Guerra d’Algeria (1954-1962)
Una guerra contro il colonialismo che fu anche una guerra di terroristi finalizzata alla pulizia etnica nei confronti degli Europei

La guerra d’Algeria costituì una tragedia, sia per il grande numero di morti (300.000 circa), che per il fatto che tali eventi toccarono indirettamente il cuore dell’Europa e avvennero in un periodo storico in cui si ritenevano le guerre e le violenze un semplice retaggio del passato. La guerra d’Algeria fu anche una questione complessa dal momento che non si combattevano solo due schieramenti, Arabi contro Europei, ma si combatté anche all’interno degli schieramenti, Arabi e Berberi moderati contro il predominio violento del Fronte di Liberazione Nazionale, e nell’ultimo periodo fra residenti francesi e governo di Parigi. Anche sul piano strettamente politico la questione fu controversa: i comunisti erano contrari al «particolarismo» algerino, i socialisti difendevano il principio che l’Algeria fosse parte integrante della Francia, i conservatori gollisti per realismo politico si convertirono all’idea di un’Algeria indipendente.

Scontri tra poliziotti francesi e manifestanti algerini

Scontri tra poliziotti francesi e manifestanti algerini che chiedevano l'indipendenza dalla Francia ad Algeri, 11 novembre 1960 (AP Photo)

La decolonizzazione in Africa e in Asia fu in larga parte un movimento incruento che sfociò in una separazione consensuale fra le potenze europee e i nuovi Paesi del Terzo Mondo. Abbastanza significativi furono gli avvenimenti in India dove si ebbe una progressiva autonomia amministrativa che portò alla completa indipendenza del Paese che venne successivamente retto da un governo e da una classe politica socialista ma non estremista che si guardò bene dal compiere vendette o vessazioni sui residenti europei. In quel Paese come in molti altri Paesi ex coloniali la realizzazione dell’indipendenza divenne quasi un evento di minore importanza di fronte all’affiorare di contrasti etnici e religiosi locali che provocarono la morte e la fuga di alcuni milioni di persone. Interessante notare al riguardo che gli storici indiani, fra i quali Pannikar, hanno espresso un giudizio relativamente positivo sul dominio britannico in India. Diversamente in Vietnam e in Algeria dove operavano movimenti estremistici, l’andamento degli eventi portò a guerre terribili con la madrepatria francese. In Francia si ebbe in quel periodo una prevalenza di governi socialisti sostanzialmente favorevoli al progressivo distacco delle colonie, tuttavia in Vietnam dopo la firma degli accordi per il progressivo passaggio dei poteri al governo del Vietminh (con prevalenza di elementi comunisti) si ebbe un contrasto sulla questione della Cocincina (territorio vietnamita abitato in prevalenza da Cambogiani), mentre in Algeria sorse un movimento, il Fronte di Liberazione Nazionale, terrorista, non favorevole ai diritti delle popolazioni berbere, contrario alla presenza dei Francesi nel Paese e ai movimenti politici algerini non estremistici.

Diversamente da quanto si riteneva nel passato, il colonialismo nei Paesi Afroasiatici non ha lasciato posto ad un «neocolonialismo», ma a regimi dittatoriali fortemente impegnati a reprimere le minoranze etniche fra le quali anche quelle formate da Europei. In Indonesia gli Olandesi furono espropriati e cacciati dal Paese, in Congo i Belgi furono vittime di gruppi armati locali, in altri Paesi anche relativamente moderati come la Tunisia si ebbero espropri generalizzati contro gli stranieri.

Le colonie francesi in Asia avevano già ottenuto l’indipendenza gradualmente nel dopoguerra, e nel 1960 ottennero l’indipendenza la maggior parte delle colonie africane. Per quanto riguarda la regione del Maghreb, il governo radical socialista di Mendes France aprì negoziati con gli indipendentisti di Tunisia e Marocco accordando loro la piena indipendenza nel 1956, ma si dimostrò riluttante a procedere in maniera simile in Algeria, dove esistendo una numerosa e antica presenza di Europei (oltre il 10% della popolazione totale, ma quasi la metà della popolazione delle grandi città) riteneva che il Paese dovesse considerarsi parte integrante della Francia. La situazione degli Arabi algerini non era paritaria a quella degli Europei, solo pochi avevano potuto accedere alla cittadinanza francese e sebbene godessero dei diritti civili, risultavano sottorappresentati nelle sedi politiche. Nel 1944 si ebbe una prima riforma che prevedeva la concessione della cittadinanza francese a 60.000 Arabi «evoluti», e tre anni dopo venne istituita una Assemblea Algerina formata da una Camera con i rappresentanti dei cittadini europei e dei musulmani (arabi e berberi) evoluti, e una Camera con i rappresentanti dei rimanenti otto milioni di musulmani. La stessa legge che introduceva la nuova istituzione, prevedeva la parificazione della lingua araba al francese negli atti legali. Nel Paese operavano diversi movimenti politici, i primi, nati agli inizi del Novecento (Giovani Algerini e Federazione dei Nativi Eletti) chiedevano la parificazione degli Arabi evoluti ai cittadini europei e l’estensione della cittadinanza francese, successivamente si ebbero movimenti moderati come l’Unione Democratica del Manifesto Algerino di Ferhat Abbas che intendeva creare una Algeria indipendente legata ad un patto federativo con la Francia, e il Movimento Nazionale Algerino di Messalj Hadj, islamico socialista, e ben radicato fra i lavoratori algerini in Francia, favorevole al terrorismo.

Il primo atto politico di una certa consistenza si ebbe il giorno in cui si festeggiava la Vittoria, l’8 maggio 1945: a Setif venne massacrato un centinaio di Europei, azione a cui seguì una dura rappresaglia dei Francesi (la stima dei morti va da 600 a 6.000 vittime considerando anche le rappresaglie compiute spontaneamente da civili). Tuttavia il fatto non ebbe conseguenze immediate, e per un certo periodo permaneva una relativa tranquillità.

Negli anni successivi sorse un nuovo gruppo, il Fronte di Liberazione Nazionale, che in Egitto, con la protezione di Nasser, invitava i «militanti della causa nazionale» ad insorgere per la «restaurazione dello Stato algerino, sovrano, democratico e sociale, all’interno dei principi dell’Islam». Al tempo stesso però affermava di volere anche l’eliminazione fisica dei rappresentanti delle comunità algerine moderati non contrari alla presenza dei Francesi in Algeria. I leader del nuovo movimento si rifacevano alle teorie sull’oppressione colonialista di Frantz Fanon, il quale pur sostenendo la causa degli Algerini ricordava che «il Fronte di Liberazione Nazionale, in un celebre volantino, constatava che il colonialismo molla soltanto con il coltello sulla gola, davvero nessun Algerino ha trovato questi termini troppo violenti». Frantz Fanon, considerato l’ideologo del movimento, tendeva all’utopismo (teorizzava l’idea dell’Uomo Nuovo), non rifuggiva dall’idea della violenza e non attribuiva particolare importanza alla mancanza di democrazia che caratterizzava i nuovi regimi afroasiatici. I sostenitori dei suoi programmi erano dei violenti, uno dei principali capi militari della rivolta, Mohammed Said, aveva militato fra i volontari della divisione islamica delle SS. Nel novembre del 1954 piuttosto improvvisamente si ebbe una pesante serie di attacchi terroristici contro posti di polizia, strutture militari e mezzi di comunicazione che diede il via alla guerra d’Algeria propriamente detta. L’evento fu sorprendente, il giornale socialista «Le Populaire» scrisse: «Gli attentati arrivano proprio nel momento in cui la Francia ha un governo la cui politica comprensiva nell’Africa del Nord poteva favorire la pacificazione». La reazione della Francia fu comunque relativamente moderata, venne approvato il rafforzamento dei poteri dell’esercito nelle zone di maggiore pericolo, venne organizzato il trasferimento delle popolazioni contadine in zone più sicure (ma anche gli Europei abbandonarono le regioni più pericolose) e venne elaborato un programma che prevedeva miglioramenti nel campo economico e in quello dell’istruzione della popolazione araba, nonché maggiori investimenti nel settore produttivo. Il Fronte di Liberazione Nazionale progressivamente portò lo scontro sul territorio metropolitano. Qui impose elargizioni forzate da parte dei lavoratori algerini con metodi di tipo mafioso e attaccò duramente con un gran numero di attentati l’altra grande associazione algerina, il Movimento Nazionale Algerino che godeva di maggiori consensi e di una superiore organizzazione sindacale. Lo scontro fra i due gruppi provocò la morte di 4.000 Arabi sul territorio europeo, e nel maggio del 1957 il Fronte di Liberazione Nazionale si rese responsabile del massacro del villaggio Melouza in Algeria (ritenuto simpatizzante dell’organizzazione antagonista) dove furono sgozzate 300 persone. La superiorità del Fronte di Liberazione Nazionale sull’organizzazione rivale fu anche la conseguenza dell’appoggio politico da parte di Nasser e dei rifornimenti in armi ottenuti dai Paesi comunisti. La politica del terrore del Fronte di Liberazione Nazionale (con il ricorso a sequestri e mutilazioni) provocò nei primi due anni la morte di 1.000 Europei e 6.000 Arabi nonché la fuga di migliaia di arabi dall’Algeria, si calcola che dal 1954 al 1962 fra i 150.000 e i 250.000 Arabi algerini abbiano trovato rifugio in Francia. Lo storico Benjamin Stora ha scritto che gli uomini del Fronte di Liberazione Nazionale erano indottrinati e soggetti ad una disciplina durissima «che arrivava a sanzionare con la morte le infrazioni al codice di comportamento o la disattenzione nell’utilizzo e nel mantenimento delle armi», e che 15.000 furono i membri del Fronte di Liberazione Nazionale vittime di purghe interne. Tale ferocia venne confermata anche nelle numerose uccisioni di uomini delle Sas, le organizzazioni impegnate nell’assistenza sanitaria dei villaggi più remoti, e nel massacro di Philippeville dove vennero uccise 120 persone di cui circa la metà arabe. In seguito a quest’ultimo episodio i Francesi uccisero per ritorsione 1.200 guerriglieri, anche se la propaganda avversaria affermava che molti di questi fossero semplici civili. Gli orrori della guerra portarono lo scrittore francese nato in Algeria, Albert Camus, a un appello alla moderazione che non ebbe alcun effetto, mentre la caotica situazione creata dal conflitto spinse gli Stati Uniti e i Paesi della Nato ad una posizione di scarso sostegno verso il governo di Parigi, che godeva dell’appoggio dell’opinione pubblica anche se era presente un certo turbamento per i metodi duri dell’esercito nelle operazioni di guerra. In particolare venne contestato il ricorso frequente alla tortura operato nel corso della famosa Battaglia di Algeri (1956), dove la vittoria francese portò per un certo periodo ad una relativa tranquillità del Paese. Particolarmente interessato alla questione algerina fu il filosofo Jean Paul Sartre che in contrasto con il Partito Comunista prese apertamente posizione a favore dei guerriglieri indipendentisti e in maniera decisamente molto riduttiva scrisse che: «Sapete benissimo che siamo degli sfruttatori. Sapete benissimo che abbiamo preso l’oro e i metalli, poi il petrolio dei “nuovi continenti”».

Nonostante il successo della Battaglia di Algeri che portò alla cattura dei principali capi del movimento indipendentista, la guerra corrodeva gli animi, e nell’aprile del 1958 di fronte ad un atteggiamento più prudente del governo di Parigi, le autorità militari locali con il sostegno della popolazione algerina compresa una parte di quella araba, proclamarono un Comitato di Salute Pubblica. L’esercito francese anche nella madrepatria manifestò dissenso aperto verso il governo centrale e i reparti in Corsica si ribellarono apertamente. La situazione pareva degenerare in aperta guerra civile, e per scongiurare tale pericolo venne richiamato al potere De Gaulle. Diversamente dalle aspettative il Generale non prese le difese dei residenti francesi e indisse un referendum per una nuova costituzione che conteneva innovazioni anche per l’Algeria boicottato duramente (ma senza successo) dal Fronte di Liberazione Nazionale. La rottura fra governo centrale e «pied noirs», come vennero chiamati gli Europei d’Algeria fu totale, e nel gennaio del 1960, in occasione della rimozione del generale Massu, insorsero di nuovo dando vita alla «settimana delle barricate». Per gli Europei (Francesi, Italiani, Spagnoli, Maltesi) sorse l’idea di creare uno stato di bianchi come in Sudafrica e di dare vita nel 1961 ad una associazione di estremisti, l’Organizzazione dell’Armata Segreta (con base nella Spagna franchista), che acquisì caratteri sempre più violenti, e intraprese diversi tentativi di assassinare De Gaulle. Il governo di Parigi aprì formali negoziati con il Fronte di Liberazione Nazionale e nel gennaio 1961 indisse un nuovo referendum sull’Algeria che ebbe esito positivo per il Generale in Francia ma non nelle grandi città in Algeria. Nuovamente i reparti militari in Algeria tentarono di insorgere, e minacciarono di marciare su Parigi, questa volta però con molto minore sostegno popolare in Francia che riteneva la causa ormai persa. Il tentativo non ebbe esito positivo e da quel momento l’Organizzazione dell’Armata Segreta scatenò una doppia guerra contro gli Arabi e il governo di Parigi. Tale situazione portò alla conclusione in breve tempo degli Accordi di Evian che prevedevano l’indipendenza ma anche alcune forme di garanzia verso i cittadini europei. Gli accordi non favorirono la pacificazione del Paese, il Fronte di Liberazione Nazionale si divise per correnti e i guerriglieri capeggiati da Boumedienne che negli anni precedenti non avevano preso parte al conflitto presero il sopravvento. A Orano e nelle altre grandi città migliaia di cittadini europei vennero uccisi. In condizioni terribili un milione di Europei, l’intera comunità ebraica e molti Arabi fuggirono dal Paese. Un destino ancora peggiore venne riservato ai cosiddetti «harkis», gli Arabi che avevano servito nella polizia e nelle altre istituzioni francesi, decine di migliaia, forse 150.000, vennero torturati e massacrati, molti crocifissi sulle porte di casa. Tutto il Paese conobbe negli anni successivi una rigida dittatura di tipo socialista che portò il Paese al collasso economico e alla miseria.

Jeep del Fronte di Liberazione Algerino

Una jeep del Fronte di Liberazione Algerino circondata dalla folla ad Algeri (AP Photo)
(gennaio 2012)

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