Il mondo ultra terreno nell’antichità
Le visioni dell’aldilà ieri e oggi, tra storia, arte, letteratura e psicologia

Premessa: le esperienze di pre-morte nella ricerca odierna

Sicuramente molti di noi hanno sentito parlare delle «esperienze di pre-morte» (in inglese «Near-Death-Experiences», NDE): si tratta di quel che riferiscono milioni di persone che hanno sperimentato un arresto cardiaco e sono state poi rianimate. Il loro racconto di esperienze di coscienza durante l’arresto cardiaco comprende tutta una serie di elementi ricorrenti: si vedono fluttuare al di sopra del loro corpo ormai morto, quindi vengono assorbite da un tunnel buio, al termine del quale vedono una grande luce; qui vivono regolarmente un’esperienza della realtà divina e qualcosa che si apparenta a un giudizio particolare della loro vita, incontrano i loro cari defunti – finché non vengono rianimati e si ritrovano nella loro camera d’ospedale o in terapia intensiva.

La ricerca su questi ambiti, dapprincipio guardata con sospetto da molti medici, appartiene di solito al campo degli anestesisti o degli psichiatri, fin dal primo volume in merito, firmato nel 1977 da Raymond Moody, La vita oltre la vita; Moody veniva da una formazione in psicologia e filosofia, ma si era laureato anche come medico e psichiatra[1]. Tra le ricerche più approfondite sull’argomento spiccano quelle compiute nei Paesi Bassi in ben 7 ospedali e segnalate da Van Lommel[2], oppure lo studio AWARE (AWAreness during REsuscitation), condotto trasversalmente in 25 ospedali di Europa, Canada e USA su 2.060 persone e conclusosi nel 2014[3]. In sostanza, sono stati monitorati centinaia di pazienti che avevano sofferto un arresto cardiaco: una piccola parte di essi (18% nella ricerca olandese, cioè 62 pazienti su 344, proporzioni analoghe anche nello studio successivo) ha riferito esperienze di coscienza durante l’arresto cardiaco, con elementi propri della NDE, esperienze che quindi non si possono assolutamente giustificare con l’attività cerebrale (sono momenti di EEG piatto); analogamente, non c’è alcun altro fattore fisico che le spieghi, né un elemento che diversifichi chi le riferisce da chi non lo fa. Queste esperienze diventano sempre più frequenti grazie ai successi delle tecniche di rianimazione; Van Lommel riferisce che nei Paesi Occidentali circa il 4% delle persone ha vissuto una NDE, il che significa 9 milioni di Statunitensi, 2 milioni di Britannici e 20 milioni di Europei circa. Spesso, vivere la NDE è «transformational», cioè provoca un mutamento di vita nel soggetto, che perde la paura della morte e si apre a un maggiore amore verso gli altri e a una vita più spirituale; del resto, tali esperienze non dipendono neanche dalla cultura o dalla religione di appartenenza (riguardano anche i non credenti). Van Lommel conclude quindi che la coscienza non può dipendere solo dal cervello, ma che lo trascende.

Una piccola osservazione di carattere storico-culturale: i Paesi di cultura germanica (Stati Uniti, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Germania), anche quando gli aspetti religiosi sono relegati a margine della vita quotidiana, si mantengono di solito più recettivi nei confronti di questioni di carattere spirituale o soprarazionale, perché la loro tradizione è culturalmente meno condizionata dal materialismo; storicamente, i loro intellettuali si rifanno all’idealismo tedesco, o a una versione deista dell’Illuminismo, magari aperta a una visione non personale del divino. I Paesi Latini, invece (Francia, Italia, Spagna), anche se magari, talvolta, mantengono percentuali un poco più alte di pratica religiosa, fin dall’Illuminismo hanno assistito al diffondersi tra le loro «élites» di teorie filosofiche di carattere materialista, sfociate poi nel marxismo: questo provoca una resistenza maggiore nei confronti di studi di tal genere.


L’aldilà tra mondo classico, ebraico e cristiano

Dopo quanto illustrato sopra, non stupirà allora rilevare che anche il nostro passato registra numerose esperienze di questo tipo: basti osservare il celebre quadro attribuito ragionevolmente al Fiammingo Hieronymus Bosch Ascesa verso l’Empireo, che presenta una chiara visione dell’aldilà con un tunnel buio in cui si avviano varie anime accompagnate da angeli e al termine del quale si intravvede una grande luce; l’effetto prospettico del tunnel è ottenuto graduando il colore blu al suo interno. L’opera rientra in un quartetto di Visioni dell’aldilà probabilmente dipinte agli inizi del 1500 e forse risale al gusto di Bosch per la letteratura mistica[4]. D’altronde, anche la letteratura antica comprende racconti di questo genere, come il celeberrimo mito di Er, riportato da Platone nella sua Repubblica, 614-620: questi era una soldato della Panfilia che, morto in battaglia, si risvegliò poco prima che fosse incendiata la sua pira funebre; allora raccontò di avere visto l’aldilà, con il giudizio delle anime, la punizione di quelle malvagie e la remunerazione di quelle buone; questa visione indusse in lui un comportamento onesto e saggio.

Ascesa verso l’Empireo

Hieronymus Bosch, Ascesa verso l’Empireo, circa 1500-1503, Gallerie dell'Accademia, Venezia (Italia)

Ma esiste anche tutta una letteratura medievale latina delle visioni dell’aldilà, che approda fino alla Divina Commedia – anche se il poema di Dante Alighieri non può essere catalogato come un’esperienza di pre-morte, anzi. A dire il vero, ci sono stati dei tentativi per classificarlo come frutto di un sogno, ma, in realtà, la spiegazione più valida della «realtà», secondo Dante, del suo viaggio ultraterreno è che si trattasse di una visione intellettuale: cioè, secondo la teologia spirituale medievale, le visioni potevano avere tre matrici a seconda del loro tramite, corporea, spirituale o intellettuale. Quelle più affidabili, sempre secondo questa sezione della teologia, erano le visioni intellettuali, perché l’intelligenza umana, attraverso di esse, entrava in contatto con le realtà divine[5]. Quindi, Dante poteva asserire che il suo viaggio nell’aldilà era stato perfettamente reale, anche se non lo aveva vissuto fisicamente, ma «solo» con la sua intelligenza.

Ma torniamo alla letteratura sulle visioni dell’aldilà. Nel mondo antico, è noto, vari poemi epici si dedicavano ai viaggi nell’oltremondo: in genere un eroe (Ulisse, Enea eccetera) entrava in contatto con il mondo dei morti allo scopo di attingere a conoscenze speciali e indispensabili, per esplicito privilegio concessogli dal Fato. L’aldilà descritto dall’XI canto dell’Odissea è buio e privo di vita e le anime possono recuperare quel tanto di vitalità indispensabile a scambiare alcune parole con Ulisse bevendo il sangue (vettore della vita) degli animali sacrificati dall’eroe alle soglie dell’Ade; difatti, egli propriamente non discende negli Inferi. Questa esistenza vaga e umbratile riguarda tutti indistintamente, tanto che il grande Achille, lui che è stato un eroe ineguagliabile in vita e ora regna sui defunti, se ne lamenta in modo inconsolabile (confronta Odissea 11, 475-476 e 488-491)[6]:

«Come osasti scendere all’Ade, dove fantasmi
privi di mente han dimora, parvenze d’uomini morti? […]
Non lodarmi la morte, splendido Odisseo.
Vorrei esser bifolco, servire un padrone,
un diseredato, che non avesse ricchezza,
piuttosto che dominare su tutte l’ombre consunte».

L’Ade indifferenziato greco assomiglia molto allo Sheol ebraico: anche qui, le fasi più antiche della Bibbia, almeno quelle scritte prima della presa di Gerusalemme del 586 avanti Cristo da parte dei Babilonesi, non presentano un aldilà distinto per buoni e malvagi, come siamo abituati noi, bensì un’ombra che attanaglia tutti; altrimenti non si comprendono queste parole del magnifico Libro di Giobbe 10, 20-22[7]:

«Non sono forse pochi i giorni che mi restano? Smetta egli dunque,
mi lasci stare, perché io possa rasserenarmi un poco,
prima che me ne vada, per non più tornare,
nella terra delle tenebre e dell’ombra di morte:
terra oscura come notte profonda,
dove regnano l’ombra di morte e il disordine,
il cui chiarore è come notte oscura».

Solo più tardi, dopo la presa di Gerusalemme e in età ellenistica e romana, si fa strada l’idea di un aldilà differenziato: si tratta dei Campi Elisi per i buoni e del Tartaro per i malvagi che troviamo nel VI libro dell’Eneide, o comunque della distinzione tra Paradiso e Inferno del mondo ebraico testimoniata da passi evangelici celebri come nel Vangelo secondo Matteo 25, 31-46:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?” Rispondendo, il Re dirà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me”. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?” Ma Egli risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a Me”. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».


La letteratura visionaria ai primordi del Medioevo

Ora, forse proprio perché a partire dalla diffusione del Cristianesimo l’aldilà diventava progressivamente più delineato e prossimo alle preoccupazioni religiose dei singoli, nell’Alto Medioevo la letteratura delle visioni divenne un genere letterario a sé stante, molto popolare, in cui non un eroe o un personaggio eccezionale, bensì uno di noi comuni mortali vive, di solito mentre si trova in agonia o è già spirato, una visione dell’aldilà che ha come scopo principale la parenesi morale; quindi, riavutosi miracolosamente, il soggetto rivela quanto visto, detta o trascrive i dettagli di quanto sperimentato. Difatti, mentre nei primi secoli del Cristianesimo ci si interroga piuttosto sul giudizio finale e prevale una prospettiva dell’aldilà collettiva, poco per volta, ma soprattutto dopo la fine delle persecuzioni e l’affermarsi dell’Impero Cristiano, pare allontanarsi la data della Parusia, cioè del ritorno glorioso di Cristo, e comincia ad affermarsi una prospettiva più individuale, per cui i fedeli si interrogano sullo stato intermedio delle loro anime tra morte e giudizio universale; opere come l’Apocalisse di Paolo, non a caso di origine monastica e di cui ho già parlato in queste pagine, rispondevano a questi pressanti quesiti[8].

Questa letteratura possiede quindi tutta una serie di ingredienti principali e un andamento tipico: la grave malattia del protagonista, la morte, la visione dell’aldilà, permessa da Dio e facilitata dalla guida di un personaggio eccezionale – di solito un angelo, detto anche «angelus interpres», perché spiega e «interpreta» la visione per il veggente –, il percorso attraverso i regni dell’oltremondo, la visione di dannati e beati, infine la rianimazione che prelude alla testimonianza presso i contemporanei. Questo schema per certi versi si trova già nell’Apocalisse di Paolo: tuttavia, in quel caso l’Apostolo Paolo non andava incontro a un’esperienza di morte apparente o di trapasso; la visione dell’aldilà rientrava nel fatto che l’anonimo autore intendesse colmare la lacuna creata dal non detto della Seconda Lettera ai Corinzi 12, 1-4, in cui l’Apostolo rivelava di avere goduto del privilegio di un’estasi del Paradiso. Tuttavia, questo apocrifo resta la prima grande opera visionaria dell’Occidente Medievale, dato che risale a fine IV secolo e si è diffusa un po’ ovunque; sicuramente, come ho dimostrato, la conosceva persino Dante.

Oltre a una ricca serie di studi iniziati fin dall’Ottocento[9], la letteratura visionaria è stata studiata soprattutto da Maria Pia Ciccarese[10], che individuava come precedenti latini principali di questo filone i Dialogi di San Gregorio Magno (specie 4, 37, passo sicuramente noto a Dante) e Gregorio di Tours, Historia Francorum VII (la Visione di Salvio, collocata all’inizio del libro e che può risalire al 586-587). Mi limito qui a un rapido estratto dai Dialogi di San Gregorio Magno, dato che mi riprometto di affrontare in un altro momento gli sviluppi successivi di questa tradizione.

Entro un contesto in cui San Gregorio Magno ricorda vari casi di visioni dell’aldilà a utilità dei suoi ascoltatori, narra anche di un monaco, Pietro, di cui gli era stato raccontato e che aveva abbracciato la vita monastica dopo un’esperienza del genere (confronta Dialogi 4, 37, 3-4)[11]:

«Era morto per il sopraggiungere di una malattia, ma restituito subito al corpo, dichiarava di aver visto i supplizi dell’Inferno e innumerevoli luoghi infuocati. Raccontò pure di aver visto sospesi in quelle fiamme alcuni potenti di questo mondo. Sosteneva che quando già era stato condotto per essere immerso anche lui in quel fuoco, subito comparve un angelo dall’abito risplendente, che proibì di buttarlo nel fuoco. E gli disse: “Vattene pure, ma sta’ molto attento a come devi vivere dopo tutto questo”. A questa voce, mentre le sue membra si riscaldavano a poco a poco, svegliandosi dal sonno della morte eterna, riferì tutto ciò che gli era accaduto e poi si costrinse a tante veglie e digiuni che, se pure la sua lingua lo avesse taciuto, lo avrebbe espresso la sua conversione».

E poi troviamo il racconto di un soldato morto durante una pestilenza (Dialogi 4, 37, 7-9)[12]:

«Abbandonato il corpo, giacque esanime, ma presto vi ritornò e raccontò quel che gli era accaduto. Diceva – e divenne cosa nota a molti allora – che c’era un ponte e sotto vi scorreva un fiume nero e caliginoso che esalava come una nuvola di intollerabile fetore. Attraversato il ponte, c’erano prati ameni e verdeggianti adorni di fiori profumati, su cui si scorgevano gruppi di uomini vestiti di bianco. Aleggiava su quel luogo un profumo di così intensa soavità che la sua fragranza saziava coloro che lì passeggiavano e abitavano. Aveva ciascuno una dimora piena di grande luce».

Nel seguito, il soldato assiste alle pene di vari peccatori; il ponte di cui sopra viene oltrepassato solo dalle anime buone, mentre i peccatori cascano giù nel fiume fetido. Anche in questo caso, l’autore inserisce la narrazione entro la propria riflessione sulla necessità della conversione.

In conclusione, sorge spontaneo un quesito: queste visioni erano reali oppure no? Dopo quanto ho affermato nell’introduzione sulla grande diffusione delle esperienze di pre-morte, è giusto dare qualche possibilità di verosimiglianza a questi racconti; comunque, Maria Pia Ciccarese afferma giustamente che è un falso problema, primo perché noi possediamo solo le fonti scritte, dobbiamo attenerci a quelle e non possiamo scrutare la coscienza dell’autore, secondo perché il genere, a prescindere dalla veridicità o meno di tali racconti, prevedeva una fitta serie di «topoi», di luoghi comuni, che irregimentavano la narrazione su binari letterari ben precisi. Quindi, qui ormai prevale la letteratura[13]; mi sembra però sensato osservare che non si può escludere a priori un qualcosa di diverso dalla finzione all’origine di questi racconti. Ma quello che stupisce, dopo questa breve ricognizione, è che la visione dell’aldilà, ieri come oggi, provoca una sorta di «conversione», in persone dal retaggio comunque molto differente: questo è un «trait d’union» che attraversa i secoli e che spinge a riflettere.


Note

1 Il primo volume sull’argomento fu quello scritto da Raymond Moody, La vita oltre la vita (traduzione italiana), Milano, A. Mondadori, 1977 (edizione originale 1977). In merito si veda anche Melvin Morse-Paul Perry, Closer to the Light. Learning from the Near-Death Experiences of Children (con un’introduzione di Raymond A. Moody), New York, Ivy Book, 1990.

2 Confronta Pim Van Lommel, Getting Comfortable With Near-Death Experiences: Dutch Prospective Research on Near-Death Experiences During Cardiac Arrest, «Missouri Medicine» 111 (2) (2014 Mar-Apr), pagine 126-131.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6179502/
L’articolo repertoria anche altra bibliografia in merito; Van Lommel ha scritto per esempio dei libri sull’argomento.

3 Confronta Sam Parnia e altri, AWARE-AWAreness during Resuscitation – A prospective study, «Resuscitation» 6 ottobre 2014.
https://www.resuscitationjournal.com/article/S0300-9572%2814%2900739-4/pdf

4 Confronta Quattro visioni dell’aldilà, Wikipedia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Quattro_visioni_dell%27Aldil%C3%A0
Ascesa all’Empireo.
https://www.thehistoryofart.org/hieronymus-bosch/it/ascesa-all-empireo/

5 Confronta a esempio Luca Azzetta, Dante alle soglie dell’eterno. Visioni bibliche e poesia tra l’Epistola a Cangrande e la Commedia, «Letture classensi» 48 (2020), pagine 103-127; Luca Azzetta, Visioni bibliche, missione profetica e poesia tra l’Epistola a Cangrande e la Commedia, in Giuseppe Ledda (a cura di), Poesia e profezia nell’opera di Dante. Atti del Convegno internazionale di Studi. Ravenna, 11 novembre 2017, Ravenna, Centro dantesco, pagine 135-163.

6 Si veda la traduzione di Omero, Odissea, Rosa Calzecchi Onesti (a cura di), Torino, Einaudi, 1989 (I edizione 1963), pagine 315-319.

7 Confronta Anna Rita Rossi, Sheol: per la Bibbia ebraica luogo di oscurità e regno dei morti.
https://blog.necrologi-italia.it/sheol-regno-dei-morti/

8 Confronta Attila Jakab, L’Apocalypse de Paul et l’au-delà chrétien, «Choisir» 2010.
https://www.choisir.ch/societe/histoire/item/1356-Au-del%C3%A0%20chr%C3%A9tien
Confronta pure il mio articolo:
http://www.storico.org/italia_medievale/apocrifo_ispiratodante.htm

9 Confronta A. F. Ozanam, Dante et la philosophie catholique au treizième siècle, Paris, Debécourt, 1839; Alessandro D’Ancona, I precursori di Dante, Firenze, G. Sansoni, 1874. Sul dibattito ottocentesco, confronta Theodore Silverstein, Did Dante Know the Vision of Saint Paul?, «Harvard Studies and Notes in Philology and Literature» 19 (1937), pagine 231-247. Su questa letteratura, oltre alle opere citate sotto, si veda anche Alison Morgan, Dante e l’aldilà medievale, Roma, Salerno Editrice, 2012 (traduzione italiana; edizione originale Dante and the Medieval Other World, Cambridge University Press, 1990).

10 Confronta Maria Pia Ciccarese, Le visioni dell’aldilà come genere letterario: fonti antiche e sviluppi medievali, «Schede medievali» 19 (1990), pagine 366-377; Maria Pia Ciccarese, Alle origini della letteratura delle visioni: il contributo di Gregorio di Tours, «Studi storico-religiosi» 5 (1981), pagine 251-266.

11 Confronta Maria Pia Ciccarese, Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti, modelli, testi. Bologna, EDB, 1999 (ristampa 2003 dell’edizione originale Nardini, 1987), citazione a pagina 131.

12 Confronta Maria Pia Ciccarese, Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti, modelli, testi. Bologna, EDB, 1999 (ristampa 2003 dell’edizione originale Nardini, 1987), citazioni alle pagine 133-135.

13 Confronta Maria Pia Ciccarese, Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti, modelli, testi. Bologna, EDB, 1999 (ristampa 2003 dell’edizione originale Nardini, 1987), pagina 12.

(luglio 2023)

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