Giacomo Bologna: un parlamentare patriota
Ricordo di un esule istriano deputato della Democrazia Cristiana che fu estromesso dal partito per la nobile opposizione al trattato di Osimo (1975)

A dieci anni dalla scomparsa dell’Onorevole Giacomo Bologna si rinnovano, con il cordoglio per la perdita di un grande patriota istriano, alcune riflessioni sempre attuali sulla vicenda di Osimo, e dell’infausto trattato omonimo, che lo vide tra i massimi protagonisti della protesta, non soltanto triestina. Basti ricordare che Bologna, con Giuseppe Costamagna e Giorgio Tombesi, fu il solo deputato democristiano ad avere espresso una netta opposizione all’ignobile accordo con cui l’Italia, il 10 novembre 1975, «volle» cedere alla Jugoslavia (senza contropartite di sorta) la sovranità sulla Zona «B» del cosiddetto Territorio Libero. Per tutta risposta, fu deferito ai probiviri del partito[1] che avrebbe lasciato senza indugio per aderire alla «Lista per Trieste» (movimento a carattere non soltanto locale fondato – tra i massimi promotori – da Manlio Cecovini, Aurelia Gruber Benco, Giulio Camber e Gianfranco Gambassini).

In effetti, Costamagna e Tombesi si salvarono dal provvedimento che diede luogo all’uscita di Bologna dai ranghi della Democrazia Cristiana. Verosimilmente, la logica dei «due pesi e due misure» trovò rinnovata applicazione nel caso di specie, non tanto nella prassi delle «correnti» – tipica dell’arcipelago democristiano – quanto nel fatto che il parlamentare istriano, nella sua forte sensibilità patriottica, non era stato alieno dall’esprimere posizioni di sostanziale irredentismo idealistico. Ciò era inaccettabile per i vertici del partito, sebbene queste pregiudiziali, ancora diffuse, si richiamassero non tanto alle rivendicazioni territoriali che avevano animato i «padri» storici dell’Italia irredenta sin dallo scorcio conclusivo dell’Ottocento e degli anni antecedenti la Grande Guerra, quanto a pregiudiziali di ordine morale nei confronti di un sistema politico non certo democratico, come quello della Jugoslavia di Tito.

Di Giacomo Bologna piace ricordare la forza trainante che seppe manifestare in quella triste pagina della storia italiana, accomunando nella propria dissociazione, oltre ai colleghi di partito, ivi compreso – sia pure con qualche distinguo – il Senatore Paolo Barbi[2], alcuni esponenti della maggioranza laica, quali un liberale (Luigi Durand de la Penne) e un socialdemocratico (Fiorentino Sullo). Quest’ultimo, nell’annunciare il suo voto contrario, chiuse il suo nobile intervento «ricordando che suo padre aveva combattuto sul Carso e sul Pasubio e che gli sarebbe parso di tradirne la memoria» se avesse accettato la «vergogna di Osimo». In Parlamento c’era un’atmosfera vibrante, grazie alla protesta monolitica della destra, ma – con un particolare significato politico – anche in virtù di quella espressa dai dissidenti, a cominciare proprio da Giacomo Bologna.

Nel discorso che ebbe a pronunciare alla Camera, quest’ultimo non mancò di esprimere il suo «drammatico turbamento» assieme alla netta convinzione che il nuovo trattato non fosse assolutamente necessario. È mai possibile, si chiese platealmente il parlamentare della Democrazia Cristiana, che pochi giorni prima di Osimo l’Italia avesse firmato il trattato di Helsinki per l’intangibilità delle frontiere e che il 10 novembre 1975 fosse venuta meno all’impegno ritirando proprio la sua «da Cittanova a Trieste»?

Esule da Capodistria, Bologna visse quella stagione unica di tensioni e di speranze con «animo perturbato e commosso» caro alla filosofia di Giambattista Vico, e non volle appiattirsi, in primo luogo eticamente, sulle posizioni della maggioranza. Non a caso, nel 1980, durante il Convegno triestino sulle «Prospettive italiane in Adriatico», si sarebbe compiaciuto di esprimere una tesi ardita ma pienamente condivisibile: posto che la Jugoslavia aveva preteso l’estensione della propria sovranità sulla Zona «B» e l’Italia aveva finito per «perdere tutto», ecco che arrivava il momento per «rivendicare tutto». Era una dichiarazione solo apparentemente paradossale.

Sta di fatto che la politica estera di Roma era stata condizionata, fino al giorno di Osimo, dalla necessità di non compromettere il diritto italiano sulla Zona «B», ma è altrettanto vero che dopo la ratifica del trattato quelle preoccupazioni caddero automaticamente.

Da buon Istriano, Bologna non poteva non avvertirlo, pur dovendo confrontarsi con una volontà «politica» senza dubbio carente: la stessa Lista per Trieste, dopo l’entusiasmo dei primi tempi, doveva scendere a compromessi imposti, ancor prima che dalla dialettica politica, dalle tante anime che vi erano confluite, e che l’esperienza successiva avrebbe definito in «troppe»[3]. Si deve aggiungere che parecchi aderenti alla Lista ritennero un successo sostanzialmente decisivo quello di avere impedito l’istituzione della Zona Franca Industriale a cavallo del Carso (risultato certamente ragguardevole), archiviando – peraltro – altri obiettivi più ambiziosi sul piano politico[4].

Giacomo Bologna non può essere considerato inattuale, se non altro per avere confermato con parole memorabili, assieme agli altri esponenti della dissidenza, la gravità della crisi morale italiana, senza dire del disinteresse con cui la maggior parte dell’opinione pubblica aveva seguito la vicenda di Osimo. Oggi, vale la pena di ricordare il suo messaggio improntato agli imprescindibili valori cristiani e nazionali, nel senso nobile della parola: la crisi etica, ben lungi da essere superata, è divenuta, ora più che mai, priorità essenziale.


Note

1 Il deferimento di Giacomo Bologna e la conseguente estromissione dai ranghi del partito di maggioranza relativa furono atti di evidente prevaricazione della libertà di pensiero riconosciuta a ciascun parlamentare, in specie nei casi di alto valore morale; del resto, non ebbe analoga applicazione per i partiti di democrazia laica che rispettarono le dissociazioni intervenute nelle proprie file. In questo senso, il caso del parlamentare istriano rientra negli episodi della cosiddetta «dittatura d’assemblea» (definizione dell’illustre costituzionalista Giuseppe Maranini) che si ebbero, in particolare, durante il lungo periodo dei Governi a conduzione democristiana. Del resto, è di tutta evidenza (riconosciuta sia in dottrina sia in storiografia) che l’opposizione di Bologna, unitamente a quella degli altri parlamentari menzionati nel testo, fu improntata a motivazioni etiche largamente prioritarie, senza trascurare quelle di natura giuridica. Infatti, la Zona «B» non aveva titoli per essere trasferita alla Jugoslavia con atto unilaterale di parte italiana: al contrario, era stata inserita, assieme alla Zona «A», nel complesso territoriale del TLT (Territorio Libero di Trieste) affidato «pro tempore» alle amministrazioni rispettive di Belgrado per l’una, e del Governo Militare Alleato per l’altra (sostituito nel 1954 da quello di Roma).

2 Il Senatore Paolo Barbi, che tra i vari incarichi avrebbe avuto anche quello di Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), importante espressione del mondo esule, si distinse per un notevole intervento di natura etica contro il trattato di Osimo, anche se, all’atto del voto, si sarebbe dissociato dalla posizione dei suoi colleghi democristiani (oltre che liberali e socialdemocratici) che si espressero in senso contrario assieme a tutti quelli del Movimento Sociale Italiano.

3 La «Lista per Trieste», dopo il grande successo elettorale dei primi tempi nel collegio della città di San Giusto, e contraddistinto da cospicui suffragi ottenuti anche altrove, culminati nell’ascesa parlamentare di Manlio Cecovini e di Giulio Camber, avrebbe conosciuto alterne vicende, proseguendo nel proprio impegno fino agli albori del nuovo millennio. La svolta più importante nel corso della sua storia politica fu l’alleanza elettorale con il partito di Silvio Berlusconi (Forza Italia), che peraltro, stante la ben diversa presenza sul territorio nazionale, apparve – a vari livelli – come un sostanziale appiattimento sulle sue posizioni, destinato a segnarne il destino a lungo termine, assieme, ben s’intende, alla progressiva «normalizzazione» dei rapporti fra l’Italia e le Repubbliche ex Jugoslave, in specie dopo l’ingresso di Croazia e Slovenia nell’Unione Europea.

4 La rinegoziazione di Osimo, se non anche la sua denuncia, fu un’opzione sostanzialmente minoritaria, e rimasta allo stato di «noumeno» nonostante gli entusiasmi e proclami della prima ora. Di fatto, i vari atteggiamenti filo-jugoslavi manifestati da alcuni Paesi dell’Europa Occidentale e soprattutto dagli Stati Uniti d’America resero impossibile il disegno alternativo di taluni patrioti della «Lista» anche se in diverse pagine storiografiche il trattato continua a definirsi con le tradizionali e sempre pertinenti indicazioni di «infausto» o di «iniquo». Oggi, con frontiere ormai definite e accettate, a più forte ragione dopo le suddette adesioni comunitarie da parte di Lubiana e Zagabria, la vicenda storica appare cristallizzata: tuttavia il giudizio etico resta definitivo.

(ottobre 2023)

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