Il Biennio Rosso e la nascita del fascismo
Secondo Gaetano Salvemini le violenze scatenate dai socialisti massimalisti nel 1919-1920 furono la causa del sorgere del fascismo

Salvemini, scrittore e antifascista, si dedicò molto alle vicende del Novecento. Nel 1943 il grande pensatore, allora professore di Storia della Civiltà Italiana all’Università di Harvard, tenne una serie di lezioni sugli avvenimenti che portarono alla nascita del fascismo. Le Lezioni di Harvard appaiono uno scritto di notevole importanza storica e individuano alcuni temi, il ruolo delle classi medie, l’euforia irrazionale dei lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, la politica sovversiva e inconcludente del partito socialista, che vennero successivamente ripresi dallo storico Renzo De Felice. Vi proponiamo qui alcuni dei brani più significativi.


È impossibile dire come sarebbero andate le cose se avessero preso una diversa piega; non si può quindi sostenere con certezza che se il partito socialista avesse seguito questa strada [moderata] il movimento fascista non avrebbe avuto possibilità di vittoria in Italia; la sola cosa che si può affermare è che il metodo della Destra socialista non fu sperimentato mai, perché la maggioranza del partito non permise mai che tale esperimento fosse compiuto… I socialisti rivoluzionari che erano in maggioranza nelle organizzazioni politiche e nell’esecutivo nazionale del partito, cominciarono nel 1918 a chiamarsi «massimalisti». La parola italiana «massimalista» corrisponde alla parola russa «bolscevico»: la Russia di Lenin era il loro paradiso. Al congresso nazionale del partito tenuto a Roma nel settembre 1918, fu approvata a grande maggioranza come programma del partito «l’istituzione della repubblica socialista e la dittatura del proletariato». Secondo il loro misurato parere, si stava avvicinando l’ora della rivoluzione sociale; chi doveva decidere quand’è che l’ora fosse suonata era il «proletariato rivoluzionario».

Un’altra caratteristica dei fatti che stiamo considerando, fu anche la partecipazione alle dimostrazioni «antibolsceviche» di giovani delle classi medie. Questi giovani erano cresciuti in mezzo ai tragici avvenimenti bellici, e a scuola erano stati nutriti di letteratura patriottica di tipo eroico. La maggior parte di loro era sincera e di sentimenti generosi; non avevano interessi personali da difendere: i comunisti, gli anarchici, e non pochi socialisti ebbero il torto di non comprendere e di non rispettare i sentimenti di questa gioventù; insistettero a considerare questi sentimenti con disprezzo; come se sentimento nazionale sincero e brutalità nazionalista fossero la stessa cosa; non era concepibile per essi che potesse esistere un sacrificio onorevole, se questo non era compiuto per il «proletariato»; bollarono come criminali gli eroi della guerra, e lodarono come eroi i disertori; in certe zone, chi aveva fatto con onore il proprio dovere durante la guerra, o era tornato a casa invalido, veniva considerato come una vergogna da tenersi nascosta. Questo atteggiamento fece più danno ai partiti rivoluzionari di qualsiasi altra cosa. Nazionalisti, fascisti e futuristi approfittarono con grande scaltrezza di questo errore: uno dei principali richiami della loro «offensiva antibolscevica» fu proprio la rivendicazione dei diritti e dell’onore degli invalidi e dei decorati di guerra, e fu questo richiamo che fece sì che molti giovani intellettuali si raccogliessero intorno a loro. Infine non va sottovalutato il fatto che tra le classi intellettuali si andava lentamente diffondendo un vivo sentimento di invidia e di odio per le classi lavoratrici. Le classi lavoratrici, con gli scioperi, riuscivano ad ottenere aumenti di salari con cui far fronte al crescente costo della vita… In Europa il dopoguerra ha portato alle classi medie povertà e sofferenza, ma le classi medie per quanto declassate dalla crisi economica, non intendono identificarsi con il proletariato. All’inizio il fascismo italiano e il nazismo tedesco furono essenzialmente movimenti composti da elementi impoveriti delle classi medie…

In questi fatti del giugno 1919, anche più che in quelli dell’aprile precedente, vengono chiaramente alla luce molti dei tratti caratteristici destinati a ripetersi negli anni seguenti.

1) Ogni volta che i nazionalisti, i fascisti, i futuristi e gli «Arditi» attaccavano i centri di comando delle istituzioni socialiste la polizia concedeva loro via libera. Tale pratica era illegale e immorale; ma durante i comizi socialisti e nelle dimostrazioni di piazza c’era sempre qualcuno che attaccava la polizia a colpi di pietra o a revolverate, e la polizia era lieta di vedersi vendicata da dei volontari.

2) Massimalisti, spartachisti e anarchici non potevano chiedere la protezione della polizia, dopo che nelle loro dimostrazioni la insultavano, la prendevano a sassate e la ferivano…

Non occorre sminuire il disagio provocato dagli scioperi, specialmente quelli che riguardavano le ferrovie e gli altri servizi pubblici, o minimizzare la responsabilità di quegli elementi aggressivi e radicali che si abbandonavano al giuoco assai costoso di creare i guai nella speranza che i guai alimentassero la rivoluzione. È chiaro che nella prima metà del 1920 vi era tra le masse un vero stato di attesa per la incombente rivoluzione sociale. Ma anche quando si sia tenuto presente tutto questo, rimane il fatto che vi furono sì molti disordini, scioperi, conflitti e molto chiasso e molta confusione, ma non si arrivò mai alla crisi fatale.

Per lo più le persone che col fiato sospeso e gli occhi fuori dalle orbite, parlano del «bolscevismo» di quegli anni, non sono insincere. Nel 1919 e 1920, furono terrorizzate dalla tragedia russa, ed erano in uno stato di timor panico, in attesa della rivoluzione sociale come le pecore davanti al macello…

Nella Bassa Lombarda, in Emilia, Toscana e Puglia, dove la pressione dei sindacati socialisti e popolari era al suo massimo, i datori di lavoro vivevano in uno stato di continuo timore per sé e per le proprie famiglie, spesso isolati com’erano in aperta campagna e senza mezzi di difesa. Durante il primo anno dopo la fine della guerra, essi avevano sopportato questo stato di cose, sperando che presto tutto sarebbe tornato come prima; i contadini erano quasi tutti reduci, e si doveva avere pazienza per i colpi di testa dei «salvatori della patria»: ma col passare del tempo questa tenerezza verso i «salvatori della patria» cominciò ad affievolirsi, mentre cresceva uno stato d’irritazione. Con la batosta delle nuove imposte diventava sempre più difficile per i proprietari terrieri sopportare il peso di alti salari e in più l’obbligo di assumere, per alleviare la disoccupazione, un numero di opere non necessarie, e talvolta perfino dannose. I più esasperati non erano i grandi proprietari terrieri, che non avevano contatti diretti con i braccianti e i mezzadri, ma gli affittuari, i fattori, i piccoli e medi proprietari. Più di tutti erano esacerbati quei piccoli proprietari che da poco erano venuti in possesso della terra con risparmi accumulati durante la guerra, e che adesso si vedevano costretti a difendere la loro proprietà.

Insieme all’«antibolscevismo» degli industriali e dei proprietari terrieri, vi era quello dei bottegai e dei commercianti. Molti di costoro avevano avversato la guerra, e nel 1919 avevano simpatizzato con le proteste dei «bolscevichi» contro i responsabili della guerra. Ma non appena questo «bolscevismo» cominciò ad imporre calmieri, saccheggiare negozi, rompere le vetrine, anch’essi divennero accesi «antibolscevichi»…

Pochi giorni dopo la spedizione di D’Annunzio a Fiume ai primi d’ottobre [1919], si tenne a Bologna il congresso nazionale del partito socialista. L’ala destra, guidata da Turati, sostenne che si doveva rimanere fedeli alla tradizione del partito, e partecipare sia alla prossima campagna elettorale che ai lavori della futura Camera, avendo di mira di strappare al governo il maggior numero possibile di riforme immediate, che servissero alle classi lavoratrici. I massimalisti sostennero che la rivoluzione sociale doveva farla finita col Parlamento e con tutti gli altri istituti borghesi, ma che il partito socialista doveva partecipare alla campagna elettorale per aumentare la inquietudine rivoluzionaria; i deputati socialisti dovevano andare al Parlamento per sabotare dall’interno questo «istituto borghese» e affrettare in tal modo quell’ora in cui il «proletariato rivoluzionario» avrebbe costruito la repubblica dei soviet. Gli spartachisti sostennero che un «proletariato rivoluzionario» si doveva astenere dalle elezioni e provocare senza ritardo la rivoluzione sociale secondo il modello della Russia sovietica.

(agosto 2006)

Tag: Luciano Atticciati, Biennio Rosso, occupazione delle fabbriche, Nenni, Serrati, Gramsci, guardie rosse, Giolitti, fascismo, Gaetano Salvemini.