Mount Saint Helens
Eruzione apocalittica

Nel Canada Occidentale si trova la catena montuosa chiamata «Cascade Range» o «Cascades», che si prolunga dalla Columbia Britannica negli Stati Uniti e, attraverso lo Stato di Washington (che non ha nulla in comune con la capitale Washington che, invece, è nell’enclave Distretto di Columbia nello Stato di Maryland) e dell’Oregon, giunge nella California Settentrionale.

Fra le montagne, emerge il vulcano Monte Sant’Elena, che si elevava (di seguito sarà spiegato perché si è usato l’imperfetto) fino a 2.950 metri sul livello del mare, sopra la pianura non molto lontano dalle città di Portland e di Seattle. Si tratta di uno stratovulcano, cioè di un cono formato dalla sovrapposizione di vari strati di lava solidificata di materiali piroclastici, ceneri e pomici dovuta a varie eruzioni, con declivi molto accentuati aventi pendenze anche superiori ai 45°.

Il vulcano, di cui le prime notizie risalgono al 2500 avanti Cristo, non è mai stato tranquillo: infatti, a periodi di relativa tranquillità ne seguirono altri in cui la sua attività diventò frenetica, come capitò nell’intervallo di tempo compreso fra il 1831 e il 1857; dopo un ritorno alla calma, si fece sentire alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX. Ed eccolo di nuovo nel 1980: infatti, il 20 marzo, il Monte Sant’Elena si svegliò, attivando forti scosse del suolo, concentrate particolarmente nelle sue pendici volte a settentrione, che alla fine del mese furono seguite da eruzioni di scarsa importanza, accompagnate da emissioni dal cratere e da aperture varie di vapori misti a cenere, ma abbastanza significative, perché denunciavano un aumento della pressione nella massa magmatica contenuta all’interno del cono vulcanico. Tale situazione, che si mantenne per un certo periodo, allarmò gli abitanti della zona che, conoscendo bene il loro vicino, si erano resi conto che qualcosa stava cambiando, e non certo in meglio. E a dar loro ragione furono gli studi fatti dai vulcanologi la cui conclusione fu che stava maturando qualcosa di nuovo e per niente tranquillizzante: infatti, a preoccuparli seriamente era un enorme rigonfiamento, valutato in circa due metri al giorno, che riguardava il lato nord del vulcano, causato dall’enorme pressione della lava fusa che, prepotentemente, si immetteva nella cavità vulcanica. Le autorità, allertate dagli studiosi convinti che la situazione si sarebbe potuta evolvere in un solo modo, per mettere al sicuro la scarsa popolazione locale, ne attivarono l’evacuazione; la maggior parte accettò, mentre non mancarono coloro che non ne vollero sapere, ritenendo che si trattasse di un falso allarme.

All’alba del 18 maggio 1980, sembrava che tutto procedesse normalmente, anche perché l’incremento del rigonfiamento, l’emissione di anidride solforosa e la temperatura del suolo non denunciavano nulla di nuovo e di immediata preoccupazione, ma alle ore 8:32 successe il finimondo. Una scossa sismica di magnitudo 5,1 scosse il suolo, dando l’abbrivio a un’enorme porzione della pendice del lato nord del vulcano a staccarsi e a scivolare a valle; e infatti, si materializzò un’immane frana di roccia e ghiaccio valutata dagli studiosi fra le più grandi verificatesi nel tempo di quelle riportate nei documenti storici. Ne seguì un’esplosione apocalittica, con la liberazione in aria di vapori e gas che, seguendo la corrente aerea, si diressero verso nord a grande velocità, mentre un pennacchio si alzò fino a una decina di chilometri di quota e la cenere, portata dal vento, fu sparsa su centinaia di chilometri quadrati nei dintorni. Tutto questo fece «tabula rasa» di tutto quanto incontrava sul suo tragitto fino alla distanza di una trentina di chilometri; ci fu l’incenerimento di una decina di milioni di alberi e la distruzione di circa 200 abitazioni, 25 chilometri di ferrovie, 300 chilometri di autostrade, 47 ponti: praticamente peggio di un bombardamento a tappeto. Tutti gli scarichi di drenaggio furono intasati, gli approvvigionamenti idrici furono inquinati, la popolazione rimase al buio.

A questi danni materiali, purtroppo, si dovettero aggiungere migliaia di animali terrestri e forse milioni di pesci uccisi; ma ciò che maggiormente impressionò, fu la scomparsa di 67 vittime, di cui molte sicuramente furono fra quelle che avevano rifiutato di allontanarsi dal pericolo incombente; fra queste, due morirono, perché furono colte da disturbi cardiaci, mentre spalavano la cenere.

Il suolo fu abraso, scorticato da materiale piroclastico, liquefatto dalla violenta esplosione, che insieme con colate di fango, alla velocità superiore ai 150 chilometri all’ora, causò la distruzione di tutto quanto incontrava sul suo percorso – come detto – e finì per riempire lo Spirit Lake e una ventina di chilometri del fiume Toutle, raggiungendo anche i 50 metri di spessore, oltreché coprire molti ettari di suolo agricolo, con spessori che in qualche punto raggiunsero i 200 metri. Intanto la cenere, che si era alzata a formare una nube enorme, ammantò, come se fosse neve, paesi, città e campagne dei dintorni, che si trovavano nei territori nord-occidentali rispetto al vulcano, mentre i corpuscoli di minima granulometria, quelli leggerissimi per intenderci, continuarono a percorrere il giro del mondo per un paio di settimane almeno.

Solamente nel tardo pomeriggio di quel disastroso giorno il vulcano, sfogatosi per l’eliminazione del rigonfiamento provocato dalla pressione del magma in risalita, calmò le sue ire, per giungere a una calma impressionante il giorno successivo.

Interessante rivedere quanto asserito all’inizio della nota, cioè che il picco vulcanico del Monte Sant’Elena era alto 2.950 metri sul livello del mare: infatti, calcoli fatti dai sismologi dopo il franamento riscontrarono che l’altezza massima si era ridotta a 2.432 metri, il che significa che si era verificato un abbassamento di 518 metri di quota; da questo dato si può avere un’idea di quanto fosse enorme la frana.

Successivamente, di quando in quando il vulcano si fece sentire, come successe l’8 maggio 2004, quando si sfogò con un getto di vapore e cenere che raggiunse i 12.000 metri di quota, con accompagnamento di un piccolo terremoto. Intanto, quella copertura che fu distrutta, si sta riformando e piccoli sismi si fanno sentire, ma per i vulcanologi non sono perviste eruzioni di un certo rilievo in tempi brevi.

A questo punto potrebbe diventare spontanea una domanda: si sarebbero potuti evitare vittime e danni, applicando norme preventive e di sicurezza diverse, al di là della comprensione che si stava accumulando un pericolo enorme dal quale si poteva fuggire solamente allontanandosi sufficientemente e senza perdere tempo? Purtroppo, la risposta non può che essere negativa, giacché è stato proprio l’eruzione del Monte Sant’Elena a dare lo spunto ai tecnici per approfondire la ricerca a questo proposito e non il contrario. Invero, quel picco vulcanico è stato il campo nel quale la scienza ha potuto approfondire le sue conoscenze in merito alla vulcanologia. La frana, che ha distrutto una pendice e ha aperto la caldera, ha consentito agli studiosi di accedervi. E vi hanno partecipato diverse figure professionali (sismologi, geologi, ingegneri minerari, geofisici, geochimici, biologi), che hanno collaborato fianco a fianco, dando ciascuno quanto la sua professionalità consentiva. E la successiva applicazione di sistemi di monitoraggio a casi analoghi consentì di tenere meglio sotto controllo ciò che «bolle», all’interno della massa lavica, quando tende ad accumularsi nell’interno del cratere.

I morti ci sono stati, pur se in un numero limitato, anche perché l’eruzione del vulcano è avvenuta in un’area scarsamente abitata; ma se dovesse capitare in aree densamente popolate, molte delle quali sono a noi tutti note, che cosa succederebbe? Siccome i vulcani, tutto sommato, non comunicano quando riprenderanno la loro attività dopo secoli di quiescenza e considerato che, seppur a riposo, come il peso, non dormono mai, non sarebbe il caso di fare un pensierino in tal senso?

(agosto 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Cascade Range, Monte Sant’Elena, stratovulcano, rigonfiamento, scossa sismica, frana, tabula rasa, Spirit Lake, fiume Toutle, vittime, vulcani in quiescenza.