Gloria victis: la strage di Vergarolla
A 70 anni dall’eccidio, il giudizio storico circa la responsabilità jugoslava si coniuga con quello etico

Il delitto contro l’umanità perpetrato il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla, nei pressi di Pola, le cui matrici apparvero subito chiare alla cittadinanza del capoluogo istriano, protagonista nel successivo inverno di un esodo che avrebbe coinvolto il 92%, venne motivato anche ufficialmente nel 2008 quale atto attribuibile all’OZNA (la polizia politica di Tito) grazie all’apertura degli Archivi Inglesi del Foreign Office. La stampa d’informazione, con riguardo prioritario a quella giuliana, volle conferire il giusto risalto alla notizia[1].

I caduti di Vergarolla furono oltre 100 (in maggioranza donne e bambini con un’età media di soli 26 anni) senza contare un numero altrettanto imponente di feriti[2]. Negli anni più recenti, alcuni caduti sono stati oggetto dei riconoscimenti di stato concessi dal Presidente della Repubblica ai sensi della Legge 30 marzo 2004 numero 92, nella parte che statuisce il conferimento di una Medaglia «ad honorem» ai Martiri delle Foibe od altrimenti massacrati dai partigiani di Tito, previa domanda da parte degli aventi causa[3].

La conferma della tradizionale interpretazione di Vergarolla, ormai acquisita nella memoria storica degli Esuli, in particolare dalla città di Pola, come delitto assimilabile a quelli delle foibe, delle fucilazioni, degli annegamenti, delle lapidazioni, e via dicendo, ha trovato ampia eco, secondo logica, anche nella stampa dell’Esodo, ma nello stesso tempo ha alimentato una fioritura di studi, talvolta in chiave decisamente negazionista[4] e più spesso in un’ottica di più ampio respiro, aperta ad ipotesi alternative di varia estrazione[5].

È singolare che queste nuove attenzioni della storiografia per la tragedia di Vergarolla (la più grande strage avvenuta nel Novecento Italiano in periodo di pace e per cause non naturali) siano venute alla luce dopo la «conferma» di Londra circa la responsabilità dell’OZNA, e per quanto riguarda le più recenti, dopo l’ingresso della Croazia nella Casa Comune Europea, avvenuta il 1° luglio 2013. In ogni caso, si tratta di un fatto potenzialmente positivo, se non altro alla luce della corretta metodologia storiografica secondo cui ogni approfondimento è sempre utile, sia per discutere verità acquisite, sia per giungere alla conferma di assunti già consolidati.

Va tenuto conto che ogni storia finisce per essere interpretata alla luce dei problemi e delle concezioni attuali, anche quando l’evento, assieme alle sue stesse matrici, «è lì che parla a chi lo vuol sentire» (Giusti). Ciò significa che ogni interpretazione deviante, se non addirittura rivoluzionaria, come alcune di quelle che sono state proposte per la tragedia di Vergarolla, avrebbe bisogno di prove inconfutabili, cosa che finora non è avvenuta, e che ormai costituisce obiettivamente un mero noumeno.

In effetti, la ricerca di maggiore ampiezza, che è quella di Gaetano Dato, non è giunta ad alcuna conclusione, limitandosi a proporre un ventaglio di alternative da approfondire con ulteriori indagini di campo da affidare ad un’improbabile Commissione Internazionale di esperti, appartenenti ai vari Paesi interessati (Italia, Croazia, Slovenia, Gran Bretagna, Stati Uniti): un disegno indubbiamente suggestivo, ma dagli oneri e dai tempi imprevedibili, e tanto più arduo se si pensa a quanto accadde, anni orsono, con la conclamata Commissione di studio italo-slovena, i cui risultati furono talmente opinabili da non essere stati mai ufficializzati da parte del Governo Italiano.

Del resto, proprio Dato ha scritto sin dall’introduzione che per divenire effettivamente «autentico» ogni documento ha bisogno di verifiche e di controprove; ma nello stesso tempo, ha dichiarato di non potersi dare affidamento alle testimonianze orali, qualora non siano a loro volta comprovate. Infatti, ha definito sostanzialmente inattendibile anche quella di Lino Vivoda, ex Sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio, che a Vergarolla perse il fratellino ed altri congiunti, e che ebbe a rivelare come uno degli autori materiali della strage, con tanto di nome e cognome, si fosse tolto la vita nel 1979, sopraffatto da un pentimento largamente tardivo.

Lo studio del Dato, al pari di quelli sostanzialmente coevi di Claudia Cernigoi e di William Klinger, sottolinea un fatto oggettivo: quale interesse poteva avere la Jugoslavia a promuovere una strage così efferata quando, il 18 agosto 1946, sussisteva già la sostanziale certezza del prossimo trasferimento di Pola sotto la sovranità della Repubblica Federativa?

Infatti, la decisione dei cosiddetti «Quattro Grandi» era stata presa dai primi di luglio, nonostante talune resipiscenze sudamericane. Al riguardo, soccorre l’interpretazione dello stesso Klinger[6], secondo cui la strage avrebbe potuto essere stata ordita ugualmente dall’OZNA, sia pure con altra motivazione: non quella di incentivare l’esodo, a cui nove decimi dei cittadini di Pola si erano dichiarati pronti non appena conosciute le decisioni di Parigi, bensì quella di demoralizzare la «resistenza» italiana, che in realtà sarebbe rimasta silente, o meglio rassegnata, fatta eccezione per il clamoroso e coraggioso gesto singolo compiuto da Maria Pasquinelli il 10 febbraio dell’anno successivo con l’uccisione del Generale Robert De Winton, comandante del Corpo Inglese di stanza a Pola, quale protesta simbolica contestuale alla firma parigina del «diktat». Un’interpretazione, questa di William Klinger, teoricamente funzionale ma politicamente infondata, visto che non ci fu alcun tentativo di «resistere».

Ciò non significa che Dato non abbia portato contributi importanti alla storia di Vergarolla: ad esempio, per quanto riguarda la questione, generalmente ignorata, degli indennizzi ai familiari delle vittime ed ai feriti. Sostanzialmente, furono elemosine o poco più, elargite dal GMA con un contagocce a dir poco discriminante, e soprattutto, a titolo di pura e semplice assistenza solidale, onde evitare qualsiasi ammissione di responsabilità, peraltro palese: infatti, le bombe erano stoccate sulla spiaggia ed avrebbero dovuto essere gestite dal Governatorato Britannico, o meglio consegnate alla Jugoslavia quale «bottino di guerra» (cosa che non avvenne, data la compromissione dei rapporti anglo-jugoslavi culminata nell’abbattimento di un aereo inglese da parte dell’aviazione di Tito, e dell’atterraggio forzato di un altro, a seguito di probabili sorvoli dello spazio sloveno).

Una parte significativa dello studio è dedicata al ruolo del cosiddetto revanscismo italiano di estrazione monarchica o neo-fascista, nel cui ambito trova spazio una lunga silloge della vicenda di Maria Pasquinelli; nondimeno, si tratta di semplici ipotesi, confortate soltanto dal possibile supporto indiretto che avrebbe potuto derivare alla causa italiana dal contenzioso anglo-jugoslavo, peraltro risolto abbastanza rapidamente ed in ogni caso inidoneo a scatenare un vero e proprio conflitto.

Dato, sulla scorta di un’intervista piuttosto improbabile rilasciata da una Pasquinelli quasi centenaria, ha insinuato persino che Maria, quel giorno, avrebbe dovuto essere a Vergarolla, ma che si salvò perché «scelse una spiaggia diversa». Cosa che accadde a tanti altri Polesi ed Istriani, come da precise e numerose testimonianze ufficiali: tutti possibili implicati nell’attentato?

La ricerca di Dato è documentata da vari sopralluoghi negli Archivi Alleati ed in quelli della ex Jugoslavia, per non dire della stampa d’epoca[7]. Da questo punto di vista, costituisce una base di utile conoscenza integrativa, anche se compie ampie digressioni su fatti importanti nell’ottica internazionale, ma di scarsa rilevanza per quanto concerne la storia specifica di Vergarolla.

Allo stato delle cose, che altro dire? Dopo oltre 70 anni, non è affatto facile che ulteriori indagini possano portare nuovi lumi, di cui le vittime non hanno bisogno; anzi, è del tutto improbabile.

Forse, sarebbe più congruo destinare l’impegno del sistema pubblico ad obiettivi più immediati e soprattutto meno onerosi, come la piena vigenza della legge 15 febbraio 1989 numero 54 in materia di anagrafe; la revoca, anche se ormai simbolica, delle pensioni privilegiate agli infoibatori ed ai loro eredi; la tutela delle tombe e dei monumenti italiani in Slovenia e Croazia; la revisione dei libri per le scuole, con la cancellazione della menzogna secondo cui nel 1947 l’Italia avrebbe «restituito» alla Jugoslavia le terre giuliane, istriane e dalmate che la Repubblica Federativa non aveva mai posseduto.

E soprattutto, sarebbe funzionale sul piano politico, e necessario su quello morale, fare in modo che gli ignari sappiano e gli altri ricordino, all’insegna della giustizia e della fede.


Note

1 Pietro Spirito, Gli Archivi Inglesi rivelano: la strage di Vergarolla voluta dagli agenti di Tito, in «Il Piccolo», Trieste, 9 marzo 2008, anno CXXVII, numero 59, pagina 15 (con riferimenti all’opera di Fabio Amodeo e Mario J. Cereghino, Trieste e il confine orientale tra guerra e dopoguerra, Trieste 2008). Fra le prime interpretazioni della «scoperta» londinese, confronta Carlo Montani, Vergarolla 1946: una verità definitiva, in «Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale», anno X, numero 29, Edizioni Nagard, Milano 2008, pagine 185-195.

2 P. Flaminio Rocchi, L’Esodo dei 350.000 giuliani, fiumani e dalmati, Edizioni Difesa Adriatica, Roma 1990, pagina 576. L’Autore, che fu per molti anni anima dell’assistenza ai profughi e massimo esponente dell’associazionismo esule, indica in 109 il numero delle vittime di Vergarolla. Quello dei feriti, invece, fu valutato approssimativamente in 250, tra cui 19 gravissimi, dalla «Voce del Popolo» del 20 agosto. In ogni caso, la tragica contabilità è rimasta necessariamente incerta, dato che molte vittime risiedevano nei comprensori contigui al capoluogo, per cui sfuggirono alla rilevazione degli scomparsi, senza dire che la violenza dell’esplosione (circa 10 tonnellate di tritolo) fu tale da rendere irriconoscibili i resti di chi si trovava nelle vicinanze dell’epicentro.

3 Alla scadenza decennale della legge, risultano conferite 12 Medaglie a fronte di altrettante istanze presentate dai congiunti delle vittime. Dopo la proroga per un ulteriore decennio del provvedimento in questione, che ha visto circa un migliaio di conferimenti a fronte di almeno 16.500 infoibati od altrimenti massacrati (secondo la stima di Luigi Papo), si auspicano ulteriori estensioni delle istanze da parte degli aventi causa, e quindi un’informativa esauriente circa la sua vigenza.

4 È il caso di Claudia Cernigoi, Strategia della tensione in Istria, Internet, settembre 2013. L’Autrice, non potendo ovviamente negare la realtà dell’eccidio, ne ipotizza le cause non già nell’iniziativa di parte jugoslava emersa dalle carte del Foreign Office, ma in possibili azioni dei servizi segreti ispirate da un presunto revanscismo nazionalista italiano che resta tutto da dimostrare, se non altro alla luce delle condizioni in essere nell’estate 1946, quando ogni ipotesi di quel tipo era puramente fantastica.

5 Per gli ultimi contributi di rilievo sull’argomento (dopo quelli di Stefano Zecchi dedicati a Maria Pasquinelli, eroina di un ideale in drammatico contrasto con la sostanziale rassegnazione del mondo esule), confronta William Klinger, La strage di Vergarolla, Libero Comune di Pola in Esilio, Trieste 2014, 40 pagine; e Gaetano Dato, Vergarolla: gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda, Libreria Editrice LEG, Gorizia 2014, 270 pagine.

6 La ricerca del Klinger è stata dichiaratamente «revisionata» da Paolo Radivo, Direttore del mensile «L’Arena di Pola», Organo del Libero Comune di Pola in Esilio: forse, per edulcorare alcuni assunti in evidente contrasto col convincimento plebiscitario del modo esule, con l’interpretazione razionale dei fatti, e con gli stessi documenti londinesi. Ciò, con ulteriore, particolare riguardo alla dettagliata analisi dello stesso Paolo Radivo, La strage di Vergarolla (18 agosto 1946) secondo i giornali giuliani dell’epoca e le acquisizioni successive, Edizione del Libero Comune di Pola in Esilio, Trieste 2016, 648 pagine.

7 Non manca qualche discrasia. Ad esempio non è vero che «Il Grido dell’Istria» all’indomani di Vergarolla non abbia parlato della strage: lo fece nel primo numero utile di settembre, con la famosa invettiva contro gli «assassini» slavi, mentre quello che l’Autore indica in uscita il 19 agosto era stato pubblicato il giorno 10. Si veda, al riguardo, il «reprint» integrale del «Grido» (luglio 1945-febbraio 1947), con dedica a Maria Pasquinelli, Edizioni Unione degli Istriani, Trieste 2008.

(agosto 2017)

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