Diossina
Una sostanza altamente pericolosa

Sono trascorsi quasi cinquant’anni da quando un disastro senza precedenti colpì il nostro Paese causando conseguenze sanitario-ambientali che si sarebbero fatte amaramente sentire per lungo tempo. Si sta parlando della nube di diossina che colpì il territorio di Meda, allora nella provincia di Milano e ora in quella di Monza e Brianza.

Era in attività l’industria chimica ICMESA, appartenente all’azienda svizzera Givaudan, produttrice di profumi ed essenze, a sua volta controllata dalla La Roche, che si interessava di diagnostica e farmaceutica.

Era l’anno 1976 e la ditta, fra l’altro, stava lavorando a una sostanza (2,4,5-triclorofenolo) destinata all’agricoltura, necessaria per la produzione di diserbanti, fungicidi e battericidi. Si era in piena estate ed essendo un periodo di grandi richieste, si lavorava a pieno ritmo e con continuità. Questa sostanza, non appena si superano i 156°C, si trasforma in 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina (TCDD), che è una varietà di diossina estremamente tossica. Quel giorno la temperatura nel reattore aveva raggiunto i 500°C. Ma perché la temperatura era tanto esageratamente elevata?

Quando le cose vanno per il meglio, nessuna cronaca ne riporta l’avvenimento, ma se si mostra l’inaspettato, cioè, come si dice, quando il diavolo ci mette la coda, allora la notizia è una bomba la cui risonanza si diffonde rapidamente, raggiungendo i più remoti angoli del mondo. E proprio è quello che è capitato il 10 luglio del 1976, un sabato, esattamente alle ore 12:28, quando nelle abitazioni ci si apprestava a pranzare.

Nella fabbrica, ci fu un imprevisto che procurò in un componente adibito alla lavorazione di diserbanti un aumento anomalo della temperatura e il conseguente aumento della pressione al quale, purtroppo, si associò il blocco del sistema di raffreddamento della massa in lavorazione. Un’ipotesi propende per un errore umano, vale a dire che probabilmente si è fatta arrestare la lavorazione, ma ci si è dimenticati di azionare il raffreddamento della massa. Ciò causò la concomitanza della crescita sia della temperatura che della pressione, che favorì la formazione di una sostanza altamente pericolosa, dalla complessa formula chimica, ma che, per semplicità e per comodità, è riducibile alla richiamata TCDD. Si tratta di una sostanza notoriamente tossica, una delle più pericolose per la salute, potendo diventare mortale.

La situazione raggiunta all’interno del reattore ha fatto dirottare il prodotto verso una parte dell’impianto prevista in casi del genere per dargli uno sfogo; ma un disco di tenuta non fece il suo dovere, rompendosi e lasciando in tal modo libertà al prodotto di uscire all’esterno e di diffondersi nell’ambiente. La tossina si diffuse come una nube, interessando un ampio territorio della Bassa Brianza, Seveso in particolare. Storicamente, era la prima volta che la diossina fuggiva dall’impianto di produzione per riversarsi sulla popolazione e sul territorio circostante. Fu un’esperienza nuova, perché non era mai accaduto in precedenza.

Le analisi sull’aria ambientale effettuate dalla ditta Givaudan nei suoi laboratori di Dübendorf nell’elvetico Canton Zurigo, confermarono che c’era la presenza di diossina il 14 luglio, ma le autorità italiane furono tenute colposamente all’oscuro. Comunque, il giorno successivo, i sindaci di Meda e Seveso, per niente tranquilli sulla possibilità che nell’aria aleggiasse qualche sostanza pericolosa per la salute, emanarono un’ordinanza che aveva lo scopo di vietare agli abitanti delle zone di toccare vegetali, terreno, animali e di imporre che lavassero scrupolosamente mani e abiti, vietando fra l’altro il consumo di carne proveniente da animali là macellati. E la verità venne a galla solamente alcuni giorni dopo l’avvenimento del disastro, attraverso le notizie della stampa e della televisione. Infatti, «Deo gratias», la Givaudan si rassegnò ad ammettere che nella nube tossica fuoriuscita era presente diossina, notizia confermata dal laboratorio provinciale di igiene e profilassi locale, che provvide a suddividere l’area infestata in diverse sotto-aree, secondo la contaminazione decrescente in base alla presenza di TCDD nel terreno. Quindi, fece subito evacuare quella maggiormente inquinata, per farla seguire successivamente da tutte le altre. E tra il 26 luglio e il 2 agosto furono evacuati 676 abitanti di Seveso e 60 di Meda, che furono ospitati in due alberghi. Le famiglie rientrarono nelle loro abitazioni, debitamente bonificate, fra l’autunno e la fine dell’anno, mentre 41 famiglie, le cui abitazioni furono abbattute perché irrecuperabili, poterono rientrare solo qualche anno dopo nelle case ricostruite.

Dal punto di vista sanitario, 240 persone, fra cui molti bambini, accusarono la cloracne, un’infiammazione della pelle causata dal contatto con cloro e derivati, che dà luogo a cisti sebacee e lesioni. Dove la nube arrivò, le piante seccarono grazie alla potenzialità diserbante della diossina, mentre fu necessario abbattere molte migliaia di animali, rimasti contaminati. Nell’area maggiormente inquinata si dovette abbattere tutto, stabilimento e abitazioni, togliere il terreno per quasi un metro di profondità e raccoglierlo in vasche per rifiuti tossici pericolosi, e sostituirlo con terreno sano. E qualche anno dopo furono costruite due enormi vasche, per raccogliere tutto quel terreno inquinato escavato, una da 80.000 metri cubi a Meda e una da 200.000 metri cubi a Seveso, sempre tenute sotto controllo, sulle quali, poi, si piantumò facendo diventare l’intera area il Parco delle Querce. Altre due vasche più piccole, sempre allo stesso scopo, furono costruite a Cesano Maderno e Bovisio Masciago. Comunque, a diversi anni di distanza nel tempo, furono molti che denunciarono diversi disturbi.

Naturalmente, la Procura della Repubblica di Monza avviò un processo al fine di individuare precise responsabilità, che comportò una causa civile da parte della Regione Lombardia contro la società ICMESA e, il 25 marzo 1980, si giunse a un accordo fra la Givaudan e la Giunta Regionale che prevedeva il pagamento di 103 miliardi e 634 milioni per il risarcimento dei danni provocati dal disastro di Seveso. Di questo denaro una parte fu data allo Stato Italiano quale rimborso, un’altra alla Regione Lombardia per le necessarie opere di bonifica e una terza servì per la sperimentazione. Che il tutto sia avvenuto attraverso una transazione bonaria, ha significato che il dirigente della società Givaudan e la società La Roche, proprietaria della stessa, furono esclusi dai procedimenti giudiziari; mentre dipendenti riconosciuti responsabili del disastro furono processati e condannati fino a 5 anni di reclusione.

Il fatto nuovo, rappresentato dalla fuga della diossina, mai accaduto in precedenza, consigliò di emanare un normativa, che passò sotto il nome di Direttiva 82/501/CEE, o Direttiva Seveso, nella quale furono chiariti i punti essenziali del disastro e di come comportarsi di conseguenza; a questa seguirono aggiornamenti dovuti a incidenti analoghi capitati successivamente in Europa, diventando un Seveso II, un Seveso II bis e, infine, un Seveso III.

(dicembre 2023)

Tag: Mario Zaniboni, ICMESA, fuga della diossina, Seveso, ditta Givaudan, Meda, cloracne, risarcimento danni, Direttiva Seveso.