Storia della Sardegna
Una terra molto particolare

La Sardegna è Italia? Ovviamente sì, se ci riferiamo ai tempi nostri, mentre risulta più difficile stabilire l’appartenenza della regione alla nostra cultura e al nostro paese, parlando delle epoche precedenti. I Sardi hanno delle particolarità genetiche che li distinguono dagli altri popoli europei, non avendo grandi tradizioni marinare sono vissuti per molto tempo in uno stato di forte isolamento rispetto al resto del mondo e soprattutto molti studiosi ritengono il sardo (ovvero il gruppo di lingue sarde) non un dialetto italiano ma una lingua a se stante. In particolare molti linguisti ritengono il sardo la lingua neolatina più vicina al latino.

La Sardegna presenta poi la particolarità di essere stata la sede di una civiltà avanzata nel periodo preromano, ma di avere conosciuto nel periodo successivo un forte isolamento, uno stato di forte arretratezza, tanto che il termine Barbagia che indica la parte montuosa dell’isola, designa una terra di barbari. Alcuni studiosi poi mettono in luce le diversità culturali fra la parte marittima dell’isola dove sono state presenti delle basi commerciali di altri popoli e la parte interna costituita da terre povere dove vi era maggiore difficoltà e minore interesse a stabilire un dominio, mentre non mancano nel corso dei secoli testimonianze sulla vita rozza di quei popoli. Le prime opere letterarie sarde si ebbero alla fine del Quattrocento, con notevole ritardo rispetto alle altre regioni italiane, interessante notare che nei due secoli successivi si hanno molte opere scritte in spagnolo (castigliano e catalano), oltre che in sardo e italiano. Per un certo periodo sembrava che la Sardegna si avviasse ad essere culturalmente spagnola.

Il Neolitico e quindi l’uso dell’agricoltura risale al VI millennio, fu abbastanza precoce, forse perché i più avanzati popoli del Mediterraneo Orientale in possesso della nuova tecnica erano interessati agli scambi commerciali per procurarsi l’ossidiana presente nell’isola. Interessante notare che la sepoltura dei morti avveniva nelle cosiddette Domus de Janas («case delle fate») che riproducevano in dimensioni ridotte le case dei vivi. I morti venivano sepolti in posizione fetale, coperti di ocra rossa simbolo di sangue e di vita e con in mano una statuetta della Dea Madre, la dea associata alla fertilità. Non mancavano simboli mascolini, corna di toro, raffigurate nelle sepolture e nelle statue menhir. Nel periodo successivo, l’Età del rame, l’isola è stata interessata da una cultura nordica che si esprimeva attraverso circoli megalitici, dolmen, menhir, «vasi campaniformi», nonché statue menhir che riproducevano in maniera molto stilizzata un essere umano maschile dotato di pugnale.

Ai tempi della civiltà minoica risalente al 2.000 avanti Cristo, abbiamo in Sardegna la civiltà nuragica, caratterizzata dai nuraghi e dalle Tombe dei Giganti formate da grandi lastroni di pietra, quindi riconducibili alla civiltà megalitica del Nord Europa, dove i morti venivano sepolti in maniera collettiva. Gli studiosi non sono del tutto concordi sulla funzione dei nuraghi, tuttavia prevale l’opinione che fossero strutture destinate alla difesa. Sorgevano isolati a presidio di territori ma anche al centro di villaggi di capanne, il numero di queste costruzioni è particolarmente elevato, 7.000 sono quelle conosciute, concentrate nelle zone collinose e montane, segno di una società organizzata e relativamente ricca.

Successivamente al 900 avanti Cristo la parte costiera occidentale dell’isola venne colonizzata dai Fenici che stabilirono colonie commerciali interessate soprattutto ai prodotti minerari dell’isola. Alcuni secoli dopo, intorno al 500 avanti Cristo, la Sardegna intera venne colonizzata dai Cartaginesi dove stabilirono la loro consueta dura politica di assoggettamento e di forte pressione fiscale. Due secoli dopo, nel 238, l’isola venne occupata dai Romani che vennero accolti come liberatori nelle città marittime e in maniera ostile dalle popolazioni dell’interno che a lungo non furono sottomesse. Queste ultime nel 177 aggredirono i Romani e gli abitanti delle città costiere e tali aggressioni continuarono nei decenni e nei secoli successivi fino a tempi recenti sotto forma di razzie. Cesare conferì la cittadinanza romana ai cittadini di Cagliari, vennero realizzate strade anche nelle zone interne, l’isola venne sfruttata nelle sue zone pianeggianti per la coltivazione dei cereali, ma anche adoperata come luogo di deportazione. Lo storico greco Strabone vissuto negli anni a cavallo dell’anno zero scrisse che le razzie dei popoli montanari e la malaria avevano fortemente impoverito la Sardegna, molto diffusi erano i latifondi anche se nelle terre migliori non mancavano oliveti e vigneti. Alcuni ritrovamenti archeologici attestano culti punici, sacrifici cruenti e l’uso della lingua fenicia accanto al latino anche in epoca romana.

Interessante notare che il cristianesimo si affermò con notevole ritardo e che la Barbagia venne cristianizzata intorno al 600, cioè in un periodo successivo alla cristianizzazione dei popoli germanici al di qua del Reno. Durante tale periodo la religiosità popolare si espresse come testimoniato dagli scritti di Papa Gregorio Magno con pratiche magiche, indovini e stregoni.

Intorno al 450-460 la Sardegna venne occupata dai Vandali, che stabilitisi nel Nord Africa riuscirono a controllare le isole del Mediterraneo Occidentale. Le istituzioni romane comunque non vennero eliminate, a Cagliari governava un funzionario civile, il Praeses (Preside) e nella stessa città e in altre quattro città della zona occidentale (Sant’Antioco, Cornus fra Bosa e Oristano, Fordongianus verso l’interno, Porto Torres) si aveva la presenza di vescovi. Anche i Vandali (seguaci dell’arianesimo) non attribuivano all’isola una grande importanza che venne adoperata come luogo di deportazione per cattolici e gli appartenenti alla bellicosa popolazione berbera dei Mauri. La dominazione vandala non durò a lungo e con l’imperatore Giustiniano i Bizantini rioccuparono le terre del Mediterraneo Occidentale, Sardegna compresa. I Bizantini sono passati alla storia per la loro politica intollerante, autoritaria e la pesante politica fiscale, le diverse testimonianze fanno ritenere che anche nell’isola non si ebbero eccezioni. Sotto la dominazione bizantina accanto al potere del Preside si affermò il potere del «dux», il capo dell’apparato militare. La dominazione si prolungò più a lungo rispetto agli altri territori conquistati e si spense lentamente con il declino di Bisanzio e le incursioni arabe.

Conclusa la dominazione bizantina, la Sardegna per alcuni secoli non conobbe dominatori e si diede delle istituzioni considerate dagli storici la continuazione di quelle imperiali ma con alcune caratteristiche originali, i Giudicati. Nel corso dell’VIII secolo il potere civile venne unificato con quello militare sotto la direzione dello Judex (chiamato anche Archon alla maniera greca), titolo derivato dalle istituzioni bizantine. Nel primo periodo primeggiava Cagliari ma nel secolo successivo è attestata la suddivisione stabile in quattro giudicati, procedendo da sud a nord, Cagliari, Arborea, Logudoro, Gallura. Ciascuno governato da un giudice nominato e affiancato da una assemblea denominata «corona de logu», formata dai signori laici ed ecclesiastici. Ciascun giudicato aveva la sua «carta de logu», un codice di leggi fondamentali, interessante notare al riguardo che la Carta de Logu emanata nel 1392 dalla giudicessa Eleonora di Arborea scritta in sardo, restò in vigore fino al 1827. I giudici, che in origine appartenevano ad un’unica famiglia di origine bizantina, erano in maggioranza esponenti della classe dei grandi proprietari terrieri («donnos»), tuttavia si mantennero nell’isola delle istituzioni diverse e in un certo modo più avanzate di quelle feudali che interessavano il resto dell’Europa, in particolare si può ricordare il fatto che l’amministrazione locale era affidata ad un funzionario dello stato e non ad un vassallo e che il patrimonio statale si manteneva distaccato da quello personale dei capi politici. Nel periodo giudicale si ebbe l’inizio della affrancazione dei contadini dalla servitù della gleba che venne poi completata alla fine del Quattrocento. Il primo giudice con incarico a vita e titolo pienamente ereditario, pertanto assimilato a un re, risale alla fine del X secolo.

La Repubblica di Pisa fu il primo stato ad interessarsi della Sardegna, sia stabilendo rapporti commerciali sia attraverso alleanze matrimoniali fra le maggiori famiglie pisane e quelle da cui provenivano i Giudici sardi. I Sardi del resto vedevano con interesse un legame con lo stato toscano anche come protezione dalle terribili incursioni arabe. Nel 1165 Federico Barbarossa riconobbe il dominio pisano sull’isola, ma nel secolo successivo i Genovesi si diedero da fare per ottenere il dominio sul Logudoro. Le due repubbliche in competizione fra loro non arrivarono ad affermare pienamente la loro sovranità sui territori sardi, la loro politica risultò comunque positiva per l’economia dell’isola, ma ebbe termine a causa di un evento esterno. Nel 1297 il Papa Bonifacio VIII con un atto piuttosto insolito nominò Giacomo II d’Aragona re di Sardegna e Corsica in cambio della sua rinuncia sulla Sicilia che sarebbe dovuta ritornare agli Angioini. Le due repubbliche marinare non ebbero la forza di contrastare tale iniziativa e i Sardi accettarono tale situazione con l’eccezione dell’Arborea che contrastò la nuova dominazione per oltre un secolo, fino al 1409.

Gli Aragonesi introdussero il feudalesimo ma dovettero riconoscere come nelle altre terre da loro dominate un certo grado di autonomia all’isola, sia alle sue città sia alle famiglie nobili locali. Quando gli Aragona si unirono ai Castiglia dando vita allo stato spagnolo, non si ebbero traumi per gli isolani, tuttavia vennero introdotte l’Inquisizione e l’ordine dei Gesuiti, la cui religiosità contrastava come in altre regioni con quella popolare. Nei primi del Seicento si ebbe l’apertura delle due università di Cagliari e Sassari ma con la decadenza economica della Spagna iniziò una certa insofferenza dei Sardi che toccò il culmine con il rifiuto di pagare le tasse e l’uccisione del viceré Camarasa nel 1668. Come in altre parti d’Europa, i baroni e i grandi proprietari di terre in genere preferivano vivere nei territori migliori anche lontano dai loro possedimenti, disinteressandosi della cura e dei miglioramenti delle loro terre. Aragonesi e successivamente Spagnoli imposero direttamente o indirettamente il loro monopolio sul commercio del grano che costituiva ancora gran parte dell’economia isolana, favorendo quindi l’abbandono delle coltivazioni e la diffusione della meno redditizia pastorizia, mentre la politica fiscale sia regia che feudale oppressiva e sperequata favoriva le tensioni sociali. Tutto il periodo della dominazione spagnola fu un periodo instabile caratterizzato da banditismo organizzato, continui conflitti locali che sorgevano fra allevatori e coltivatori e fra contadini e baroni. I villaggi contadini sottoposti ai baroni ottennero nel Seicento un certo grado di autonomia, ma con scarsi benefici economici.

La dominazione spagnola finì con l’estinzione della famiglia Asburgo di Spagna (1700), al termine della guerra di successione spagnola la Sardegna, dopo un brevissimo periodo di dominazione austriaca, passò ai Savoia che già prima dell’avvento dei governi liberali portarono delle importanti innovazioni nell’isola. La regione rimase povera a lungo fino ai tempi recenti, con l’avvento del turismo.

(gennaio 2018)

Tag: Luciano Atticciati, storia della Sardegna, pastori sardi, nuraghe, preistoria della Sardegna, Barbagia, barbaricini, lingua sarda, civiltà nuragica, Giudicati.