Matilde di Canossa e i Sigifredi
Alcune osservazioni sui rapporti tra la contessa Matilde e Lucca

Matilde di Canossa è a tutti gli effetti una delle figure femminili più interessanti dell’epoca medievale. Di lei è stato scritto molto, e tuttavia lo stesso Presidente della Deputazione di Storia Patria, il dottor Badini, che ho interpellato per i miei studi, mi ha gentilmente rivelato che restano molti punti d’ombra, vista anche la oggettiva difficoltà nel reperimento delle fonti ed ancora di più per la complessa loro interpretazione.

Monsignor Domenico Pacchi, un religioso vissuto nel XVIII secolo sia in territorio estense che in Lucca, si occupò dei rapporti tra Matilde di Canossa e le famiglie longobarde che rappresentarono l’ossatura del gruppo dirigente della Repubblica Toscana nella sua millenaria storia. Egli sostenne che tali studi risultano in parte ancora nebulosi, quanto non privi di interesse. E dai tempi del religioso la storiografia ha potuto colmare solo alcune di queste lacune.

Nelle sue dissertazioni Monsignor Domenico Pacchi fa riferimento in particolare alla donazione di Matilde del 1077 alla Chiesa Cattolica Romana dei suoi possedimenti, ivi inclusi quelli della Garfagnana, ossia di territori che hanno fatto parte sia del Ducato Estense che della Repubblica Lucchese. Da un’attenta analisi[1] risulta che «la donazione di Matilde fu assolutamente inconsistente su Lucca, di scarsa rilevanza. Non è da porsi in dubbio che la Chiesa Romana anticamente avesse nella Garfagnana alcuni poderi, e tenute, e altresì alcuni piccoli villaggi che le pagavano il censo, sia perché si trattava di cose assoggettate alla Chiesa Romana dai Padroni, o dai fondatori, oppure perché godevano la protezione della Sede Apostolica. Ciò chiaro appare dal registro fatto da Cencio Camerlengo della Chiesa Romana nell’anno 1192, cioè da quel Cencio che poi nel 1216 fu eletto Papa col nome di Onorio III».[2]

Monsignor Pacchi «ritenne necessarie altre osservazioni al riguardo», essendo tale «argomento di capitale importanza non solo per chiarire le libertà del Comune di Lucca quando questo si formò, ma anche per i rapporti del Comune medesimo con quelle famiglie di origine longobarda che, dopo aver sostenuto Pisa, si dichiararono spontaneamente sottomesse a Lucca», pur mantenendo le loro prerogative sui territori delle «sei miglia».[3] Senza contare i reali rapporti della contessa Matilde con la Santa Sede.

Il prelato prosegue: «Non vi può essere più opportuno luogo di questo per disaminare altro punto assai riguardevole, cioè se la Chiesa Romana divenisse di poi signora e padrona di tutta la Garfagnana[4] per la donazione fatta dalla Contessa Matilde dei suoi propri beni alla Santa Sede nell’anno 1077, e confermata o a meglio dir rinnovata nel 1102. Il Chierico Cardinale Garampi e l’Abate Cenni si sono in vero adoperati per dimostrarlo; ma non so poi se bastevolmente per ben riuscirne. Prima per altro d’entrare in tal questione, ogni dover vuole ch’io protesti, come sinceramente faccio, la più devota venerazione così all’esimia dottrina, come alle altre singolarissime virtuose qualità, che risplendono in quel degnissimo porporato a cui già da gran tempo i comuni voti bramavano il meritato onorevole premio. E non posso altresì a meno di non fare avvertire, e di commendare debitamente la saggia circospezione, e moderatezza di Lui, il quale in più luoghi della sua Opera citata sopra, alla Dissertazione V De Chartula com. Matilde, stabilì francamente per indubitabile la donazione della Garfagnana fatta da Matilde alla Santa Sede, e tanto più la franchezza dell’affermazione sua dee sembrar singolare, perché ei non addusse di ciò altre ragioni se non quelle stesse prodotte nell’illustrazione del Sigillo».

Possiamo osservare dunque come Monsignor Pacchi cerchi di giustificarsi e nel contempo cautelarsi per le sue osservazioni, che vogliono mettere in chiaro l’estraneità di fatto di quei territori dalla loro sottomissione al potere temporale romano. Egli perciò sostenne la volontarietà della sottomissione della Garfagnana al Papa, escludendo il breve tempo nel XIII secolo relativo alle guerre tra Pisani e Lucchesi, ossia dal 1228 al 1240.

«Se una simile accomandita o sottomissione e dedizione volontaria fosse stata nota al Chierico Cardinale Garampi, sono ben certo ch’ei non avrebbe detto a pagina sei: “Il titolo per cui la Garfagnana potette appartenere alla Sede Apostolica è questo, cioè la donazione fattane da Matilde, del cui ricco patrimonio fosse come una porzione di questa nostra Provincia”. Mi sia dunque permesso per il solo amore della verità dimostrare che simile titolo non può sostenersi così facilmente.

Era Matilde marchesa della Toscana, alla qual Marca apparteneva anche Lucca, e il suo contado, e quindi anche la Garfagnana; ma non è da dirsi per questo che fosse Matilde signora: “Domina Tusciae, et Liguriae”; ma il titolo di “Dominus”, come tra gli altri avvertì il Cavalier Flamingo Del Borgo sulle sue Dissertazioni Pisane, comportava una rispettevole condizione della persona, una assoluta qualità di Sovrano. La Contessa Matilde qui non ebbe mai altra autorità legittima di quella derivata ad ogni Signore che rappresentasse, come Lei rappresentava, le veci Imperiali ne’ Feudi d’Italia». Vassalla dell’Imperatore, questa l’ufficialità. Matilde dunque, sebbene fosse tra feudatari potentissima, rappresentava comunque solo l’alto dominio imperiale nella Provincia della Toscana, così come continuarono ad essere dopo di lei, sino presso al 1200, alcuni marchesi e duchi.

E a questo punto lo storico Pacchi si fa un’interessante domanda: «Non poteva forse la Garfagnana appartenere a Matilde, come territorio ereditato dai suoi antenati, cioè dai Sigifredo?».[5]

Matilde di Canossa era erede di una casata che aveva i suoi natali proprio in Lucca.

La contessa era figlia del marchese Bonifacio di Toscana, a sua volta figlio di Adalberto Atto, fondatore della dinastia Attonide; ma anche pronipote del conte longobardo Sigifredo Atto, nobile lucchese che abbandonò la città, probabilmente in seguito a sconvolgimenti politici non ancora del tutto chiariti. Per l’appartenenza materna era facente parte della casata Lotaringia, e dunque cugina dell’Imperatore. Le sue abilità diplomatiche, pur essendo di fatto una vassalla dell’Impero, posero le condizioni perché il Papato irrobustisse il suo potere e perché l’Imperatore Enrico IV si prostrasse di fronte a tale potere, che in quel momento era rappresentato da Papa Gregorio VII. L’allargamento dei domini attonidi, iniziato con Adalberto, era proseguito con Bonifacio, e culminò con Matilde, per poi conoscere un subitaneo declino. Il suo potente Regno, posto tra la Pianura Padana e l’Italia Centrale, per un certo periodo rappresentò una reale possibilità di allargamento statuale nella prospettiva di un eventuale superamento delle marcate divisioni politiche della Penisola. Tuttavia le condizioni perché ciò potesse accadere vennero meno, e con esse si infranse forse un semplice «sogno».

Matilde per parte paterna aveva dunque solide radici lucchesi che, se leggiamo le vicende della città e le carte, ci accorgiamo che non vennero mai meno, pur essendo complicato effettuare una ricerca sul campo per conoscere le reali implicazioni, anche familiari, che ciò rappresentava.

Poteva dunque benissimo la Garfagnana essere una parte del ricco patrimonio, da Sigifredo pervenuto a Matilde.[6] Non basta un semplice dicesi, naturalmente, sostenne lo stesso Monsignor Domenico Pacchi.

Sarebbe altresì necessario dimostrare che nel patrimonio di Sigifredo poteva essere inserita addirittura tutta la Garfagnana.

Come ricorda Antonio Muratori[7] nelle sue Dissertazioni le ricchezze di Matilde erano formate da tenute e castelli, e allodj e Feudi che ella godeva da varie Chiese. La maniera «soave», sostenuta da Monsignor Pacchi, per accaparrarsi i benefici dei possedimenti era «quella di prendere a livello quei beni, promettendo un canone annuo, e intanto donare quelle terre in proprietà e luoghi a dei Fanti, inducendo così Vescovi ed Abati ad allivellare quei beni, l’usufrutto dei quali non soleva arrivare a consolidarsi in diretto dominio». Uno dei grandi cacciatori di beni era stato proprio il marchese Bonifacio, padre di Matilde.

Dunque, se alcuni fanti suoi cugini avessero allivellato i terreni attraverso il Vescovo, questi non avrebbe fatto altro che cedere i loro stessi beni, ossia i beni del potente bisnonno di Matilde, Sigifredo.[8] «Non sarebbe affatto irragionevole pensare – prosegue Monsignor Pacchi – che al di fuori delle sei miglia del contado lucchese vi fossero delle terre rispondenti a tali criteri. Nel 1166, come possiamo leggere negli annali di Tolomeo, Guelfo, duca di Spoleto, e fratello di Enrico IV, concesse ai Lucchesi dei territori».[9]

Monsignor Pacchi opportunamente chiarisce: «Non spetta a me o è mio proposito ricercare, sotto il nome di “Domus Comitissae Matildis”, prospettato dagli storici che si sono occupati della questione prima di me, intendere gli allodiali di Matilde». Egli sostenne semplicemente che il restringimento particolare che fece soprattutto Guelfo, duca di Spoleto, e fratello dell’Imperatore, concedendo, secondo gli Annali di Tolomeo, ai Lucchesi di beni entro le sole sei miglia, «pone sospetto che al di fuori di esse incominciassero appunto i Feudi, e allodj dei Conti rurali, de’ nobili, de’ valvassori»,[10] sopra cui nulla poteva Guelfo disporre.

Si trattava di «terre franche», ossia effettivi possedimenti di qualcuno?

Perché mai i Papi Gregorio IX e Innocenzo IV nelle loro lettere comminatorie ai Lucchesi circa la Garfagnana non fecero mai menzione della «Donazione di Matilde»?

I due Papi avrebbero dichiarato il lascito di Matilde, se avessero voluto avvalersi di quel diritto sulle terre fuori dalle sei miglia.

Non esistono in tal senso risposte certe, dunque. Però il Pacchi, che nelle sue Dissertazioni si occupò approfonditamente delle famiglie longobarde Cunimondinghe, ossia discese da Cunimondo, e diffuse in tutto il territorio lucchese, fece riferimenti precisi a quella dei Suffredinghi, alias Sigifredi, la più estesa sul territorio. Gli storici asseriscono essersi estinta nel XVII secolo, senza produrne peraltro prove certe. Potentissima, questa famiglia, che non solo per il nome prevalente di Sigifredo da cui derivò la sua denominazione ricorda gli avi di Matilde di Canossa. I siti da tale famiglia posseduti nella attuale Media Valle e Garfagnana Lucchese rimandano ai luoghi matildini.

Il più celebre esponente dei Sigifredi fu il Vescovo-conte Gherardo II, vissuto nel X secolo.[11]

Col Vescovo-conte Gherardo eravamo ancora al tempo del Marchesato di Toscana, che ebbe proprio in Lucca la sua residenza abituale. Gherardo fiorì contemporaneamente al «gran Barone», ossia il marchese Ugo di Toscana, come si compiacque di chiamarlo Dante.[12] Tra il marchese Ugo ed il Vescovo Gherardo i rapporti furono molto cordiali.[13]

Frequentissime le «capatine» dell’Imperatore Ottone III a Lucca, per trovar appoggio nel fedele «gran Barone». Egualmente frequenti dovettero essere i colloqui dell’Imperatore con il Vescovo-conte Gherardo, a cui, forse non dispiacque l’idea di un Impero sorretto dalla potenza morale dell’autorità ecclesiastica. Nell’anno 982 è Gherardo col suo tribunale vescovile che dirime una questione sorta tra la Pievania di Arliano e quella di San Macario, territori delle sei miglia.[14] È ancora Gherardo che allivella pievi e chiese, come fecero del resto anche i Vescovi San Corrado, Teodigrimo (983-987), Grimizzo (1014-1022). Questi allivellamenti furono suggeriti, probabilmente, per necessità economiche, che ora non siamo in grado di comprendere. Antonio Muratori sostenne che molte chiese, distrutte o quasi, non potevano essere riedificate se non ricorrendo al livello. Nel 996 Gherardo lasciò al Vescovato di Lucca la metà del suo castello di Sestenghe «pro rimedio animae Hugoni Domine Marchioni».

A Ugo di Toscana succedette nel Marchesato proprio il padre di Matilde, Bonifacio degli Attonidi. E, come risulta dalle carte di Monsignor Pacchi, non riscontriamo particolari fratture fra i Sigifredi e Matilde al tempo del suo dominio. I Pontefici aspettarono il 1229, cioè 59 anni, per fare richiesta ai Lucchesi dei territori della Garfagnana, di cui anche e soprattutto i Sigifredi erano feudatari.

Ricorda giustamente Monsignor Pacchi in riferimento alla «Donazione di Matilde»: «È da credere così agevolmente che dormissero sui loro diritti, un Alessandro III, un Innocenzo III, un Onorio III, per tacere così?».

La frase con cui il valente storico, nativo di Castelnuovo Garfagnana, che finì i suoi giorni in Lucca, all’interno dell’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio, ci lascia sulla questione, ci obbliga a riflettere: «Ma di ciò basti».

Che valore dobbiamo noi contemporanei attribuire a questa frase? Che Monsignor Pacchi non aveva altre notizie.

Oppure che ne aveva, ma in quel preciso momento storico non poteva dir di più, vista anche la circospezione con cui egli provò a giustificarsi per le sue ricerche, citando gli storici che precedentemente si erano occupati dei fatti ascritti.

Non sempre esistono risposte certe, soprattutto man mano che ci allontaniamo dalle epoche a noi più vicine. Ma l’indubbio fascino di tali argomentazioni non può esimerci dal cercare e ponderare queste osservazioni.


Note

1 Monsignor Domenico Pacchi – Ricerche storiche sulla Provincia della Garfagnana – Bologna – Forni editore, sezione lucchese i. 85.

2 Il titolo del Registro suddetto è il seguente: De civitatibus & territoriis, que Rex Carolus B. Petro concessit et Papa Adriano tradispopondit, nec non de Civitatibus, Castris, Terris, et Monasteriis.

3 Territorio circostante Lucca città, a lei anticamente direttamente soggetto.

4 La Garfagnana divenne parte integrante, ai tempi del libero Comune ma soprattutto con Castruccio Castracani, dei possedimenti inseriti nella Repubblica lucchese. Ciò nel periodo del suo massimo splendore, ossia fino allo spontaneo atto di sottomissione dei territori della Garfagnana al ducato estense nel XV secolo.

5 Il bisnonno di Matilde, originario di Lucca.

6 Antonio Muratori – al tomo 4° di Antiquitates italicae. Era potentissimo dal fiume Serchio fino a Frassinoro. Ed anche il Villani alla 4° capitolo 20.

7 Antonio Muratori, celebre storico modenese, vissuto dal 1672 al 1750.

8 «Sotto gli Imperatori Tedeschi s’introdusse in Italia e vi si dilatò ben presto il costume che per mezzo del denaro si concedevano in benefizio non solo Poderi, ma eziandio ville, e terre, e castelli, che poi si chiamarono Feudi, altri col titolo di Conte, altri minori senza tale denominazione, tutti per altro staccati dal distretto delle città, da cui più non dipendevano, ma riconoscevano soltanto l’autorità sovrana degli Imperatori» (Ludovico Antonio Muratori, Antichità Italiche, Dissertazione XLVII).

9 «Pro mille forensi monetae lucensis sovendis usque ad 90 annos omnes juris dictionem ad jus marchiae pertinentem, et ad domum comitissae Matildis infra fex muliaras lucensis comitatus» (Annali di Tolomeo, concessione del duca di Spoleto Guelfo, fratello di Enrico IV, ai Lucchesi, riferimento nelle dissertazioni di Monsignor Domenico Pacchi. Vedere anche Dissertazione IX).

10 Aspetti, questi, studiati dalla storiografia più recente.

11 Lo rintracciamo in diversi studi: Gaetano Moroni, Dizionario storico, volume 29°; Muratori, Antologia Modenese, Dissertazione LXXII.

12 Paradiso, canto XVI, cielo di Marte, e cioè Ugo, marchese di Toscana, gran benefattore della diocesi di Lucca. Luigi Nanni, La Parrocchia, Roma 1948.

13 Il professor Augusto Mancini afferma che la villa di Marlia, residenza marchionale, diventò, al tempo di Ugo, anche residenza imperiale. Augusto Mancini, Storia di Lucca, Firenze, edizioni Sansoni 1950, pagine 38-41.

14 Luigi Nanni, La Parrocchia, Roma 1948.

(ottobre 2013)

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