Il disastro di Tenerife (1977)
Una tremenda collisione

È questo un caso che ha dell’impossibile: due aerei a terra, con tutto il controllo capillare possibile sui loro movimenti che, all’improvviso, si trovano sulla stessa pista e si scontrano. Purtroppo, anche questo può capitare, così come è successo il 27 marzo 1977, per la precisione alle ore 17:06:56, all’aeroporto dell’isola di Tenerife, nell’arcipelago delle spagnole Isole Canarie.

Fu un disastro enorme che causò la morte di 583 persone, diventando l’incidente più pesante e doloroso dell’aviazione, anche se è avvenuto a terra.

Quel mattino le cose erano iniziate male: infatti, un’organizzazione terrorista aveva posizionato una bomba all’aeroporto di Las Palmas della Gran Canaria, costringendo alla sua chiusura e al conseguente dirottamento del traffico aereo all’aeroporto di Tenerife, molto meno attrezzato per ricevere i grandi aeromobili intercontinentali.

Precisamente alle ore 13:15, ci fu lo scoppio della bomba in un negozio di fiori nell’aeroporto, provocando otto feriti, quindi tutto sommato un atto non particolarmente grave, anche perché una telefonata anonima aveva denunciato l’attentato in essere, per cui le autorità cittadine avevano provveduto a fare evacuare la zona. Ma ci fu un seguito: infatti, dapprima si ebbe per telefono la rivendicazione dell’attentato da parte del Movimento per l’Autodeterminazione e l’Indipendenza dell’Arcipelago Canario (MPAIAC), che chiedeva l’indipendenza delle Canarie dal Governo di Madrid, e poi la comunicazione dell’esistenza di una seconda bomba nell’aeroporto. Naturalmente, dopo lo scoppio della prima bomba e alla luce di quanto era successo in precedenza, in quel luogo stesso, alla South African Airway, cioè un attacco terroristico, la sicurezza decise di chiudere l’aeroporto e di affidare agli artificieri la ricerca dell’ordigno esplosivo; questa non approdò a nulla, come del resto doveva essere, giacché non era vero che la seconda bomba ci fosse; ma ciò si seppe solamente più tardi.

Per quella decisione, ci fu una variazione di programmi sia per chi doveva partire, che doveva immediatamente trasferirsi, sia per gli aerei in arrivo, di cui molti non erano lontani. Le autorità di sicurezza ritennero che la soluzione migliore sarebbe stata quella di dirottare tutto il traffico aereo in entrata all’aeroporto di Los Rodeos dell’isola di Tenerife, posta a una settantina di chilometri da Las Palmas, verso Ovest. Questo fu comunicato dalla torre di controllo agli aerei in avvicinamento, senza dare spiegazioni in merito. Los Rodeos era un aeroporto con ridotte disponibilità, dotato di un modesto piazzale di parcheggio, di una sola pista di rullaggio e di una di decollo, parallele fra di loro e collegate da bretelle.

Uno degli aerei protagonisti della triste vicenda era il Boeing 747-121, chiamato Clipper Victor (Volo Pan Am 1736), che aveva lasciato l’aeroporto di Los Angeles e, dopo uno scalo a quello internazionale J. F. Kennedy, era ripartito alla volta della Gran Canaria, con a bordo 396 persone, di cui 380 passeggeri e l’equipaggio formato da 16 unità; il comandante era il capitano Victor Grubbs. La maggior parte dei passeggeri era formata da anziani che, giunti all’aeroporto La Palmas delle Canarie, si sarebbero imbarcati su una nave per compiere una crociera nel Mediterraneo.

L’altro aereo era il Boeing 747-206, detto Rijn (Reno in olandese, Volo KLM 4805) con 235 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio, per un totale di 249 persone, al comando del capitano Iacob Louis Veldhuyzen van Zanten. Aveva decollato dall’aeroporto di Amsterdam-Schiphol in mattinata per conto dell’agenzia di viaggi olandese Holland Trevel Group ed era in volo senza scalo con meta l’aeroporto di Las Palmas.

Il capitano Grubbs della Pan Am chiese di restare in attesa, qualora ci fosse la speranza di poter atterrare presto, ma le autorità aeroportuali, temendo lo scoppio della seconda bomba, respinsero la richiesta, invitandolo a dirigersi per l’altra aerostazione; e lo stesso avvenne per il capitano della KLM. I comandanti, «obtorto collo», uno alla volta fecero atterrare i loro mezzi; il KLM toccò il suolo alle ore 13:38 e il Pan Am alle ore 14:15.

Come si è accennato più sopra, l’aeroporto di Los Rodeos non era attrezzato per servire i grossi velivoli che affrontavano voli intercontinentali, per cui si cercò di fare per il meglio con quanto era a disposizione. Così, ci furono gli ordinati atterraggi, che furono ben 11, con gli aerei stipati – se si può dire – l’uno attaccato all’altro, non solo nell’area di parcheggio ma pure sulla pista di rullaggio; verrebbe quasi da ricordare la battuta spesso ripetuta nei film di Ollio e Stanlio che, in questo caso, gli aerei erano come «i piselli in un baccello».

E finì che il KLM si trovò davanti al Pan Am nel rifornimento di combustibile e, sebbene con una certa attenzione quest’ultimo sarebbe riuscito a passare davanti, i piloti non si fidarono anche perché, stando alle previsioni, in soli 35 minuti questo sarebbe stato completato.

In attesa, il comandante Grubbs, che non aveva problemi per il rifornimento di combustibile, avendone a sufficienza per completare il suo volo, fece aprire i portelli, consentendo ai passeggeri di scendere, usando le autoscale fatte venire di proposito, per dar loro modo di sgranchirsi le gambe anchilosate per il lungo viaggio, raccomandando di stare nelle vicinanze, per partire immediatamente non appena fosse giunto il permesso. Lo stesso fece il comandante van Zanten, lasciando scendere i suoi passeggeri, con lo stesso avvertimento, con la speranza di decollare al più presto. Van Zanten, fra l’altro, era pure molto preoccupato perché, se si fosse tardato troppo, i passeggeri sarebbero dovuti essere alloggiati in un albergo a spese della società di navigazione aerea e, inoltre, si sarebbe dovuto attendere l’arrivo di un equipaggio sostituivo nel rispetto delle norme di sicurezza per il volo, che assolutamente non consentono ore in più di servizio.

Purtroppo non fu così, perché passò un’ora buona per completare il rifornimento del KLM, in quanto avvenne solo alle ore 16:26.

E a quel punto, van Zanten fece rapidamente salire sull’aereo i suoi passeggeri. Di questi, la guida turistica Robina van Lanschot, che abitava nell’isola Pueblo de La Cruz, decise di andare a salutare il suo fidanzato e di passare la serata con lui: si trattò di una scelta che più felice di così non sarebbe potuta essere. In tal modo, il numero dei passeggeri a bordo del KLM si ridusse a 234.

Quando la torre di controllo comunicò che ci si poteva apprestare a partire, il comandante della KLM diede ai passeggeri l’ordine di salire a bordo, perdendo però tempo prezioso per rintracciare quelli che, disobbedendo all’ordine ricevuto di non allontanarsi, si erano dispersi per l’aeroporto; comunque, un operatore aeroportuale si adoperò per recuperarli nel minor tempo possibile; così, finalmente, alle ore 16:58 si poterono chiudere i portelloni. Il pilota chiese alla torre l’autorizzazione a iniziare il rullaggio. Essendoci altri aerei in attesa, fu dato il permesso d’immettersi sulla pista di volo in corrispondenza della testata 12 e di «percorrerla in tutta la sua terza».

Purtroppo, il caos che si era formato nell’aeroporto di Los Rodeos era un’eccezione che aveva messo in seria difficoltà il personale di terra, perché non era preparato a trovarsi in una confusione del genere, anche e soprattutto perché non era previsto un traffico tale in un aeroporto semplicemente regionale. Ma ciò che maggiormente è da notare è che gli operatori spagnoli non erano molto padroni della lingua inglese, per cui, nella situazione in cui ci si trovava, questo fatto poteva dar luogo a pericolosi fraintendimenti.

Inoltre, a complicare l’intricata situazione, le radio comunicavano su un’unica frequenza, per cui ci si trovava in quattro a parlare nello stesso momento, cioè il KLM e il controllore di avvicinamento da una parte e il Pan Am con quello dei movimenti a terra dall’altra; così, alla fine, il risultato fu che i dialoghi si dimostrarono confusi e le istruzioni per il rullaggio e il decollo passibili di diverse interpretazioni.

Il KLM ottenne il permesso di entrare sulla pista, portarsi alla sua estremità dalla quale effettuare il decollo; intanto, anche il Pan Am fu autorizzato al rullaggio e, pertanto, si mosse, per mettersi in coda al KLM; ebbe il permesso di andare fino all’uscita 3 e, per fare quanto richiesto, era necessario prima girare a sinistra per 135° e poi altrettanto a destra per entrare nella via giusta. Una manovra abbastanza complessa da effettuare guidando un bestione come un Boeing; per di più, i piloti furono indecisi, perché temevano che l’aereo, essendo costretto a muoversi sull’erba, pesante quant’era, finisse per impantanarsi.

Era una manovra necessaria oppure no? Secondo gli ispettori olandesi, incaricati di far luce su quanto poi dopo accadde, si poteva fare, mentre secondo il parere della Associazione Statunitense dei Piloti Commerciali (Air Line Pilots Association) era praticamente impossibile da portare a termine. Le autorità spagnole non si esposero né per l’una né per l’altra scelta.

L’aereo americano, per colpa della cattiva qualità delle comunicazioni radio, considerato che, come si è detto più sopra, era una manovra difficile da effettuare, ritenne che sicuramente l’uscita da imboccare fosse la 4, dovendo svoltare per soli 45°, e non la 3 come era sembrato di capire, cosa che fu fatta. Errore fatale causato dalla concomitanza delle difficoltà oggettive incontrate dal personale di terra ben poco pronto per l’anormale situazione da affrontare e della fretta che gli equipaggi avevano per riprendere il volo, in ritardo da troppo tempo.

Le condizioni atmosferiche erano tutt’altro che favorevoli, con un nebbione tipo Londra e un’insistente pioggerellina. I due aerei non potevano vedersi l’un l’altro, così come, del resto, era isolata la torre di controllo che, per conoscere la posizione dei due bestioni, doveva accontentarsi dei collegamenti radio, quel giorno molto complessi sia per gli accavallamenti delle comunicazioni, sia per le difficoltà linguistiche degli Spagnoli. Anzi, sembra proprio che si debba addebitare alla cattiva ricezione e comprensione delle comunicazioni l’errata interpretazione del comandante olandese, che intese che il Pan Am avesse già decollato e che la pista fosse tutta sua per effettuare il decollo. D’altra parte, il radar, che avrebbe potuto sostituire il contatto visivo, a quei tempi non era stato ancora installato negli aeroporti piccoli e poco frequentati come quello di Los Rodeos, classificato semplicemente come regionale.

La registrazione dei dialoghi fra gli operatori della torre di controllo e i piloti dei due Boeing dimostra come ci possa essere stato un banale, duplice, ma micidiale errore d’interpretazione.

Quindi, quando van Zanten ritenne di aver avuto l’autorizzazione, nonostante il suo ingegnere di volo avesse espresso la sua preoccupazione in merito alla possibilità di trovare sulla pista il Pan Am, diede gas al massimo. Mentre il KLM stava prendendo velocità sulla pista, il Pan Am stava per svoltare nell’entrata 4, che si trovava a circa 1.400 metri dalla testata 30.

La ricostruzione dell’incidente è la seguente. Per primo ad accorgersi del pericolo fu il comandante del Pan Am che si rese conto che il KLM in fase di decollo si stava rapidamente avvicinando e tentò disperatamente di spostarsi dalla linea seguita dall’altro aereo, ma la manovra non ebbe successo: era troppo pesante per fare una manovra in tempi troppo ristretti. Van Zanten, a sua volta, accortosi dell’ostacolo che occupava la pista, non potendo assolutamente tentare di fermarsi, avendo raggiunto la cosiddetta velocità V1 (poco meno di quei 300 chilometri orari che rappresentano la «velocità di non ritorno», cioè quella velocità alla quale non è più possibile interrompere il decollo; ciò nel senso che, se lo si dovesse fare, si finirebbe sicuramente oltre il termine della pista di decollo, con le conseguenze immaginabili), fece l’unica manovra possibile in quel caso, cioè diede gas al massimo e tentò prima del tempo di alzarsi in volo, ma la velocità ancora troppo bassa e il peso con il pieno di carburante non gli consentirono di superare l’ostacolo senza danni. Il muso si alzò, mentre la coda strisciò lungamente sulla pista, lasciando una scia di scintille; il KLM si alzò, ma troppo poco e suo carrello scoperchiò il Pan Am che prese immediatamente fuoco. Il KLM volò per poche centinaia di metri, ma i danni erano talmente elevati da impedire il volo, cosicché cadde pesantemente al suolo, strisciando penosamente sulla pista, incendiandosi e uccidendo tutti. In poco tempo, le fiamme distrussero completamente i due giganti dell’aria.

Ancora una volta, l’inesperienza del personale a terra aggravò il disastro; i pompieri si adoperarono per spegnere l’incendio del KLM che, secondo loro, si era spezzato in due tronconi; solamente quando si interessarono del secondo troncone, dopo una ventina di minuti dallo scontro, si resero conto che era il Boeing statunitense e che là non tutte le persone a bordo erano morte. Solamente il giorno successivo, con l’arrivo di altri contingenti di pompieri, l’incendio fu domato.

Il disastro fu veramente da «guinness dei primati»: tutte le persone a bordo del KLM (234 passeggeri e 14 membri dell’equipaggio) perirono, mentre delle 396 presenti nel Pan Am, 326 morirono sul colpo e 9 più tardi per le ferite e le ustioni subite; conclusione, i morti furono 248 + 335 = 583, mentre solamente 63 persone portarono a casa la loro pelle, ma non è specificato in quali condizioni.

Una commissione formata da patologi spagnoli, olandesi e statunitensi, incaricata nella triste vicenda, raccolse i resti umani cercando di dare un nome a ciascuno di loro, ma lo stato di certi cadaveri era talmente disastroso che solamente l’intervento dei raggi X aiutò a compiere il gravoso compito.

Per quanto attiene alle cause che hanno portato all’accadimento dell’immane tragedia, le responsabilità della verifica furono affidate alle autorità spagnole, perché quella si era verificata nel loro territorio, naturalmente affiancate da funzionari olandesi e statunitensi, formando una commissione di 70 membri.

Esaminando il contenuto delle scatole nere, abbastanza malmesse, dopo lo scontro e l’incendio, ci si rese conto delle difficoltà di comprensione dei dialoghi molto disturbati fra la torre di controllo e le cabine dei due Boeing.

In merito a ciò che avvenne nel Pan Am, il copilota Robert Bragg, sopravvissuto all’incidente, dichiarò apertamente che si era scelta l’entrata 4, perché così era stato loro comunicato, quando, al contrario, l’ordine era quello di entrare nella 3. Poiché, almeno da quanto si è ricostruito, nella scatola nera era chiaramente richiamata l’entrata 3 e questo era stato inteso dal pilota, significa che la scelta della 4 era stata sua, convinto che quelli si fossero sbagliati, perché, come si è ricordato più sopra, la 3 portava in un terreno forse difficilmente percorribile per un grosso peso come quello dell’aereo. Con tale prova, Bragg non poteva che essere accusato di falsa testimonianza. Certo è che, se il comandante Grubbs avesse rispettato quanto gli era stato comunicato, cioè se fosse entrato per la 3, non avrebbe perso tempo per percorrere i 150 metri che separano la 3 e la 4, per cui avrebbe potuto decollare prima che il KLM iniziasse la sua manovra di decollo, trovando la pista libera.

E pure il comandante van Zanten non aveva seguito la normale prassi, perché, invece di assicurarsi che veramente la pista fosse libera, diede gas e partì deciso per il decollo, senza attendere l’autorizzazione da parte dei controllori di volo.

Insomma, una successione di eventi negativi, accompagnata da un tempo decisamente ostile con la sua nebbia e la sua pioggia che riducevano la visibilità al di sotto del centinaio di metri, contribuirono a combinare il guaio con i risultati che si sono ricordati, lasciando nella storia dell’aviazione civile il ricordo del peggiore disastro aereo mai capitato.

Per timore che si potesse verificare un altro caso come quello di cui si è parlato, nel 1978 fu costruito l’aeroporto di Tenerife Sud, in un luogo nel quale non si accumulano nebbie, sostituendo quello di Los Rodeos, che continuò a essere adibito a voli locali.

In ricordo della triste vicenda, che ha causato la morte di 583 persone, sono stati eretti molti monumenti, fra cui quello del Cimitero di Westgaarde di Amsterdam, dove si trovano 123 corpi di Olandesi, e di Westminster in California che accoglie 114 vittime non identificate del Pan Am.

E il 27 marzo 2007, trent’anni dopo la disgrazia, anche Los Rodeos ebbe il suo monumento.

(giugno 2023)

Tag: Mario Zaniboni, disastro di Tenerife, 27 marzo 1977, Isole Canarie, Movimento per l’Autodeterminazione e l’Indipendenza dell’Arcipelago Canario, MPAIAC, aeroporto di Los Rodeos, isola di Tenerife, Clipper Victor, Victor Grubbs, Rijn, Iacob Louis Veldhuyzen van Zanten, Robert Bragg.