 Per una breve ma pertinente e probante informazione di fonte universitaria patavina, confronta Chiara Mezzalira, La colpa fatale di essere donna: Norma Cossetto, in «Raccontami di lei: Ritratti di donne che da Padova hanno lasciato il segno», University Press, Padova 2020, pagine 239-244.

(novembre 2023)

Tag: Laura Brussi, Norma Cossetto, Licia Cossetto Tarantola, Giuseppe Cossetto, Immanuel Kant, Maria Pasquinelli, Carlo Azeglio Ciampi, Concetto Marchesi, Maresciallo Tito, Luigi Papo, Ottavo Sicconi, Chiara Mezzalira, Cessalto, Venezia, Muggiò, Parenzo, Latina, Mille Comuni d’Italia in onore di Norma, Università di Padova, Quirinale, Medaglie d’Oro, Legge 30 marzo 2004 numero 92, La Vedetta d’Italia, Asse Italo-Tedesca.