I diritti delle minoranze nelle terre dell’Adriatico Orientale
Monsignor Ukmar, Giovanni XXIII, il Vescovo Santin, la Pacem in terris

La Pacem in terris fu l’ultima Enciclica di Giovanni XXIII[1]. Quest’ultimo, ne aveva approvato il progetto dopo vicende che videro il mondo vicino a una guerra nucleare. Il documento venne pubblicato l’11 aprile del 1963. In quel periodo, il Papa era già gravemente segnato da un cancro allo stomaco. Dopo meno di due mesi sarebbe morto. Terminava in tal modo un Pontificato durato quasi cinque anni. Nel testo giovanneo, tra i diversi aspetti che colpiscono lo studioso, si trova anche un esplicito riferimento al trattamento delle minoranze. Si tratta di una scelta che rimane significativa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, si costituì un nuovo ordine politico internazionale. Ciò era avvenuto a danno, in più casi, di popolazioni aventi proprie storie, culture e tradizioni. In tale contesto, rimane dolorosa – in particolare – la vicenda degli Italiani che furono costretti a lasciare le terre dell’Adriatico Orientale, e a raggiungere il nostro Paese (vicenda dell’esodo), e quella di coloro che vennero eliminati nelle foibe.[2]

Il nucleo di Italiani che rimase nei luoghi dell’esodo costituì (e costituisce) una minoranza. Per un prolungato periodo di tempo, su quest’ultima (e su esodo e foibe) si volle mantenere in Jugoslavia un assoluto silenzio (anche se erano state già scoperte diverse foibe). Alla fine, però, crollato il regime del Maresciallo Tito[3], molte verità sono riemerse e rimangono a tutt’oggi materia di indagine e di studio.

In tempi relativamente recenti, le aggregazioni di Italiani che vivono nei luoghi dell’esodo, pur segnate da storie tragiche, hanno cercato di mantenere una propria presenza significativa (difesa della propria identità, storia, cultura). Nell’impegno ricordato, sono emerse nuove prospettive di dialogo con le amministrazioni statali e locali. Tale mutamento è stato facilitato anche dalla partecipazione della Slovenia e della Croazia all’Unione Europea e dallo «spazio Schengen».[4]


Alcune vicende precedenti l’Enciclica

L’Enciclica Pacem in terris (1963) fu preceduta da varie vicende: dopoguerra (dal 1945 in poi)[5], «guerra fredda» e «cortina di ferro» (dal 1945 in poi)[6], guerra di Corea (1950-1953)[7], costruzione del muro di Berlino (1961), crisi di Cuba (1962)[8], e altro. A queste realtà si deve aggiungere la guerra del Vietnam (1955-1975).[9]


Le vicende legate all’espansionismo di Tito

In tale contesto, sono pure da ricordare una serie di tragici eventi legati all’espansionismo di Tito a favore della Jugoslavia.

1) Il 1° maggio del 1945 la IV Armata Jugoslava arrivò a occupare Trieste, Gorizia e la valle dell’Isonzo. Fu seguita dalle truppe britanniche e neozelandesi. Non si riuscì, però, a determinare le competenze dei due eserciti. Il 9 giugno, USA, Gran Bretagna e Jugoslavia, siglarono a Belgrado un accordo. Vennero fissate le rispettive zone di occupazione all’interno della Venezia Giulia, lungo una linea di demarcazione definita Morgan.[10]

Fu prevista la divisione del territorio in due zone. La parte occidentale, costituita dall’area a Ovest della linea Trieste-Caporetto-Tarvisio e dalla città di Pola, venne denominata «zona A» (affidata al Governo Militare Alleato). La parte orientale, denominata «zona B», comprendente l’Istria, Fiume e le isole di Cherso e Lussino, fu amministrata dalle forze militari jugoslave.

2) L’accordo di Belgrado rimase un fatto provvisorio. Il 3 luglio 1946, USA, Gran Bretagna, Francia e URSS stabilirono nuove intese. Monfalcone e Gorizia passarono all’Italia, mentre venne istituito un «Territorio Libero», amministrato da USA e Gran Bretagna, comprendente la città di Trieste. L’Istria e gran parte della Venezia Giulia rimasero amministrate dalla Jugoslavia, inclusa Pola.

3) Il 10 febbraio 1947 i rappresentanti italiani firmarono il Trattato di Pace. Ne derivò un duro ridimensionamento del territorio della provincia di Gorizia e la perdita delle province di Zara, Fiume, Pola e di quasi tutta la restante parte dell’Istria. Inoltre la zona a Nord del fiume Quieto divenne parte integrante del «Territorio Libero di Trieste», e venne a sua volta divisa in «zona A» (controllo USA-Gran Bretagna) e «zona B», amministrata da Belgrado.

4) Il 5 ottobre USA, Gran Bretagna, Italia e Jugoslavia siglarono il Memorandum d’Intesa che assegnò in amministrazione la «zona A» e la «zona B» rispettivamente all’Italia e alla Jugoslavia. Il 10 novembre 1975, Italia e Jugoslavia stipularono un accordo che riconobbe l’appartenenza della ex «zona A» all’Italia, e della ex «zona B» alla Jugoslavia.[11]


I drammi nelle terre dell’Adriatico Orientale

Proprio nelle terre dell’Adriatico Orientale, per le vicende già ricordate, le forze militari e politiche legate a Belgrado, vollero accentuare metodi duramente aggressivi per aumentare una presenza jugoslava (ampliamento territoriale), per eliminare quelli che erano ritenuti «nemici del popolo» (dramma delle foibe[12]), e per costringere migliaia di persone ad abbandonare le proprie terre (esodo degli Italiani dall’Istria, Dalmazia e Fiume).[13]

In tale contesto, nel periodo in cui erano in corso più confronti tra Italia, USA, Gran Bretagna, e il Governo di Tito, si acuirono molteplici criticità legate all’iniziativa di nuclei comunisti anche con riferimento ai cattolici. Questi, uniti ai Vescovi e ai parroci, rimanevano fedeli al magistero del Papa (avverso alla dottrina marxista-leninista), e sostenevano l’Italianità dei luoghi. Lo stesso Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin[14] (nato a Rovigno), dovette subire un’aggressione da parte di elementi comunisti a Capodistria.[15] Era il 19 giugno del 1947. Malgrado le avversità, l’alto prelato non volle comunque interrompere l’amministrazione delle Cresime nelle aree controllate dalle milizie jugoslave. Decise così di affidare a Monsignor Giacomo (Jakob) Ukmar[16] il compito di cresimare adolescenti in territori a rischio. Tale scelta venne fatta perché questo sacerdote era Triestino di origine ma Sloveno di madrelingua.


L’operato di Monsignor Ukmar

Leggendo il «cursus» apostolico di Monsignor Ukmar si osserva un percorso significativo. Nel 1906 divenne amministratore della parrocchia di Ricmanje (San Giuseppe della Chiusa).[17] Qui, dovette affrontare anche la questione del glagolitico.[18] Fu poi rettore (1910) del convitto vescovile di Trieste, e docente di religione nel liceo statale tedesco di Trieste (1913). Subì anche un arresto dalla polizia austriaca per «lesa maestà».[19] Dopo la laurea in teologia (1917), Ukmar ricevette la nomina a direttore del seminario di Trieste (1919).

Nel suo impegno sacerdotale sostenne la «convivenza cristiana delle Nazioni» (omelie, scritti su bollettini diocesani).[20] Fu difensore dei cattolici sloveni di Trieste e dell’Istria (osteggiati dal regime fascista). Nel 1931 ricevette la nomina a prelato domestico del Pontefice, e nel 1940 divenne giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto, con sede a Venezia. In questa città conobbe l’allora Cardinale Angelo Roncalli[21], amico dei profughi istriani e dalmati.[22] L’interazione si trova attestata anche in agenda con una traccia di udienza avvenuta martedì 17 aprile del 1956. Nel secondo dopoguerra Ukmar aiutò gli internati nei campi di Chiesanuova (Padova), Gonars (Udine) e Visco (Udine). Ottenne, inoltre, la reintroduzione della lingua slovena nei riti liturgici in alcune chiese di Trieste.


Il dramma di Lanischie (Lanišće)

Nel luglio del 1947 si verificò in Istria uno dei tanti drammi del tempo. Il segretario del Comitato distrettuale («Kotarski komitet») del Partito Comunista Croato («Komunusticka Partija Hrvatske», KPH) di Pinguente («Buzet»), aveva impartito direttive per ostacolare duramente l’operato dei parroci. Si doveva approfittare di quelle situazioni ove questi «fossero stati coinvolti in attività nemiche e non democratiche». Se fino a quel momento i religiosi avevano agito liberamente, ora – con la conclusione della vertenza legata al Trattato di Pace – essi andavano «colpiti» qualora non avessero «rispettato la legge del nuovo potere popolare e la democrazia». L’arresto non era previsto per «ogni piccolezza», ma le autorità avevano comunque il dovere di «smascherarli e punirli».[23] Spettava quindi a ogni cellula del Partito capire quali fossero i metodi dei quali i parroci si servivano per lavorare contro il potere popolare.

In tale contesto, si verificò una tragedia. Il 24 agosto del 1947 Monsignor Ukmar amministrò le Cresime a Lanischie (Lanišće). In questa visita pastorale venne assistito dal giovane Don Miroslav Bulešić[24] e da Don Stefan Cek[25] (parroco). Verso le ore 11, alcuni uomini entrarono nella casa parrocchiale. Videro subito Don Miroslav Bulešić. Il prete fu bastonato, gettato in terra, contro la porta, e ucciso con colpi di coltello alla gola. Gli aggressori bloccarono anche Monsignor Ukmar. Questo sacerdote subì percosse violente. Alla fine, ritenuto morto, fu lasciato in terra in una pozza di sangue. Don Cek sfuggì all’aggressione perché nascosto in un sottoscala.[26]

Le autorità civili imposero di seppellire i resti di Don Miroslav Bulešić nel cimitero di Lanischie. Nel 1958 acconsentirono a trasferirli a Sanvincenti (in croato istriano: Savičenta) a una condizione: la lastra tombale non doveva recare scritte con il nominativo. Sulla prima lapide, di conseguenza, venne incisa la parola «presbyterum» («sacerdote»). Il 24 agosto 1987 fu riportata una nuova iscrizione con il nome e le circostanze della morte del sacerdote.[27] Nel 2003 la salma venne traslata all’interno della chiesa dell’Annunciazione.

Nel 1997 venne aperto presso la diocesi di Parenzo e Pola il processo informativo sul martirio. Nel 2004 si svolsero le fasi conclusive. Nel 2010, la Positio super virtutibus venne trasmessa alla Congregazione per le Cause dei Santi a Roma. Alla fine dell’iter, con decreto di Benedetto XVI[28] (20 dicembre 2012), venne riconosciuto che l’uccisione del Servo di Dio Miroslav Bulešić era avvenuta «in odium fidei» («odio verso la fede»). La cerimonia di beatificazione si svolse a Pola nel 2013.


Monsignor Ukmar e Giovanni XXIII

Dopo la detenzione e l’espulsione dalla Jugoslavia, Monsignor Giacomo Ukmar poté raggiungere Trieste. Qui si dedicò allo studio delle lingue classiche e orientali per meglio approfondire anche i testi della Sacra Scrittura.

1) In questi anni trasmise diverse proposte alla Santa Sede (1938 e 1945) per favorire un rinnovamento della Chiesa. Nel 1959 redasse in latino gli Atti del Sinodo diocesano. Per tale lavoro ricevette la nomina a Protonotario Apostolico.

2) Nel 1960 Monsignor Ukmar preparò – sul piano propositivo – un promemoria di alcuni argomenti che potevano essere trattati nel prossimo Concilio Vaticano II.[29] Inviò così alla Santa Sede (26 febbraio 1960) nove proposte. Di queste rimane significativa la sesta: «Ebrei: dall’ufficio del Giovedì Santo (sic) dovrebbe radiarsi l’anacronistica e offensiva preghiera». Dopo una settimana ebbe la soddisfazione di ricevere la risposta da Roma. Monsignor Loris Capovilla[30], segretario particolare di Giovanni XXIII, gli comunicò che le sue proposte erano state esaminate personalmente anche dal Papa.[31]

3) Sono tempi di dialogo non ufficiale con il Pontefice, mediato da Capovilla. Tali contatti riguardarono anche la preparazione dell’Enciclica Pacem in terris, e il Concilio Vaticano II.[32] Grazie al momento favorevole, Monsignor Ukmar – appena seppe che si stava preparando un documento del Magistero pontificio sulla pace – fece giungere a Capovilla un messaggio. Chiese di far presente al Santo Padre il problema delle minoranze.

4) Capovilla informò il Pontefice. Quest’ultimo, per il problema delle minoranze e dei profughi, gli chiese di interpellare il Vescovo di Trieste, Monsignor Santin.

5) Il Papa era amico di Santin. Conosceva i suoi interventi a favore dei profughi e del diritto delle minoranze. Questo diritto, Santin lo aveva voluto «codificare» a tutela della lingua e cultura della minoranza slovena e croata della sua Chiesa locale nel Sinodo diocesano di Trieste del 1959. Gli Atti di tale assise furono presentati ufficialmente dal Vescovo in udienza speciale a Giovanni XXIII (1960).[33] È da aggiungere infine il fatto che, da Patriarca, Roncalli fu a Trieste nel 1955 in occasione del XXXIII congresso della Gioventù Universitaria Cattolica, svoltosi al Politeama Rossetti.

6) A questo punto, Capovilla scrisse a Monsignor Santin, che preparò un testo che sarebbe diventato un paragrafo sul trattamento delle minoranze nell’Enciclica Pacem in terris. L’intervento di Monsignor Santin, chiesto da Giovanni XXIII, venne confermato anche a Monsignor Ettore Malnati[34] (diocesi di Trieste) dal futuro Cardinale Pavan.[35]

7) In una predica del 1963 Monsignor Ukmar accennò a una sua lettera con la quale aveva ringraziato il Papa per il suo Magistero a favore delle minoranze. Per umiltà, non comunicò dettagli in merito alla vicenda.

Questo tenace sacerdote, difensore degli Sloveni, dei perseguitati e degli Ebrei, ricevette nel 1970 la laurea «honoris causa» dalla facoltà di teologia di Lubiana. Morì un anno dopo a Servola di Trieste. Nel 2001 ebbe inizio il processo di beatificazione. La fase diocesana terminò nel giugno 2009.

Quando Monsignor Capovilla seppe che a Trieste era iniziato il processo di beatificazione di Ukmar, manifestò la sua gioia al Vescovo di questa città, Monsignor Eugenio Ravignani.[36] Nella sua lettera elogiò Ukmar: «È stato uno dei primi sacerdoti zelanti che hanno fornito a Giovanni XXIII materiale utile per la preparazione del Concilio Vaticano II. Ha fatto una serie di proposte che il Papa ha accolto con favore».[37]


La decisione di pubblicare l’Enciclica[38]

L’Enciclica sulla pace di Giovanni XXIII non fu un’iniziativa improvvisa. Il 10 settembre 1961 il Papa aveva già inviato un radiomessaggio «a tutto il mondo per la concordia delle genti e la tranquillità nella famiglia umana». In quella occasione affermò tra l’altro: «Chi non dimentica la storia del passato più o meno lontano, un passato raccolto nei vecchi libri di epoche disgraziate, e porta ancora negli occhi il color sanguigno delle impressioni, del mezzo secolo che decorse dal 1914 a ora, e rammenta lo strazio delle nostre genti e delle nostre terre – pur con i vari interstizi che corsero fra una tribolazione e l’altra – trema di sgomento per ciò che può avvenire di ciascuno di noi e del mondo intero. Ogni colluttazione bellica basta a sconvolgere e a far perdere i connotati delle persone, dei popoli e delle regioni. Che potrebbe accadere oggimai[39] con gli strepitosi risultati dei nuovi strumenti di distruzione e di rovina, che l’ingegno umano continua a moltiplicare a universale iattura?»[40]

In seguito, Giovanni XXIII, il 25 ottobre del 1962, rivolse un nuovo appello all’umanità per scongiurare delle possibili tragedie legate alla crisi di Cuba. Si riporta qui di seguito il testo del radiomessaggio.

«Signore, ascolta la supplica del tuo servo, la supplica dei tuoi servi, che temono il tuo nome. Questa antica preghiera biblica sale oggi alle nostre labbra tremanti dal profondo del nostro cuore ammutolito e afflitto.

Mentre si apre il Concilio Vaticano II, nella gioia e nella speranza di tutti gli uomini di buona volontà, ecco che nubi minacciose oscurano nuovamente l’orizzonte internazionale e seminano la paura in milioni di famiglie.

La Chiesa – e noi lo affermavamo accogliendo le 86 missioni straordinarie presenti all’apertura del Concilio –, la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obiettivi si realizzino.

Noi ricordiamo a questo proposito i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: “Con la mano sulla coscienza, che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: pace! pace!”

Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i Governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze.

Che continuino a trattare, perché questa attitudine leale e aperta è una grande testimonianza per la coscienza di ognuno e davanti alla storia. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra.

Che tutti i nostri figli, che tutti coloro che sono segnati dal sigillo del battesimo e nutriti dalla speranza cristiana, infine che tutti coloro che sono uniti a noi per la fede in Dio, uniscano le loro preghiere alla nostra per ottenere dal cielo il dono della pace: di una pace che non sarà vera e duratura se non si baserà sulla giustizia e l’uguaglianza.

Che a tutti gli artigiani di questa pace, a tutti coloro che con cuore sincero lavorano per il vero bene degli uomini, vada la grande benedizione che Noi accordiamo loro con amore al nome di Colui che ha voluto essere chiamato “Principe della pace”».[41]

Nel contesto fin qui delineato, avvenne un fatto. Monsignor Pietro Pavan, allora rettore della Pontificia Università Lateranense, propose alla Santa Sede[42] di riassumere in una Enciclica l’orientamento pontificio sulla pace.[43] L’idea ricevette il consenso del Papa. La stesura della prima e della seconda bozza fu affidata allo stesso Pavan. Alla fine, il documento giovanneo, dopo le revisioni di rito[44], venne promulgato da Giovanni XXIII, davanti alle telecamere della Rai, l’11 aprile 1963, Giovedì Santo.


Il testo dell’Enciclica[45]

Nel diario del Cardinale Roberto Tucci[46], allora direttore della «Civiltà Cattolica», si fa riferimento a questa Enciclica, con più dati. Riferendo di un colloquio con il Segretario di Stato Cardinale Amleto Cicognani[47], Padre Tucci annotava: «Quanto all’Enciclica, mi dice: la prima stesura fu fatta da Monsignor Pavan; era molto più lunga e fu trovata dal Papa, che ne aveva seguito tutti i passi, troppo fredda; perciò furono introdotti passi biblici ed esortativi. C’è stata poi la revisione teologica di Padre Ciappi e quella finale di Monsignor Zannoni, oltre altri apporti di persone della Segreteria di Stato».[48]

Un aspetto innovativo dell’Enciclica Pacem in terris fu che il documento non venne rivolto solo ai cattolici, ma anche a «tutti gli uomini di buona volontà». L’influsso di Giovanni XXIII rimane evidente soprattutto nell’introduzione e nelle linee pastorali finali. Il testo si articola in un’introduzione e in cinque capitoli. Vi sono evidenziati quattro fattori base per favorire un cammino di pace: la centralità della persona, inviolabile nei suoi diritti; l’universalismo del bene comune; il fondamento morale della politica; la forza della ragione e la luce della fede. In tale impostazione si ritrova un collegamento con il magistero di Leone XIII[49] e di Pio XII.[50] Si riportano qui di seguito alcuni dei diversi concetti chiave.

Introduzione (1-4).

La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio.

I progressi delle scienze e le invenzioni della tecnica attestano come negli esseri e nelle forze che compongono l’universo, regni un ordine stupendo; e attestano pure la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze e volgerle a suo servizio.

Con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza.

1) L’ordine tra gli esseri umani (5-25).

L’ordine tra gli esseri umani nella convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani.

2) Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici nelle singole comunità politiche (26-46).

L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e l’ultimo fine.

3) Rapporti tra le comunità politiche (47-67).

Le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche.

4) Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale (68-75).

I recenti progressi delle scienze e delle tecniche incidono profondamente sugli esseri umani, sollecitandoli a collaborare tra loro e orientandoli verso una convivenza unitaria a raggio mondiale. Si è infatti intensamente accentuata la circolazione delle idee, degli uomini, delle cose. Per cui sono aumentati enormemente e si sono infittiti i rapporti tra i cittadini, le famiglie, i corpi intermedi appartenenti a diverse comunità politiche; come pure fra i poteri pubblici delle medesime. Mentre si approfondisce l’interdipendenza tra le economie nazionali: le une si inseriscono progressivamente sulle altre fino a diventare ciascuna quasi parte integrante di un’unica economia mondiale; e il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, e la pace all’interno di ciascuna comunità politica è in rapporto vitale con il progresso sociale, l’ordine, la sicurezza, la pace di tutte le altre comunità politiche. Nessuna comunità politica oggi è in grado di perseguire i suoi interessi e di svilupparsi chiudendosi in se stessa; giacché il grado della sua prosperità e del suo sviluppo sono pure il riflesso e una componente del grado di prosperità e dello sviluppo di tutte le altre comunità politiche.

5) Richiami pastorali (76-91).

Ogni persona ha il dovere di partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana e della propria comunità politica; e di adoperarsi quindi, nella luce della fede e con la forza dell’amore, perché le istituzioni a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, siano tali da non creare ostacoli, ma piuttosto facilitino o rendano meno arduo alle persone il loro perfezionamento: tanto nell’ordine naturale che in quello soprannaturale.


Il trattamento delle minoranze

Nel testo della Pacem in terris, oltre a esporre i principali criteri per vivere nella pace, si volle rivolgere anche un’attenzione particolare verso le minoranze etniche. Si tratta di comunità poste all’interno di determinati Stati. In tal modo, Giovanni XXIII volle richiamare i Governanti a precise responsabilità. Essi, in concreto, devono permettere il pieno sviluppo, anche economico e sociale, delle minoranze. E quest’ultime sono chiamate a non esaltare l’appartenenza etnica in un modo che assolutizza i personalismi politici o gli interessi a questi collegati. Per la sua importanza, si riporta qui di seguito il punto 52 dell’Enciclica.

«Dal XIX secolo una tendenza di fondo assai estesa nell’evolversi storico è che le comunità politiche si adeguano a quelle nazionali. Però, per un insieme di cause, non sempre riesce di far coincidere i confini geografici con quelli etnici: ciò dà origine al fenomeno delle minoranze e ai rispettivi complessi problemi.

Va affermato nel modo più esplicito che una azione diretta a comprimere e a soffocare il flusso vitale delle minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è quando viene svolta per farle scomparire.

Risponde invece a un’esigenza di giustizia che i poteri pubblici portino il loro contributo nel promuovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume, delle loro risorse e iniziative economiche».[51]


Alcune sottolineature

Il punto 52 della Pacem in terris riveste un significato particolare alla luce di alcune evidenze. Si deve intanto ricordare che lo Statuto delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945[52] non fece alcun riferimento alle minoranze. E neanche nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948[53] si trovano affermazioni riguardanti le minoranze. A questo punto, è necessario arrivare al Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato il 16 dicembre 1966 (quindi dopo la Pacem in terris) dall’Assemblea dell’ONU per trovare dei passaggi significativi.[54]

In particolare, nel documento è inserita anche questa affermazione: «Nei Paesi in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, le persone appartenenti a queste minoranze non possono essere private del diritto di vivere, in comune con gli altri membri del loro gruppo, la propria vita culturale, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua» (articolo 27).

Pur con questo passo avanti, non mancarono comunque talune difficoltà con riferimento alla protezione giuridica delle minoranze. Diversi ambienti espressero rilievi ad accogliere nel diritto internazionale diritti collettivi oltre a quelli individuali. Esisteva, poi, la difficoltà a determinare il titolare dei diritti collettivi da accordare eventualmente alle minoranze etniche. A ciò si aggiungeva il fatto che non era semplice attribuire una personalità morale di diritto pubblico alle minoranze.[55]

Malgrado ciò, si è comunque arrivati ad acquisire un generale consenso intorno a due aspetti chiave:

– l’urgenza di lottare contro ogni misura discriminatoria delle minoranze,[56]

– la necessità di proteggere quest’ultime (un fatto che implica misure speciali).

Nel 1998 è entrata in vigore – nell’ambito del Consiglio d’Europa – la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Al riguardo si riportano qui di seguito alcuni punti significativi.

«Articolo 1: La protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a queste minoranze forma parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell’uomo e, come tale, costituisce un settore della cooperazione internazionale.

Articolo 3: Ogni persona appartenente a una minoranza nazionale ha il diritto di scegliere liberamente di essere trattata o di non essere trattata come tale e nessuno svantaggio deve risultare da questa scelta o dall’esercizio dei diritti che a essa sono legati.

Articolo 5: Le Parti si impegnano a promuovere le condizioni adatte a permettere alle persone appartenenti a minoranze nazionali di conservare e sviluppare la loro cultura, nonché di preservare gli elementi essenziali della loro identità, cioè la loro religione, la loro lingua, le loro tradizioni e il loro patrimonio culturale.

Senza pregiudizio delle misure prese nel quadro della loro politica generale d’integrazione, le Parti si astengono da ogni politica o pratica tendente a una assimilazione contro la volontà delle persone appartenenti a delle minoranze nazionali e proteggono queste persone contro ogni azione diretta a una tale assimilazione».[57]


Il trattamento delle minoranze. Segue

Il punto 53 della Pacem in terris fa riferimento in generale a quelle situazioni ove si erano delineate criticità (anche accentuate) nell’interazione tra le minoranze e i pubblici poteri. Si riporta la parte di documento che interessa.

«Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come conseguenza di una reazione al loro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere portati, non di rado, ad accentuare l’importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a porli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’umanità fosse in funzione di ciò che è proprio della Nazione.[58] Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una condizione che consente loro l’arricchimento di se stessi con l’assimilazione graduale e continuata di valori propri di tradizioni o civiltà differenti da quella alla quale essi appartengono. Ciò però si verificherà soltanto se essi sapranno essere come un ponte che facilita la circolazione della vita nelle sue varie espressioni fra le differenti tradizioni o civiltà, e non invece una zona di attrito che arreca danni innumerevoli e determina ristagni o involuzioni».


Alcune sottolineature

Come risulta evidente già da una prima lettura, il punto 53 della Pacem in terris non tace su una lunga serie di vicende che, in più Paesi, furono segnate (e continuarono anche in seguito) da attriti, resistenze, ingiustizie, pressioni ingiustificate, nel secondo dopoguerra.

Tale realtà ebbe origine dal diverso ordine internazionale che aveva fissato le sfere d’influenza (e le alleanze) delle grandi potenze. Nuovi confini erano stati tracciati nelle mappe politiche.


Nelle terre dell’Adriatico Orientale

Anche nelle terre dell’Adriatico Orientale si erano verificati dei mutamenti con effetti dolorosi sugli Italiani presenti nei diversi territori. In questi luoghi, migliaia di famiglie istriane, dalmate e fiumane (1945-1954) furono costrette ad abbandonare i luoghi del proprio vissuto quotidiano (non si trattò quindi di una libera scelta).

Si verificarono in tal modo flussi continui di profughi verso l’Italia. Tale situazione non venne accettata passivamente. Nel limite del possibile, si cercò di sollevare molteplici questioni in sedi nazionali e in organismi internazionali. La rottura poi tra la Santa Sede e la Jugoslavia, avvenuta nell’ottobre del 1946, accrebbe tensioni e rappresaglie. Per tale motivo, il Vaticano tentò alla fine di percorrere una strada capace di non aggravare la già difficile condizione delle Chiese locali.

Oggi, con il trascorrere del tempo, crollato il regime di Tito (morto nel 1980) in Jugoslavia (anni ’90 del XX secolo), divenute ormai antistoriche diverse rivendicazioni territoriali, si è strutturata una realtà che è articolata, e che presenta nuovi orizzonti.


L’attuale situazione

1) Da una parte, i profughi provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume, hanno ormai consolidato una presenza feconda in Italia. E il loro impegno nel Paese (anche sul piano della «memoria» storica) viene proseguito da figli e nipoti.

2) Dall’altra, permangono ancora presenze italiane in zone istriane, dalmate e fiumane.

3) Proprio le comunità italiane, divenute minoranze in Paesi esteri, hanno saputo dimostrare un vivace dinamismo capace di ideare e attuare progetti – soprattutto culturali – con i Governi delle nuove Nazioni.

4) Sul piano politico migliorano progressivamente i rapporti tra l’Italia e la Slovenia[59] e la Croazia.[60] Proprio l’ingresso di queste ultime due Repubbliche nell’Unione Europea, e nell’«area Schengen», consente oggi un interscambio culturale anche con le istituzioni di quei Paesi a più livelli.

5) In tale contesto, mantengono un ruolo significativo le diverse Associazioni dei profughi italiani. Queste favoriscono un costante collegamento con gli Italiani presenti in Slovenia e in Croazia. Tali organismi sono coordinati dalla Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati (costituita il 15 gennaio 1990). Vi aderiscono l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, l’Associazione Italiani di Pola e Istria-Libero Comune di Pola in esilio, l’Associazione delle Comunità Istriane, l’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo-Libero Comune di Fiume in Esilio, e l’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo-Libero Comune di Zara in Esilio.

In tale ambito, tra le iniziative di merito, si può ricordare il convegno internazionale sul tema della lingua e cultura italiana a Fiume dal 1500 ai giorni nostri, organizzato nel marzo 2022 dalla Società di Studi Fiumani con il Dipartimento di Italianistica dell’Università degli Studi di Fiume-Rijeka. Si è trattato di un appuntamento scientifico al quale hanno partecipato studiosi italiani, croati e ungheresi.[61]

In definitiva, la via del dialogo è il percorso ottimale. Può condurre anche allo sviluppo di scambi economici e commerciali di particolare interesse non solo per l’Italia, ma per ogni Paese di quell’area geografica.

Attualmente, nelle terre dell’Adriatico Orientale, rimane una Comunità di circa 20.000 connazionali, con proprie sedi in Istria, a Fiume e in alcuni centri della Dalmazia (Zara e Spalato). La Comunità nazionale italiana ha anche un proprio giornale («La Voce del Popolo») e scuole in lingua italiana. A Fiume, a esempio, esistono sei scuole materne, quattro scuole elementari e una scuola media superiore in cui l’insegnamento delle materie si svolge in lingua italiana, come lingua della minoranza nazionale italiana. Inoltre nella Fiume vecchia, nella toponomastica, alle targhe in croato sono state affiancate quelle in italiano.

Con questi dati, si può affermare che è stato applicato proprio l’auspicio della Pacem in terris, ove si invitano i membri delle minoranze a essere «ponte che facilita la circolazione della vita nelle sue varie espressioni fra le differenti tradizioni o civiltà».


La situazione dei profughi politici

Nel testo della Pacem in terris si volle anche inserire un paragrafo (57) riguardante il problema dei profughi politici. Erano ancora recenti, infatti, una serie di avvenimenti che avevano duramente colpito la vita di migliaia di famiglie. Al riguardo, si riporta qui di seguito il passo dell’Enciclica che interessa.

«Il sentimento di universale paternità che il Signore ha acceso nel nostro animo, ci fa sentire profonda amarezza nel considerare il fenomeno dei profughi politici: fenomeno che ha assunto proporzioni ampie e che nasconde sempre innumerevoli e acutissime sofferenze.

Esso sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v’è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell’ordine della convivenza, giacché la ragione di essere dei poteri pubblici è quella di attuare il bene comune, di cui elemento fondamentale è riconoscere quella sfera di libertà e assicurarne l’immunità.

Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone; e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.

Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di poter creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra».


Alcune sottolineature

La vicenda dei profughi politici ha segnato anche la vita dell’Italia perché sono stati considerati tali i cittadini italiani provenienti:

– dalla Libia, Eritrea, Etiopia, Somalia; dai territori esteri in seguito agli eventi bellici;

– da territori esteri rimpatriati per stato di necessità;

– e i figli di profughi nati nei territori di provenienza o nati in Italia entro 300 giorni dalla partenza definitiva della madre dal Paese di provenienza, purché profugo sia il genitore esercente la patria potestà.

Verso queste persone la Pacem in terris ha rivolto uno sguardo non fuggevole. Rimane centrale, in particolare, l’affermazione che ogni profugo ha diritto all’assistenza e all’inserimento nella comunità di accoglienza.

In tale contesto, anche la vicenda delle migliaia di Italiani provenienti dalle terre istriane, dalmate e fiumane, ha trovato attenzione per più motivi. Da una parte, infatti, le forme di accoglienza sono state caratterizzate da interventi a volte improvvisati, deficitari e poco rispettosi della dignità di ogni persona. Dall’altra, la stessa popolazione non sempre ha saputo essere aperta e solidale con i nuovi arrivati. Anche se non sono mancate le doverose eccezioni, la cronaca rimane segnata da vicende non sempre ispirate alla generosità e all’altruismo.

In tale contesto, diventa chiaro il richiamo della Pacem in terris: «Fra i diritti inerenti alla persona vi è pure quello di inserirsi nella comunità politica in cui si ritiene di poter creare un avvenire per sé e per la propria famiglia; di conseguenza quella comunità politica, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, ha il dovere di permettere quell’inserimento, come pure di favorire l’integrazione in se stessa delle nuove membra».


Il problema dei profughi politici. Segue

La Pacem in terris, nella riflessione sui profughi politici, esplicita inoltre delle espressioni generali di riconoscenza verso coloro che, in più momenti storici, contribuirono ad accogliere e ad assistere quanti provenivano da zone divenute a rischio. Per gli Italiani, in particolare, le situazioni di pericolo erano anche legate alle vicende delle terre dell’Adriatico Orientale. Attraverso convogli ferroviari, migliaia di Italiani furono trasportati nelle diverse regioni italiane. Qui, trovarono organismi pubblici ed enti ecclesiali che attuarono piani di protezione e di inserimento nel sociale. Con riferimento alla realtà dei profughi, l’Enciclica – pur rimanendo un documento rivolto a ogni realtà territoriale – include un passaggio significativo (58) che qui di seguito si riporta.

«Siamo lieti di cogliere l’occasione per esprimere il nostro sincero apprezzamento per tutte le iniziative suscitate e promosse dalla solidarietà umana e dall’amore cristiano allo scopo di rendere meno doloroso il trapianto di persone da un corpo sociale a un altro.

E ci sia pure consentito di segnalare all’attenzione e alla gratitudine di ogni animo retto la multiforme opera che in un campo tanto delicato svolgono istituzioni internazionali specializzate».


Alcune sottolineature

Il problema principale dei profughi, nel secondo dopoguerra, fu legato alla difficoltà di trovare adeguate sistemazioni e lavoro. Per quanto riguarda l’Italia, la maggior parte dei nuovi arrivati venne inserita in campi allestiti all’interno di caserme, scuole e strutture di vario genere. Governo centrale e amministrazioni locali operarono in modo da distribuire migliaia di persone in più località del Paese. Tra i diversi luoghi si devono ricordare anche Bergamo, nelle cui vicinanze abitava la famiglia di Giovanni XXIII, e Brescia. Ci sono dati e statistiche sui profughi ospitati nei centri a cura dell’Ufficio per le zone di confine[62] da cui risulta, a esempio, che a Bergamo (1947) furono ospitate 420 persone nei locali di un campo preparato per loro.[63] Queste stesse fonti ricostruiscono le fasi legate ai profughi che giunsero a Bergamo nel 1947. 35 persone arrivarono il 2 febbraio dopo lo sbarco dalla motonave Toscana a Venezia. 38 furono accolte l’8 febbraio. 24 trovarono riparo l’11 febbraio. 180 membri di nuclei familiari si stabilirono il 13 febbraio. Alla stazione di Bergamo venne attivato un posto di ristoro gestito dalla Pontificia commissione di assistenza (pasti caldi e prima assistenza).

A Brescia arrivarono in più momenti oltre 5.000 esuli. A questi sono da aggiungere quelli presenti nei centri di raccolta profughi di Chiari (1.500), e quelli di Fasano del Garda, Bogliaco e Gargnano (circa 2.000), per un totale di circa 8.500 (uomini, donne e bambini). L’accoglienza a Brescia fu superiore rispetto ad altre città d’Italia, con cinque campi di raccolta. Il più grande si trovava nell’attuale sede del Centro documentale in Via Callegari. In questa città il Ministero dei lavori pubblici fece edificare 200 alloggi (1957) nel quartiere di San Bartolomeo. 178 abitazioni vennero poi riscattate dagli abitanti che le acquistarono. Le case popolari furono di metratura risibile.[64]


Qualche considerazione di sintesi

La pubblicazione della Pacem in terris produsse nel 1963 consensi e riserve. Quanti operavano in progetti umanitari si rallegrarono per le affermazioni giovannee. Altri, nel migliore dei casi, dichiararono che l’Enciclica rappresentava solo un’utopia in cammino.

1) In realtà Giovanni XXIII conosceva molto bene i drammi del tempo. Era stato cappellano militare durante la Prima Guerra Mondiale, e docente di storia della Chiesa. In seguito fu Visitatore Apostolico in Bulgaria, Delegato Apostolico in Turchia e in Grecia, e – in ultimo – Nunzio Apostolico a Parigi.

2) È in questo contesto che l’anziano Pontefice, originario di Sotto il Monte (Bergamo), seguì pure i drammi legati all’esodo degli Italiani dalle terre istriane, dalmate e fiumane, e ai fatti legati alle minoranze italiane. Poté farlo anche a motivo dei contatti che esistevano con i Nunzi Apostolici, con i Vescovi diocesani, con i sacerdoti che fornirono aggiornamenti, con i suoi stessi conterranei, e con la Segreteria di Stato che gli consegnò dati riguardanti le opere cattoliche impegnate in compiti di assistenza anche a favore dei profughi.

3) Le affermazioni, quindi, del Papa – ormai prossimo alla morte – non furono né generiche, né meramente teoriche. Esse indicarono i nodi cruciali che l’umanità doveva affrontare. Operare, infatti, altre scelte avrebbe significato proseguire in una storia di drammi, di lacerazioni dei tessuti territoriali, e di vittime innocenti.

4) È noto agli storici, al riguardo, che l’intervento pontificio non fu accolto – di fatto – da coloro che, per motivi di potere a vari livelli, decisero ripetuti conflitti[65], ulteriori eccidi, nuove espansioni, che generarono un numero elevato di morti e odii senza fine.

5) Si potrebbe rischiare, a questo punto, di rimanere coinvolti da motivi di non speranza, di non vita. Esistono, però, molteplici operatori di pace che non hanno mai cessato di costruire ponti, e di accentuare momenti significativi di un dialogo tra Nazioni.[66]

6) Proprio l’esperienza dell’interazione tra Italiani, Croati e Sloveni insegna, in particolare, una verità oggettiva: non è impossibile far esplodere la pace. Basta volerlo.[67]


ALLEGATO 1: Pro memoria di Monsignor Ettore Malnati trasmesso al Professore Pier Luigi Guiducci

Saputo che il Santo Padre preparava un’Enciclica sulla pace, Monsignor Jakob Ukmar della diocesi di Trieste e membro del Tribunale Regionale Triveneto, approfittando della conoscenza di Monsignor Loris Capovilla, fece giungere a lui un messaggio affinché facesse presente al Santo Padre il problema delle minoranze.

Monsignor Capovilla informò il Santo Padre, il quale gli chiese per il problema delle minoranze e dei profughi di interpellare il Vescovo Santin che Roncalli ben conosceva anche per i suoi interventi a favore dei profughi e del diritto delle minoranze.

Questo diritto Santin lo volle «codificare» a tutela della lingua e cultura della minoranza slovena e croata della sua diocesi nel Sinodo diocesano di Trieste del 1959, i cui atti furono presentati ufficialmente dal Vescovo Santin in udienza speciale a Papa Giovanni XXIII.

L’intervento di Santin, chiesto da Giovanni XXIII mi fu confermato anche dal futuro Cardinale Pavan che ebbe parte alla stesura dell’Enciclica.

L’articolo numero 53 dell’Enciclica è la sintesi del pensiero richiamato.

In fede

Monsignor Ettore Malnati

Trieste 16 dicembre 2023.[68]


ALLEGATO 2: L’attuale situazione degli Italiani in terra istriana, dalmata e fiumana

Nell’Istria vi sono ancora consistenti comunità di Italiani (circa il 7% della popolazione), mentre in Dalmazia rimangono solo piccoli gruppi italiani di entità numerica particolarmente modesta, ultima testimonianza di una presenza che discende direttamente dalle popolazioni di lingua romanza sopravvissute alle invasioni slave. Nel gruppo etnico italiano sono inserite sia le popolazioni autoctone venetofone (Istria Nord-Occidentale e Dalmazia), che quelle parlanti istrioto della costa istriana Sud-Occidentale. Benché il numero di appartenenti alla comunità italiana sia ormai piuttosto esiguo, nell’intera Croazia ci sono più o meno un milione di persone in grado di parlare l’italiano, ovvero il 23% circa della popolazione croata.

Dal censimento condotto in Croazia il 29 giugno 2014, vivono in Croazia 34.345 Italiani, tramite autocertificazione: secondo i dati ufficiali, al censimento del 2001 furono in 20.521 a dichiararsi di madrelingua italiana e 19.636 a dichiararsi di etnia italiana. I Croati Italiani danno vita a 51 Comunità Nazionali Italiane locali e sono organizzati nell’Unione Italiana (UI).

Secondo Maurizio Tremul[69], presidente della giunta esecutiva dell’Unione Italiana, i dati del censimento nella parte in cui si chiede di dichiarare l’etnia sono un po’ alterati a motivo di un «timore reverenziale» nei riguardi dei censori che non usano l’italiano né formulari bilingui. Il censimento croato nel 2011 ha utilizzato per la prima volta una nuova metodologia in modo tale che chi non era residente nel territorio oppure non veniva trovato in casa non veniva censito.

Gli Italiani sono insediati principalmente nell’area dell’Istria, delle isole del Quarnaro e di Fiume. Nella Dalmazia costiera ve ne restano appena 500, quasi tutti a Zara e Spalato. Essi sono riconosciuti da alcuni statuti comunali come popolazione autoctona: in parte dell’Istria (sia nella Regione istriana croata, nei quattro comuni costieri della Slovenia), in parti della regione di Fiume (Regione litoraneo-montana) e nell’arcipelago dei Lussini, mentre nel resto del Quarnaro e in Dalmazia non viene riconosciuto loro alcuno «status» particolare.

Nella città di Fiume, dove ha sede il maggior giornale di lingua italiana della Croazia[70], nonché alcuni istituti scolastici in lingua italiana, ufficialmente gli Italiani sono circa 2.300, sebbene la locale comunità italiana di Fiume abbia all’incirca 7.500 iscritti.

Nel corso del XIX secolo un numero considerevole di artigiani italiani si trasferì a vivere a Zagabria e in Slavonia (Požega), dove tuttora abitano molti loro discendenti. A Zagabria si è costituita una locale Comunità degli Italiani, che riunisce prevalentemente tra i propri soci dei recenti immigrati dall’Italia, oltre a un discreto numero di Istriani di lingua italiana, spostatisi nella capitale.[71]


Indicazioni bibliografiche

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AA.VV., I messaggi del Papa buono. Le parole di pace e fraternità di Giovanni XXIII, a cura di V. Sansonetti, Rizzoli, Milano 2010

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AA.VV., L’Istria come risorsa per nuove convivenze, a cura di L. Bergnach, Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, Gorizia 1995

AA.VV., Le comunità italiane nei Balcani. Storia recente e nuove traiettorie, a cura di OBC Transeuropa – Istituto sui Diritti delle Minoranze/Eurac – Research Fondazione Museo storico del Trentino, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Roma aprile 2021

AA.VV, Naufraghi della pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, a cura di G. Crainz, R. Pupo, S. Salvatici, Donzelli Editore, Roma 2008

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AA.VV., Pacem in terris tra azione diplomatica e guerra globale, a cura di A. Giovagnoli, Guerini e Associati , Milano 2003

L. Bogliun Debeljuh, L’identità etnica. Gli Italiani dell’area istro-quarnerina, Centro di Ricerche Storiche, Rovinj/Rovigno 1995

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M. Cherini, La minoranza etnica italiana in Jugoslavia. Analisi e prospettive, Giuffrè, Milano 1983

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B. Maver, Le Nazioni Unite e la protezione delle minoranze, in: «Rivista di Studi Politici Internazionali», volume 31, numero 4, ottobre-dicembre 1964, pagine 536-564

N. Milani Kruljac, La comunità italiana in Jugoslavia fra diglossia e bilinguismo, tesi di dottorato, Facoltà di Filosofia, Zagabria 1985 (edita in: «Etnia», Centro di Ricerche Storiche, Rovinj/Rovigno, volume I, 1990)

A. Rebula, Jakob Ukmar, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992

G. Sabatini, Dalla crisi di Cuba alla «Pacem in terris». Giovanni XXIII e la pace attraverso la stampa italiana, Uni Service, Trento 2007

T. Simčič, Jakob Ukmar (1878-1971). Sto let slovenstva in krščanstva v Trstu, Trst 1986 [Jakob Ukmar (1878-1971). Cent’anni di presenza slovena e cristiana a Trieste]

M. Valente, L’Ostpolitik della Santa Sede e la Jugoslavia socialista (1945-1971), «Biblioteca della Nuova Rivista Storica», numero 57, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2020

D. Verrastro, Lontani dal focolare domestico. La Pontificia Commissione di Assistenza Profughi nell’Italia del secondo dopoguerra, in: «Archivio storico dell’emigrazione italiana», 14-18, Viterbo 2018.


Ringraziamenti

Professore Monsignor Ettore Malnati, Parroco e Vicario Vescovile per il Laicato e la Cultura, Diocesi di Trieste (fu il segretario particolare di Sua Eminenza Monsignor Santin). Dottor Valter Dadda, Segreteria Fondazione Papa Giovanni XXIII (Bergamo). Dottor Marino Micich, Presidente dell’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio, Direttore dell’Archivio-Museo storico di Fiume con sede a Roma.


Note

1 Giovanni XXIII (nato Angelo Giuseppe Roncalli; 1881-1963; Santo). Il suo Pontificato è durato dal 28 ottobre 1958 al 3 giugno 1963. Confronta anche: D. Agasso-Domenico jr Agasso, Papa Giovanni XXIII, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013. P. Hebblethwaite, Giovanni XXIII. Il Papa del Concilio, Castelvecchi, Roma 2013. Giovanni XXIII nel ricordo del segretario Loris Francesco Capovilla, intervista con Marco Roncalli, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994.

2 G. Stelli, M. Micich, P. L. Guiducci, E. Loria, Foibe, esodo, memoria. Il lungo dramma dell’Italianità nelle terre dell’Adriatico Orientale, Aracne, Roma 2023.

3 Josip Broz, nome di battaglia «Tito» (1892-1980). Rivoluzionario. Politico. Militare. Divenne Presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

4 Lo «spazio Schengen» costituisce un territorio ove è garantita la libera circolazione delle persone. La realizzazione di tale spazio avviene attraverso l’abolizione di tutte le frontiere interne e la loro sostituzione con un’unica frontiera esterna. Vengono inoltre applicate regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d’asilo e controlli alle frontiere.

5 Confronta anche: A. D’Andrea, Il secondo dopoguerra in Italia 1945-1960, Edizioni Pellegrini, Cosenza 1977.

6 J. Lamberton Harper, La guerra fredda. Storia di un mondo in bilico, il Mulino, Bologna 2020. J. Smith, La guerra fredda 1945-1991, Il Mulino, Bologna 2000.

7 S. H. Lee, La Guerra di Corea, Il Mulino, Bologna 2003.

8 La cosiddetta crisi di Cuba fu una situazione caratterizzata da una pericolosa tensione politica e diplomatica tra USA e URSS. Il motivo fu legato al posizionamento di missili balistici sovietici in territorio cubano.

9 Confronta anche: M. K. Hall, La guerra del Vietnam, Il Mulino, Bologna 2020.

10 Dal nome del Generale Britannico William Morgan (1891-1977).

11 AA.VV., Per una storia del confine orientale fra guerre, foibe, diplomazia, a cura di L. Benedettelli, M. Fiorani, L. Rocchi, Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isgrec), Regione Toscana, Grosseto 2007. F. Cecotti-B. Pizzamei, Storia del confine orientale italiano 1797-2007. Cartografia, documenti, immagini, demografia, IRSML, Trieste 2008.

12 G. Oliva, Foibe. Le stragi negate degli Italiani della Venezia Giulia e dell’Istria, Mondadori, Milano, 2003.

13 G. Oliva, Profughi, Mondadori, Milano 2006.

14 Monsignor Antonio Santin (1895-1981). Fu poi elevato al titolo di Arcivescovo. Confronta anche: E. Malnati, Il Vescovo Antonio Santin e la tutela dei diritti umani nella Venezia Giulia, Luglio Editore, Trieste 2020.

15 I fiduciari del Maresciallo Tito volevano togliere Capodistria dall’unica diocesi Trieste-Capodistria.

16 Monsignor Giacomo (Jakob) Ukmar (1878-1971; Servo di Dio). Confronta anche: A. Rebula, Jakob Ukmar, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992.

17 San Giuseppe della Chiusa, già San Giuseppe, («Ricmanje» in sloveno) è una frazione del comune di San Dorligo della Valle-Dolina (TS), nel Friuli Venezia Giulia. L’appellativo «della Chiusa» proviene dalla vicina Chiusa («Ključ»).

18 Nel 1906, un frate croato decise di celebrare in rito glagolitico nella chiesa di San Francesco di Cherso, isola prettamente italiana di storia e cultura. I fedeli, davanti a questa celebrazione, che appariva loro come un abuso nazionalistico, abbandonarono in massa l’edificio religioso, lasciando da solo il frate croato. Fatti analoghi avvennero pure in altre chiese.

19 Il suo insegnamento democratico non rispettava di frequente le rigide direttive austriache.

20 J. Ukmar, Krščansko sožitje med narodi (Per una convivenza cristiana dei popoli), Opera Culturale di Servola, Trieste 1991.

21 Il 12 gennaio 1953 il Nunzio Angelo Giuseppe Roncalli fu creato Cardinale da Pio XII e tre giorni dopo il 15 gennaio venne nominato Patriarca di Venezia.

22 E. Malnati (Vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste), Giovanni XXIII a Sotto il Monte, il significato di un ritorno, in: «Vatican Insider» (sito d’informazione de «La Stampa»), 19 gennaio 2018.

23 HDAP, f. KK KPH Buzet, b. 1, Quaderno dei verbali del Comitato distrettuale PCC di Pinguente, 1947; verbale del 17 luglio 1947.

24 Don Miroslav Bulešić (1920-1947; Beato).

25 Don Stefan Cek (1913-1983). Nativo di Krašica. Ordinato sacerdote nel 1937.

26 L’11 novembre 1951 venne aggredito Monsignor Giorgio Bruni (1900-1962), parroco e preposito capitolare di Capodistria. Aveva ricevuto mandato dalla Santa Sede di cresimare un numero significativo di adolescenti. Le violenze fisiche, ricevute da una cinquantina di miliziani di Tito, avvennero in aperta campagna mentre il sacerdote si dirigeva verso Carcause.

27 La prima tomba di Don Miroslav, quindi, fu presso il cimitero di Sanvincenti, davanti all’entrata principale della piccola chiesa dedicata a San Vincenzo martire, l’antica parrocchiale.

28 Benedetto XVI (Joseph Aloisius Ratzinger; 1927-2022). Il suo Pontificato durò dal 2005 al 2013.

29 L’apertura del Concilio avvenne l’11 ottobre 1962.

30 Sua Eminenza Monsignor Loris Capovilla (1915-2016). Divenne in seguito Arcivescovo e Cardinale.

31 Su questi aspetti si rimanda a: A. Rebula, Jakob Ukmar.

32 Monsignor Ukmar ricevette dal Vaticano il compito di tradurre in latino lo schema conciliare sulla Chiesa nel mondo moderno, e quello sulla vita e i costumi dei sacerdoti.

33 G. Botteri, Antonio Santin, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992, pagina 71.

34 Monsignor Ettore Carlo Malnati (nato nel 1945). Opera nella diocesi di Trieste. È parroco e vicario vescovile per il laicato e la cultura. Docente di ecclesiologia, antropologia teologica e trinitaria. Autore di molte pubblicazioni. Fu segretario particolare del Vescovo di Trieste Antonio Santin.

35 Monsignor Pietro Pavan (1903-1994). Professore di economia sociale presso la Pontificia Università Lateranense, 1948-1969. Rettore del citato Ateneo, 1969-1974. Professore di scienze politiche (materia che ha insegnato in latino) presso la Pontificia Università Gregoriana. Prelato domestico di Sua Santità, 1951. Creato Cardinale nel 1985.

36 Sua Eminenza Monsignor Eugenio Ravignani (1932-2020).

37 Lettera di Monsignor Loris Capovilla a Sua Eminenza Monsignor Eugenio Ravignani. Archivio Diocesano di Trieste. È stata evidenziata in grassetto una frase significativa. Confronta anche: F. Kralj, Ukmarjevega življenska pot, in «Ukmarjev simpozij v Rimu», Celje 2006, pagina 15 (F. Kralj, Il percorso di vita di Ukmar e il simposio di Ukmar a Roma, Celje 2006, pagina 15).

38 Confronta anche: A. Melloni, Pacem in terris. Storia dell’ultima enciclica di Papa Giovanni, Laterza, Bari-Roma 2010.

39 Ormai.

40 Radiomessaggio del Santo Padre Giovanni XXIII a tutto il mondo, per la concordia delle genti e la tranquillità nella famiglia umana. Domenica, 10 settembre 1961, ore 12.

41 Radiomessaggio del Santo Padre Giovanni XXIII per l’intesa e la concordia tra i popoli. Giovedì, 25 ottobre 1962.

42 Monsignor Pietro Pavan, lettera del 23 novembre 1962, indirizzata al segretario del Papa, Monsignor Loris Capovilla.

43 I dati storici sono tratti da: G. Sale, Il cinquantesimo anniversario della «Pacem in terris», in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 3.907, 6 aprile 2013, volume II, pagine 9-22.

44 Revisioni affidate al Domenicano Padre Luigi Ciappi e al Gesuita Georges Jarlot.

45 Lettera Enciclica Pacem in terris di Sua Santità Giovanni XXIII. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, edizione a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003.

46 Padre Roberto Tucci sj (1921-2015). Divenne direttore generale della Radio Vaticana. Fu poi creato Cardinale.

47 Cardinale Amleto Cicognani (1883-1973).

48 Archivio della Civiltà Cattolica (Acc), Fondo Padre Tucci. Diario del direttore. La nota è datata, 16 aprile 1963.

49 Leone XIII (Gioacchino Pecci; 1810-1903). Il suo Pontificato è durato dal 1878 alla morte.

50 Pio XII (Eugenio Pacelli; 1876-1958; Venerabile). Il suo Pontificato è durato dal 1939 alla morte.

51 Confronta Radiomessaggio natalizio di Pio XII, 24 dicembre 1941.

52 Entrò in vigore il 24 ottobre 1945, dopo la ratifica da parte dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Francia, URSS, Gran Bretagna, USA), e della maggioranza degli altri Stati firmatari.

53 Confronta anche: AA.VV., Cinquant’anni dopo. 1948-1998 Dichiarazione universale dei diritti umani, a cura di A. Cataldi e G. Baravalle, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998.

54 Diritti dell’uomo. Patti internazionali sui diritti dell’uomo, a cura del Centro d’Informazione delle Nazioni Unite per l’Italia, Malta e la Santa Sede, Roma 1993.

55 Confronta anche: R. Pirosa, Multiculturalismo. Dibattito teorico e soluzioni normative, in: «ADIR – L’altro diritto», Pacini Giuridica Editore, Pisa 2009. R. Toniatti, Minoranze, diritti delle, in: «Enciclopedia delle Scienze Sociali», Treccani, Roma 1996.

56 Implica la garanzia formale dell’uniformità di trattamento di ogni persona alla quale si tratta di garantire i medesimi diritti e doveri.

57 Consiglio d’Europa, Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali (STE numero 157). Entrata in vigore il 1° febbraio 1998.

58 In questo passaggio si fa riferimento al rischio dell’etnocentrismo come autodifesa dall’omologazione a un modello unico. La via d’uscita indicata sta nell’adozione del principio di sussidiarietà.

59 Le due Nazioni hanno stabilito le prime relazioni diplomatiche nel 1992.

60 Le relazioni bilaterali tra Italia e Croazia sono state stabilite a livello diplomatico il 17 gennaio 1992.

61 AA.VV., La cultura italiana a Fiume. Risvolti linguistici, storici e letterari, a cura dell’Università di Fiume-Rijeka, del Dipartimento di Italianistica dell’Ateneo quarnerino, e della Società di Studi Fiumani-Archivio Museo Storico di Fiume (Roma), Roma-Rijeka 2023.

62 L’Ufficio per le Zone di Confine fu attivato presso la Presidenza del Consiglio dal 1946 al 1967 e si occupò di tutte le vicende relative alle questioni delle aree di confine durante i primi governi repubblicani: in particolare il Trentino-Alto Adige e la Venezia Giulia.

63 Alessandra Fusco nel suo romanzo Tornerà l’Imperatore. Storia di una donna istriana tra guerra ed esodo (Affinità Elettive Edizioni, Ancona 2014) narra le vicende di una famiglia di Pola che si stabilisce a Bergamo.

64 Confronta in particolare: Comitato Anvgd di Bergamo e dalla Delegazione Anvgd di Brescia, Progetto Bergamo e Brescia città dell’accoglienza dell’esodo. Luoghi, storie, memoria e memorie, Bergamo-Brescia 2023.

65 Alcuni esempi: Biafra (1966-1970; 200.000 morti), Sudan (1983-2002; 1 milione), Afghanistan (1978-2002; 1 milione), Indonesia (1965-1966; 500.000), Angola (1975-2002; 1 milione), Ruanda (1994; 500.000) e Bosnia (1992-1995; 200.000), Iraq (2003-2014; 150.000 morti), Siria (2011-2014; 150.000).

66 Confronta i Nobel per la Pace, i Nobel per la Medicina e altri.

67 Si pensi, a esempio, a significative pubblicazioni culturali con testi in italiano e croato. A esempio: Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), a cura di A. Ballarini e M. Sobolevski, Ministero per i Beni e le Attività culturali, Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2002. G. Stelli, Storia di Fiume. Dalle origini ai giorni nostri, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 2016.

68 Lettera di Monsignor Ettore Malnati al Professor Pier Luigi Guiducci. Datata Trieste, 16 dicembre 2023. Archivio privato del Professor Guiducci.

69 Maurizio Tremul è nato a Capodistria nel 1962. È un politico sloveno, appartenente alla comunità italiana in Slovenia. Dal luglio 2018 è Presidente dell’Unione Italiana.

70 «La Voce del popolo». Esce tutti i giorni tranne i festivi e pubblica esclusivamente articoli in lingua italiana. È venduto agli appartenenti alla comunità nazionale italiana residente in Croazia e Slovenia. Dal 2014 è in vendita anche in molte edicole del Friuli-Venezia Giulia.

71 https://unija.Italianiazagabria.com/it/

(febbraio 2024)

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