Orfani della Patria
Un grande patriota combattente della Seconda Guerra Mondiale, prigioniero non collaboratore, presente alle Bandiere: Fernando Togni e la sua opera vivono nell’esempio e nel ricordo

La grande storia s’intreccia indissolubilmente con quelle di natura personale: anzi, si può dire che essa sia costituita da una miriade d’ideali, fatti e vicende al singolare, nel rispetto stesso dell’etimo, da cui discende che l’individuo è una realtà umana «indivisibile» e anche per questo, straordinariamente unica. Ciò non significa che il mondo dello spirito, assieme a quello sensoriale, sia costituito da una giustapposizione di monadi che non s’incontrano mai e si pongono in antitesi costante, come quelle del vecchio assunto di «homo homini lupus»: al contrario, l’esistenza della volontà e la capacità di riconoscersi in valori comuni suffragano la tesi che si possa realizzare un «troppo umano» quasi alle soglie del divino.

Fernando Togni, indimenticabile Autore di Orfani di Patria: siamo quelli che siamo, allievo di Nicolò Giani nella Scuola di Mistica Fascista, combattente della Seconda Guerra Mondiale nelle file della Decima, fedele fino in fondo al sacro principio dell’onore, è «andato avanti» in tempi recenti, dopo aver completato con questa coinvolgente pubblicazione (Greco & Greco Editori, Milano 2009, 312 pagine) un’opera di lettura impegnativa ma di fascino indubitabile sin dal titolo, compiendo un’analisi della storia d’Italia, con riguardo specifico a quella del Novecento, che non è soltanto etica e politica, ma si estende alla psicologia e alla maieutica, nell’auspicio di poterne trarre spunti costruttivi per un avvenire migliore, sia pure non immediato, e per un possibile riscatto dalle degenerazioni dell’edonismo e del materialismo strisciante, di odierno apparente successo ma dall’orizzonte oggettivamente labile.

L’opera di Togni si colloca in sintonia prioritaria con chi non è insensibile al nuovo «grido di dolore» che si leva dalle nostre contrade e in primo luogo con quanti apprezzano sempre la sintesi di «nobile sentire» e di «forte agire» da cui furono animati uomini come lo stesso Giani, e come Berto Ricci o Guido Pallotta: tutti caduti in territorio africano che seppero interpretare la Patria non già alla stregua di un «nome vano senza soggetto» buono per ogni esercitazione retorica, ma di un valore quasi trascendente e peraltro terribilmente concreto, da anteporre a qualsiasi pur autentico, vivissimo affetto personale, e se così può dirsi, a ogni suggestione borghese, fino al sacrificio della vita.

Appena ventenne nel tragico autunno del 1943, Togni seppe essere fedele alla Patria e alla Bandiera, arruolandosi nella Decima quale autentico «freiwillig» («volontario per scelta di libera volontà») e accorrendo a battersi in difesa del sacro suolo italiano sul fronte di Nettuno, dove fu catturato da reparti della Quinta Armata Americana per diventare subito «prigioniero non collaboratore»[1]: diversamente da quanti scelsero il compromesso col nemico, ebbe un trattamento assai duro, ma a un tempo, sia in occasione del primo interrogatorio a Napoli, sia più tardi, nel campo di prigionia statunitense di Hereford (Texas), l’ammirato saluto militare dei suoi interlocutori, come riconoscimento d’onore conforme a una leale prassi cavalleresca, consolidata sin dai tempi di Omero. Ecco una cosa che, ha commentato Togni con raro vigore di sintesi etica, «aiuta a morire in pace».

L’opera è una sorta di ascesa quasi rossiniana dalle vicissitudini dell’Italia liberale e dalle frequenti umiliazioni che le furono riservate nonostante la Vittoria del 1918 (basti pensare all’elemosina coloniale dell’Oltre Giuba) fino alla «rivoluzione» etica, sperimentata subito nella politica estera del nuovo Governo Fascista con la vicenda di Corfù o con l’acquisizione di Fiume, e consolidata nell’avvento di un idealismo assoluto come quello di Giovanni Gentile[2] che poneva lo Stato al vertice della filosofia e dell’azione politica, ma nello stesso tempo chiamava la responsabilità individuale a coniugarsi con il grande valore collettivo della Nazione e quindi della solidarietà. Del resto, nel 1944 lo stesso Benedetto Croce avrebbe detto che «durante gli anni di pace del deprecato fascismo» il popolo «non poteva dirsi schiavo» senza contare che il lavoro italiano «incontrava – dovunque – rispetto e considerazione» (e senza dire dei giudizi positivi espressi sul fascismo da Giuseppe Prezzolini o da Cesare Pavese – anche in questo caso dopo l’8 settembre – e puntualmente riportati).

A proposito del cosiddetto «armistizio corto» del 3 settembre, Togni non trascura di rammentare la triste ironia sui fasti del cosiddetto «principe di Cassibile» (al secolo, Pietro Badoglio) e sul giudizio impietoso che ne fu dato dagli Alleati, illustrando con evidente amarezza il fatto che, già nei cinque giorni successivi, i soldati italiani fossero caduti per mano di un «nemico» che nella sostanza delle cose non era più tale: un esempio tragico fra i tanti casi di pressappochismo e di trionfo del vecchio «particulare» di Francesco Guicciardini.

Schierandosi – senza se e senza ma – nei confronti di queste suggestioni egocentriche in cui l’uomo cessa di essere tale ponendosi agli antipodi della legge morale di Kant, Togni non ha trascurato il contributo di taluni ambienti cattolici alla dissoluzione del senso dello Stato. Nel medesimo tempo, ha messo a fuoco, in modi talvolta spietati, le conseguenze negative di un fascismo che era diventato fenomeno di massa, se non anche di profitto, finendo per abbandonare le pregiudiziali rigoriste della prima ora, salvo perseguirne un difficile recupero nella breve esperienza repubblicana (comunque importante se non altro perché nell’Italia «liberata» il potere tornava contestualmente nelle mani di vecchie oligarchie filo-monarchiche).

Nello stesso tempo, polemizza con vigore ma con argomenti inoppugnabili anche sul piano della filosofia e della logica, con la teoria della «parte sbagliata», dimostrando come la ragione non possa stare solo dalla parte di chi vince e il torto da quella di chi perde. Anzi, non manca di porre nella dovuta evidenza l’aforisma di una gloriosa Medaglia d’Oro, Teseo Tesei, il non dimenticato eroe di Malta, secondo cui «la cosa più importante» non è vincere, quanto agire «bene, con coraggio e con dignità» (naturalmente, sembra aggiungere Togni, non soltanto in guerra).

Egli sa che nella storia non è possibile tornare indietro, ma lascia spazio alla teoria dei corsi e dei ricorsi, tipica di Giambattista Vico, ipotizzando che in un avvenire sia pure mediato la riscoperta degli antichi valori possa tradursi in altre realtà e in altre soluzioni istituzionali, restituendo alla politica non tanto il vecchio ruolo, obiettivamente logoro, di arte del possibile, quanto quello di un sistema in cui perseguire il bene comune attraverso un «ethos» finalmente condiviso. In tutta sintesi, quella del Togni è una storia individuale che, come si diceva in premessa, finisce per assumere caratteri esemplari, perché diventa momento di una storia più grande in cui le esperienze di ciascuno si fondono in un panorama di valori certamente degni di essere tramandati alla memoria dei posteri e alle riflessioni degli uomini di buona volontà. Ciò appare tanto più vero alla luce di quanto, assieme a parecchi «prigionieri non collaboratori», egli volle manifestare ai vecchi avversari nell’intento di mettere in luce quanto rispondesse a verità il fatto che – come sta scritto nel Sacrario di El Alamein – nell’immane conflitto all’Italia fosse mancata «la fortuna, ma non il valore».

Togni, d’altro canto, è cultore di Machiavelli, cui aveva dedicato attenzioni specifiche sin dalla tesi di laurea, e sa bene come la «rivoluzione» del segretario fiorentino sia stata irreversibile: grazie a lui, il vecchio assunto di subordinazione della politica alla morale tradizionalista è stato rovesciato a favore di quello che pone la salvezza dello Stato alla base della nuova etica. Si tratta di una lezione realistica e moderna, ma nello stesso tempo di civiltà giuridica, in cui trovano spazio spunti di libera e impegnata convergenza, nell’ambito di una crescente condivisione dei valori essenziali.


Note

1 La storia dei prigionieri italiani «non collaboratori» è iniziata come tale dopo l’armistizio del 1943, anche se alla data dell’8 settembre circa 50.000 militari italiani erano già detenuti nella struttura statunitense di Hereford. Infatti, da quel momento in poi gli Americani avrebbero distinto chi non avesse aderito alla «Italian Service Unit» destinandolo, con un trattamento assai più duro rispetto agli altri, al cosiddetto «Fascists’ Criminal Camp» dove le condizioni rimasero insostenibili anche a guerra finita, senza dire che i rimpatri furono notevolmente postergati rispetto a quelli dei «collaboratori». Fra i prigionieri «intransigenti» dell’unità texana si annoverarono anche alcuni futuri parlamentari del Movimento Sociale Italiano, come Roberto Mieville, Giuseppe Niccolai e il mutilato di guerra Nino De Totto, ma ne fecero parte anche vari personaggi del mondo culturale, quali Giuseppe Berto, Vincenzo Buonassisi, Alberto Burri, Gaetano Tumiati e lo stesso Togni: nondimeno, parecchi di loro non erano fascisti, ma non avevano ritenuto onorevole prestare la propria collaborazione al nemico, pagando la nobiltà della propria scelta con l’assimilazione a quelli dichiaratamente politici. Comunque sia, anche loro parteciparono alla costruzione della cappella votiva che, dopo gli opportuni restauri, fu oggetto di solenne inaugurazione nell’agosto 2009 con l’intervento del Sottosegretario Onorevole Roberto Menia e di cinque ex prigionieri fra cui lo stesso Togni (confronta Alessandra Visser, La Cappella dei POW di Hereford, Ibiskos Risolo Editrice, Empoli 1997, 58 pagine).

2 Per maggiori ragguagli di sintesi circa l’idealismo italiano del Novecento, con particolare riguardo alle figure dei suoi maggiori esponenti, confronta Ferdinando Vegas, Giovanni Gentile – Benedetto Croce, in «Dizionario di filosofia», Edizioni di Comunità, Milano 1957, pagine 278-284.

(aprile 2023)

Tag: Carlo Cesare Montani, Fernando Togni, Nicolò Giani, Berto Ricci, Guido Pallotta, Omero, Giovanni Gentile, Benedetto Croce, Giuseppe Prezzolini, Cesare Pavese, Pietro Badoglio, Francesco Guicciardini, Immanuel Kant, Teseo Tesei, Giambattista Vico, Nicolò Machiavelli, Roberto Mieville, Giuseppe Niccolai, Nino De Totto, Giuseppe Berto, Vincenzo Buonassisi, Alberto Burri, Gaetano Tumiati, Roberto Menia, Alessandra Visser, Ferdinando Vegas, Napoli, Hereford, Texas, Italia, Oltre Giuba, Corfù, Fiume, Cassibile, Malta, El Alamein, Seconda Guerra Mondiale, Decima Flottiglia MAS, Scuola di Mistica Fascista, Quinta Armata Americana.