1962, quando il Papa impedì l’olocausto nucleare
La «crisi di Cuba» e il ruolo fondamentale che ebbe Papa Giovanni XXIII per la sua soluzione

È il 22 ottobre 1962. Una giornata come tante altre, nell’Italia che ha visto sbocciare il «miracolo economico». Anzi, sono i giorni in cui si guarda con rinnovata speranza al futuro grazie all’inizio del Concilio Vaticano II, voluto con forza da Giovanni XXIII, il «Papa Buono». Ricorda lo storico Agostino Giovagnoli: «Nel cuore e anche nel magistero di Giovanni XXIII, il Concilio e la pace erano due temi strettamente uniti. Se ricordiamo il famosissimo “Discorso della luna”, pronunciato la sera dell’11 ottobre 1962, c’è il senso emozionato di Giovanni XXIII davanti a un avvenimento che gli pareva talmente grande, per la sua portata mondiale, da creare una novità anche sul piano dei rapporti tra tutti gli esseri umani e, dunque, anche sul piano della pace».

Ma oltreoceano, la situazione è molto meno rosea, anzi, è addirittura drammatica: il Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, si rivolge alla Nazione attraverso la televisione. L’annuncio è spaventoso: navi sovietiche si dirigono verso Cuba per armare con testate atomiche le installazioni presenti sull’isola caraibica, a poche decine di chilometri dalle coste statunitensi. La crisi è iniziata in realtà domenica 14 ottobre, quando il Presidente Kennedy viene informato dalla CIA che un aereo spia americano U2 ha svelato la presenza a Cuba di missili a medio raggio, con relativi sistemi di lancio. Dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro (il quale ha imposto una feroce dittatura che ha portato alla fucilazione non solo di migliaia di oppositori, ma anche di molti rivoluzionari caduti in disgrazia), il Paese caraibico ha deciso di schierarsi al fianco di Mosca, chiedendo ai Sovietici di proteggere l’isola militarmente: in precedenza, gli Stati Uniti avevano infatti tentato di abbattere il Governo di Castro attraverso un tentativo insurrezionale organizzato da esuli anticomunisti addestrati in Florida, un’operazione conclusasi tragicamente con il fallito sbarco alla Baia dei Porci. Ora, coi missili alle porte degli Stati Uniti, basterebbero 40 secondi perché un missile lanciato da una di quelle postazioni raggiungesse il territorio americano – 40 secondi di tempo per rilevare il lancio, allertare la protezione civile, mettere in allarme la popolazione perché cerchi un rifugio. 40 secondi prima di morire!

Valutata la gravità della minaccia, Kennedy ordina il blocco navale di Cuba, chiedendo la rimozione dei missili; in caso contrario si vedrebbe costretto ad attaccare l’isola (provocando di fatto la reazione sovietica e quindi, molto probabilmente, lo scoppio di una guerra nucleare). Nel frattempo, venticinque navi sovietiche si stanno avvicinando a Cuba.

Il 24 ottobre, le navi della 2° Flotta della Marina degli Stati Uniti raggiungono il Mar dei Caraibi, e contemporaneamente vengono messi in allarme l’Esercito e l’Aviazione; la Marina sovietica tiene le proprie forze vicino alla zona calda, evitando però qualsiasi atto di provocazione.

L’isteria si impadronisce della gente. Si scavano improbabili rifugi antiatomici nei giardini, mentre la televisione avvisa: se si sentono le sirene d’allarme, gettarsi a terra e coprirsi con una coperta o un lenzuolo, per evitare le radiazioni di un’eventuale esplosione atomica. Sono giorni di tensione spasmodica, tutto sembra precipitare nel baratro di un conflitto nucleare devastante. Stati Uniti e Unione Sovietica non si parlano, tutti i canali di comunicazione sono stati sigillati. La tensione sale alle stelle ed il mondo rimane con il fiato sospeso.

In questa situazione di stallo, interviene con tutta la sua forza morale e spirituale Giovanni XXIII. Anzi, è lo stesso Kennedy a chiedere al Beato Roncalli (presto Santo), di fare da ponte con il Cremlino, come ricorda il già citato professor Giovagnoli: «Il Presidente Americano Kennedy riteneva che un appello del Papa avrebbe potuto sbloccare la situazione. Naturalmente, Giovanni XXIII fu molto toccato da questa richiesta: sentì la responsabilità di agire ed agì attraverso un messaggio, un invito pubblico alla pace».

L’intervento del Pontefice si realizza attraverso un radiomessaggio, consegnato prima agli ambasciatori di Washington e Mosca, e poi trasmesso dalla Radio Vaticana alle ore 12 di giovedì 25 ottobre. Parlando in francese, il Papa rivolge un fervido appello per instaurare e consolidare il bene supremo della pace, toccando le coscienze di milioni di persone, senza distinzione di credo religioso:

«“Signore, ascolta la supplica del Tuo servo, la supplica dei Tuoi servi, che temono il Tuo nome” (Neemia, 1, 11).

Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti dal profondo del nostro cuore ammutolito e afflitto.

Mentre si apre il Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie.

La Chiesa – e Noi lo affermavamo accogliendo le ottantasei Missioni straordinarie presenti all’apertura del Concilio – la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obiettivi si realizzino. Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!”.

Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze.

Che continuino a trattare, perché questa attitudine leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra.

Che tutti i Nostri figli, che tutti coloro che sono segnati dal sigillo del battesimo e nutriti dalla speranza cristiana, infine che tutti coloro che sono uniti a Noi per la fede in Dio, uniscano le loro preghiere alla Nostra per ottenere dal cielo il dono della pace: di una pace che non sarà vera e duratura se non si baserà sulla giustizia e l’uguaglianza. Che a tutti gli artigiani di questa pace, a tutti coloro che con cuore sincero lavorano per il vero bene degli uomini, vada la grande benedizione che Noi accordiamo loro con amore al nome di Colui che ha voluto essere chiamato “Principe della Pace” (Isaia, 9, 6)».

Il messaggio è immediatamente diffuso in ogni continente dalla stazione Radio Vaticana, quindi ritrasmesso da numerosi centri radiofonici e televisivi. Il giorno seguente, le parole del Papa sono riprese dai principali quotidiani internazionali.

Fra il 26 e il 27 ottobre, giungono a Washington due importanti lettere da Mosca, nella prima delle quali si accettano larga parte delle richieste americane (eliminazione dei missili in cambio dell’impegno di non compiere atti di aggressione contro Cuba). La diplomazia può riprendere il suo lavoro, e le trattative tra Stati Uniti e Unione Sovietica portano alla felice soluzione della crisi, che si conclude con lo smantellamento dei missili da parte dei Russi, e il rispetto dell’indipendenza di Cuba da parte degli Americani, i quali ripristinano la navigazione per l’isola.

Ad un mese dal suo intervento alla radio, Giovanni XXIII scrive nel suo diario: «Ricevuto il Polacco Ierzy Zawieyski confidente del Cardinal Wyszynski, e bene accetto al signor Gomulka il quale lo incaricò di portare il suo saluto al Papa, e a dirgli che la liquidazione del terribile affare di Cuba egli la ritiene dovuta allo stesso Pontefice».

È incredibile che il passo compiuto dal Papa sia stato ignorato dalla storiografia fino all’apertura degli archivi sovietici, avvenuta nel 2000; ricorda a tale proposito il Russo Anatoly Krasikov: «Certo resta curioso il fatto che negli Stati “Cattolici” non si riesca a trovare traccia di una reazione ufficiale positiva, all’appello papale alla pace, mentre l’ateo Kruscev non ebbe il più piccolo momento di esitazione per ringraziare il Papa e per sottolineare il suo ruolo primario per la risoluzione di questa crisi che aveva portato il mondo sull’orlo dell’abisso». Il Capo di Stato Sovietico, infatti, non solo invia al Papa gli auguri personali per l’ottantesimo compleanno, ma gli fa anche pervenire un biglietto augurale per (letteralmente) «i giorni Santi di Natale»; il 27 dicembre, per la prima volta la «Pravda» pubblica ampi stralci del messaggio natalizio del Papa, con un commento positivo. L’anno si chiude col «Times» che dichiara Giovanni XXIII «Uomo dell’anno» per aver «dato al mondo intero ciò che non potevano dargli né la diplomazia né la scienza: un senso dell’unità della famiglia umana».

L’esperienza drammatica della crisi di Cuba convince ancor più Giovanni XXIII dell’urgenza di un rinnovato impegno per la pace. Da questa consapevolezza, nasce – nell’aprile del 1963 – l’Enciclica Pacem in Terris, quasi un testamento spirituale di Angelo Roncalli, la prima enciclica indirizzata non soltanto all’Episcopato e ai fedeli, ma «a tutti gli uomini di buona volontà». Insegna il Papa: «Non si dovrà mai confondere l’errore di una filosofia non religiosa con l’errante. L’errante è sempre un essere umano e conserva in ogni caso la sua dignità; e va sempre riconosciuto e trattato come si conviene a tanta dignità».

«Non è solo la voce di un vecchio prete, né solo quella di un’antica Chiesa» commenta il «Washington Post», «è la voce della coscienza del mondo»; per la prima volta, un testo pontificio viene pubblicato nei Paesi dell’Est ed ottiene l’assenso della Chiesa Ortodossa. Confida Giovanni XXIII: «In questo documento ho messo me stesso, soprattutto l’umile esempio che ho cercato di dare in tutta la mia vita: “La vita di un buon uomo pacifico”».

Nell’estate dello stesso anno viene stipulato a Mosca, tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il primo accordo per regolare la corsa ai nuovi armamenti nucleari, ponendo fine a tutte le esplosioni sperimentali (salvo quelle sotterranee); e gli Stati Uniti accettano di vendere grano all’Unione Sovietica per colmare i vuoti lasciati nei silos russi dal catastrofico raccolto di quell’anno. Sono solo piccoli semi, ma che nei decenni a venire sarebbero cresciuti fino a dare i propri frutti, e a portare definitivamente il mondo fuori dalla Guerra Fredda.

(aprile 2014)

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