Armando Casalini, il Matteotti di destra
Un ex esponente di sinistra divenuto deputato fascista subì nel ’24 una mortale aggressione

Tutti conosciamo Giacomo Matteotti, il socialista ucciso nel 1924, la cui morte portò vicino alla crisi il governo Mussolini. Meno noto è il fatto che lui e Filippo Turati, subirono molte minacce di espulsione da parte del partito socialista per le loro idee relativamente moderate e nel 1922 furono costretti ad allontanarsi da quel partito, così come meno noto è il fatto che due mesi dopo la morte del primo un deputato fascista, Armando Casalini, venne ucciso da un militante comunista.

La violenza politica nel nostro paese prese vita subito dopo la fine della prima guerra mondiale. I primi atti si ebbero con le aggressioni ai reduci, ufficiali e soldati semplici decorati. Lo scrittore antifascista Gaetano Salvemini scrisse: «Bollarono come criminali gli eroi della guerra, e lodarono come eroi i disertori; in certe zone, chi aveva fatto con onore il proprio dovere durante la guerra, o era tornato a casa invalido, veniva considerato come una vergogna da tenersi nascosta. Questo atteggiamento fece più danno ai partiti rivoluzionari di qualsiasi altra cosa». Tali aggressioni non furono mai mortali ma suscitarono sdegno e provocarono una reazione da parte di nazionalisti e degli Arditi, gli ex appartenenti alle truppe d’assalto che in qualche modo partecipavano alla vita politica del paese e si scontravano con gruppi di sinistra. Gli Arditi non furono un gruppo compatto, simpatizzarono per i futuristi che si erano dati un programma politico piuttosto singolare, anticlericale, socialista e nazionalista insieme, furono dannunziani quando il poeta diede vita all’impresa di Fiume, una parte successivamente simpatizzò per il fascismo mentre un’altra diede vita agli Arditi del Popolo, un gruppo estremista di sinistra.

Nel febbraio del 1919 venne introdotta la giornata lavorativa di otto ore per la categoria dei metallurgici, ma tale provvedimento insieme all’introduzione di un meccanismo simile alla scala mobile non impedì la degenerazione della lotta sindacale e politica. Quattro mesi dopo l’introduzione del primo provvedimento iniziarono le manifestazioni contro il carovita che scadevano in saccheggi di botteghe e negozi (non solo beni di prima necessità ma anche generi di lusso), il primo atto di quello che fu chiamato il Biennio Rosso. Nell’estate dello stesso anno si ebbero le lotte contadine con occupazioni di terre e richieste molto dure come il monopolio sindacale del collocamento e l’imponibile di manodopera (l’obbligo di assunzione dei lavoratori) che in pratica rendevano i proprietari di terre e i fittavoli privi della facoltà di gestire i loro beni e privi di un ritorno economico nelle loro attività. Le lotte contadine vennero condotte con azioni violente e sabotaggi, in particolare nel Nord con il blocco della mungitura che provocava la morte del bestiame. Come ricorda Salvemini in Le origini del fascismo ne fecero le spese soprattutto i piccoli proprietari che vivevano isolati in campagna dove le forze dell’ordine non potevano intervenire rapidamente. Tali lotte non vennero condotte esclusivamente da socialisti, va ricordata la partecipazione di leghe bianche (cattolici) e associazioni di ex combattenti.

Il mito della Rivoluzione d’Ottobre aveva «ubriacato», come disse lo stesso Turati, le menti di una parte della sinistra e dei lavoratori. Nello stesso anno il partito socialista tenne un congresso in cui si stabiliva di aderire alla Terza Internazionale creata da Lenin e di lottare per una dittatura del proletariato sul «modello sovietico». Tutti questi eventi provocarono una reazione da parte del ceto medio ed in particolare dei giovani che, fatto innovativo per tale classe, costituirono associazioni patriottiche e antibolsceviche. Il paese andava verso una guerra civile, nonostante che i governi Nitti e successivamente Giolitti cercassero di stemperare il contrasto sociale nel paese, con iniziative a favore dei lavoratori e ricercando la collaborazione con i socialisti riformisti.

Il 1919 fu un anno terribile per tutta l’Europa, insurrezioni comuniste si ebbero in Germania e in Ungheria, ma anche le meno note rivolte armate in Austria e in Spagna. Nel 1920 per l’Italia si ebbe una situazione ancora peggiore. A marzo si ebbe il cosiddetto «sciopero delle lancette», uno sciopero alla Fiat successivamente esteso in tutto il Piemonte, particolarmente duro e prolungato (dal 22 marzo al 24 aprile) che prese l’avvio da una questione del tutto banale, l’applicazione dell’ora legale, ma che avrebbe dovuto far comprendere agli industriali e alla società il potere di cui disponevano le organizzazioni sindacali.

A giugno si ebbe una situazione ancora più grave, passata alla storia come la rivolta di Ancona, un reparto di bersaglieri che temeva di essere inviati in Albania disarmò gli ufficiali e con il sostegno di socialisti, anarchici e repubblicani provocò la rivolta armata nelle Marche, in Romagna e Umbria, con numerosi morti fra insorti e forze dell’ordine. Rivolte in qualche modo analoghe si ebbero a Bari e a Viareggio.

Si ebbe infine l’episodio più grave del Biennio Rosso, l’Occupazione delle fabbriche. Si costituirono i Consigli di Fabbrica che nelle dichiarazioni dei dirigenti di sinistra dovevano costituire esplicitamente i soviet d’Italia, si ampliarono le Guardie Rosse e si progettava apertamente di dare vita ad una insurrezione armata, Giolitti con la sua politica moderata riuscì a provocare il fallimento dell’iniziativa e dopo questo evento sindacati e partiti della sinistra andarono incontro ad un periodo di forte crisi. L’Italia avrebbe potuto conoscere un ritorno alla normalità, ma il movimento dei Fasci di Combattimento che nello stesso periodo si era spostato a destra, diede vita nell’autunno di quell’anno allo squadrismo e per diversi anni si ebbero scontri in cui trovarono la morte (dati riportati da Salvemini) oltre trecento fascisti, quattrocento socialcomunisti, nonché (dati riportati da Mimmo Franzinelli) decine di appartenenti alle forze dell’ordine e dei cosiddetti crumiri. Gli squadristi progressivamente conquistarono il Nord Italia e impedirono non solo le manifestazioni della sinistra ma costrinsero anche le giunte comunali rosse a dare le dimissioni. Alcune testimonianze fanno ritenere che non tutti i proletari erano stati favorevoli alle iniziative dell’estrema sinistra ma avevano dovuto subire le imposizioni dei capi dei sindacati o delle organizzazioni politiche e l’andamento elettorale della sinistra particolarmente negativo nelle zone dove si erano svolti i maggiori scontri, confermerebbe tale situazione.

Tali tristi eventi ebbero una notevole influenza sul leader della sinistra romagnola Armando Casalini. La figura di Casalini è molto particolare, era un semplice operaio molto attivo all’interno del partito repubblicano e nel 1914 prese parte alla Settimana Rossa. Interventista, partì come volontario nel conflitto, due anni dopo, all’età di 33 anni divenne segretario nazionale del Partito Repubblicano. Il Partito Repubblicano aveva avuto una vita politica travagliata in quegli anni, aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra di Libia nel 1911 ma allo scoppio della prima guerra mondiale divenne sostenitore dell’intervento dell’Italia per l’unione di Trento e Trieste alla patria e contro gli Imperi Centrali ritenuti baluardo della conservazione. Fatto decisamente nuovo degli anni di guerra fu la nomina a ministro di due esponenti repubblicani (insieme al socialista Bissolati) che fino allora era stato un partito di opposizione. Lo stesso Pietro Nenni, allora esponente di rilievo di quel partito, seguì le stesse mosse politiche, amico di Mussolini nel 1919 aderì ai Fasci di Combattimento. Anche il partito dei Demosociali, erede del Partito Radicale e vicino al partito repubblicano, si avvicinò al partito fascista e a causa delle violenze dell’estrema sinistra nel ’22 diede il suo sostegno al governo Mussolini. A seguito di tale eventi il partito repubblicano si spaccò, una parte che comprendeva il futuro gerarca Italo Balbo si avvicinò al fascismo, mentre un’altra parte comprendente il gruppo di Italia Libera diretto da Randolfo Pacciardi prese una posizione antifascista molto attiva, il vecchio partito mazziniano andò verso una inevitabile disgregazione.

Nell’aprile del 1920 Casalini si dimise dai suoi incarichi politici e nel ’22 costituì l’Unione Mazziniana Italiana prendendo una posizione duramente contraria a quella socialcomunista. Le elezioni del ’24 videro la costituzione di un vasto blocco nazionale a cui aderì l’ex leader repubblicano che divenne vicesegretario della Confederazione dei nuovi sindacati costituiti dai fascisti e venne eletto deputato in Lombardia.

La violenza politica continuò anche dopo la costituzione del governo Mussolini. Le elezioni del 6 aprile 1924 furono un grande successo per la destra e il fascismo (66% dei voti), tuttavia lo storico Renzo De Felice nella sua monumentale biografia su Mussolini fa notare che il futuro duce nei suoi discorsi e nei suoi contatti subito dopo la tornata elettorale intendesse aprire ad una qualche forma di collaborazione con i socialisti, offrendo anche un incarico di governo al sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Il 30 maggio Giacomo Matteotti in un discorso alla Camera denunciò i brogli e le intimidazioni compiute dai fascisti durante le operazioni di voto, anche se sostengono diversi studiosi difficilmente potevano essere tali da stravolgere il risultato delle stesse, ipotesi confermata dal fatto che il partito comunista ottenne un numero maggiore di voti rispetto alle elezioni del ’21. Nello stesso discorso Matteotti affermò: «Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall’uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell’altro». Venti giorni dopo il discorso, il 10 giugno, Matteotti venne assalito per strada e costretto a salire in una macchina, dopo di che non si ebbero più notizie di lui finché non venne ritrovato il corpo il 16 agosto. Molti ritenevano che gli autori del delitto fossero i fascisti e anche le indagini della Procura lo confermarono. In realtà Matteotti non fu il primo deputato a trovare la morte in quegli anni, nel novembre 1920 un deputato socialista, Policarpo Scarabello, morì a Verona lanciando una bomba nel corso di uno scontro tra fascisti impegnati a strappare le bandiere rosse innalzate sugli edifici pubblici della città e i socialisti. La questione appariva molto grave, le violenze politiche erano un fatto comune in quegli anni, ma non erano mai stati coinvolti personaggi di alto livello o dei deputati, la parte moderata della maggioranza parlamentare che sosteneva il governo manifestava l’intenzione di un cambiamento al vertice. Palmiro Togliatti rese tale cambiamento più difficile, affermando pubblicamente che Mussolini, Giolitti e Sturzo erano tutti e tre rappresentanti della borghesia e nemici da abbattere, in pratica con tale affermazione rese molto più difficile trovare consenso per una mozione di sfiducia verso il governo che infatti non venne mai presentata. Responsabili della morte del deputato furono gli appartenenti ad un gruppo squadrista capeggiato da Amerigo Dumini che due anni dopo venne condannato per tale reato, anche se dalla dinamica dei fatti risultava che l’omicidio fosse preterintenzionale. Nei successivi processi tenutisi dopo il ’45 non risultò che Mussolini avesse ordinato l’assassinio anche se molti lo ritenevano possibile.

Il 26 giugno 135 deputati dell’opposizione, ovvero la parte dei liberali capeggiati da Amendola, popolari, repubblicani, socialisti e comunisti (questi ultimi successivamente rientrati) abbandonarono la Camera e si ritirarono sull’Aventino, sebbene Giolitti avesse ritenuto tale scelta controproducente e più opportuno cercare l’appoggio della destra moderata per mettere in crisi il governo. Il 12 settembre Giovanni Corvi, un carpentiere forse di simpatie comuniste, uccise Casalini gridando «vendetta per Matteotti». L’assassino venne riconosciuto responsabile ma venne internato per diversi periodi in manicomio, difficile stabilire la sua piena lucidità al momento dell’evento o i suoi legami con ambienti politici, anche se l’estrema sinistra manifestò simpatie per il personaggio. La morte di Casalini contribuì a ricompattare le file della destra e dal gennaio dell’anno successivo iniziarono le leggi restrittive delle libertà politiche.

(febbraio 2018)

Tag: Luciano Atticciati, Giacomo Matteotti, Filippo Turati, Armando Casalini, Mussolini, Togliatti, Gaetano Salvemini, fascisti, socialisti, comunisti, elezioni del 1924, squadristi, Guardie Rosse, Giovanni Corvi, partito repubblicano, demosociali, biennio rosso, Policarpo Scarabello.