La storia della prima preghiera mariana
Un papiro scoperto in Egitto. Studio del reperto. Pareri. Significato. Evidenze

Sono in molti a ritenere che l’attuale preghiera dell’Ave Maria sia stata la prima orazione rivolta dai Cristiani alla Madonna. Questo, però, non è esatto sul piano storico. Per arrivare al testo oggi in uso, è necessario oltrepassare diversi secoli per arrivare alla scelta di aggiungere alla parte iniziale (saluto dell’angelo, ed esclamazione di Elisabetta), l’invocazione: «Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen».[1] Nei primi secoli, ci si rivolgeva alla Vergine con esclamazioni, brevi formule, o con una prece scritta in Egitto. Quest’ultima, dalle prime parole della successiva traduzione in latino, venne indicata con il titolo: Sub tuum praesidium (Sotto la tua protezione).[2] Tale preghiera, si diffuse poi in Oriente (liturgia bizantina[3], armena, siro-antiochena, siro-caldea e malarabica, maronita[4], etiopica[5]), e in Occidente (liturgia romana, ambrosiana). Ogni comunità fece una propria traduzione. Nella versione egizia Maria viene onorata con i titoli di: misericordiosa, Genitrice di Dio (Theotókos), Santa, benedetta. Nella preghiera romana la Madonna è riconosciuta: Santa, Madre di Dio, vergine, gloriosa, benedetta.

Purtroppo, in una fase storica iniziale, gli studiosi non ebbero la possibilità di conoscere subito il testo primitivo, quello egiziano. Per tale motivo, prevalse l’opinione che il Sub tuum praesidium fosse uno scritto risalente al Medioevo (periodo carolingio; 800-888), usato, con variazioni, nelle Chiese locali.[6] Nel 1917, però, un ricercatore inglese ebbe modo di acquistare in Egitto un lotto di papiri. Uno di questi, riportava in greco il testo dell’antica preghiera. Ciò dimostrò che la prece risaliva ai primi tempi del Cristianesimo. Il documento, conservato a Manchester, nel Regno Unito, è stato catalogato Papyrus Rylands 470. Questa è la sua storia.


La ricerca dei papiri

In più periodi, ma soprattutto nel XIX secolo, diverse istituzioni culturali mostrarono interesse per lo studio della papirologia. Si possono citare il British Museum (Londra), le Università di Oxford, di Ginevra (Svizzera), di Heidelberg (Germania), la Biblioteca Nazionale di Vienna, le Università USA del Michigan, di Cornell (Stato di New York), di Princeton (New Jersey.), di Yale (Connecticut), di Columbia (New York), di Berkeley (California). Per tale motivo si sviluppò un’estesa ricerca di reperti in Medio Oriente. In terra egiziana furono scoperti depositi di papiri in più località.[7] Tra queste, si possono ricordare Arsinoe (Fayyum)[8] e Ossirinco (al-Bahnasā).[9] Proprio in quest’ultima località vennero ritrovati papiri del Nuovo Testamento. Si trattava di frammenti dei Vangeli secondo Matteo, Marco, Giovanni; della Lettera ai Romani; della Prima Lettera ai Corinzi, della Prima Lettera di Giovanni, della Lettera agli Ebrei, e altri.[10]

Evidentemente, i fiduciari delle istituzioni scientifiche interessate alla papirologia ebbero mandato di acquistare il più alto numero possibile di papiri. Ciò fu possibile grazie anche a un fiorente mercato più o meno ufficiale.


Il ruolo di Harris

Tra gli atenei che rivolsero attenzione alle ricerche promosse in Egitto ci fu pure la John Rylands University Library di Manchester. Quest’ultima, acquistò diversi papiri attraverso il Dottor James Rendel Harris (1852-1941).[11] Era archeologo, paleografo e storico delle religioni. Dopo gli studi a Cambridge, Harris insegnò alla Johns Hopkins University di Baltimora (Maryland), al Haverford College in Pennsylvania, a Cambridge, alla Leiden University (Olanda). Ricevette pure l’incarico di curatore delle opere manoscritte conservate presso la citata John Rylands. Viaggiò in Oriente in cerca di manoscritti. Nell’area del Sinai ritrovò dei frammenti biblici. In particolare, nel monastero di Santa Caterina, individuò un manoscritto che conteneva brani della Prima Lettera ai Corinzi scritti su di una colonna per pagina.[12] Harris, inoltre, nelle sue opere, fece un largo uso del metodo comparativo. Nel novembre del 1916, con la Prima Guerra Mondiale[13] in pieno svolgimento, mentre lo studioso stava raggiungendo dall’India l’Egitto, la nave su cui era imbarcato venne attaccata e affondata nell’area del Mediterraneo. Lo studioso fu tratto in salvo e poté raggiungere Alessandria d’Egitto con un aereo.


Il Papyrus Rylands 470

Durante il suo soggiorno in terra egiziana, Harris riuscì ad acquistare un lotto di papiri. Tra questi, uno misurava centimetri 18 x 9,4. Il reperto fu catalogato in seguito Papyrus Rylands 470. Vi si leggeva, tra l’altro, l’appellativo «Theotókos» («Genitrice di Dio») riferito alla Vergine Maria. Nel maggio del 1917 lo studioso tentò di tornare nel Regno Unito ma il suo bastimento venne silurato. Riuscì comunque ad arrivare in Corsica. A tutt’oggi non si conosce il luogo esatto ove questo ricercatore acquistò il Papyrus Rylands 470 con il resto della collezione (Alessandria d’Egitto?). Non è neanche noto il luogo di provenienza dei reperti (un ambiente dei Copti?).[14] Si sa solo che la raccolta rimase in terra egiziana fino al termine del conflitto. Una parte venne poi consegnata all’Università di Manchester (1919).[15] Harris, in seguito, fece ancora ritorno in Medio Oriente.

Papyrus Rylands 470

Il Papyrus Rylands 470

Interviene il Roberts

Dal 1919 in poi, il Papyrus Rylands 470, insieme agli altri reperti acquistati in Egitto, venne esaminato dagli esperti della John Rylands University Library di Manchester. Gli studiosi cercarono di comprendere le parole del testo, e il possibile uso del reperto in epoca antica. Nel 1938 l’istituzione citata pubblicò i risultati dell’attività scientifica svolta dai membri dell’Ateneo. Fu presentato il Catalogo dei Papiri Greci e Latini.[16] I curatori dell’opera erano il Dottor Colin Henderson Roberts (1909-1990)[17], e il papirologo Sir Eric Gardner Turner (1911-1983).[18] Il Roberts, in particolare, fu uno studioso di testi del mondo antico, svolse il ruolo di editore, e operò come segretario del comitato scientifico della Oxford University Press. Nel 1973 ricevette un premio per la sua attività a sostegno della papirologia.

Nella pubblicazione del Catalogo succitato, spettò al Roberts il compito di indicare la datazione del Papyrus Rylands 470. A questo punto, lo studioso, prima di annotare la propria convinzione, riportò il parere di un amico. Si trattava del papirologo e filologo classico rumeno-britannico Edgar Lobel (1888-1982).[19] Questo è il passo che interessa: «Lobel would be unwilling to place 470 later than the third century» («Lobel non sarebbe propenso a collocare [la datazione] al 470, dopo il terzo secolo»).[20]


Il contributo del Lobel

Il Lobel, di fede anglicana, dopo gli studi a Oxford, e il successivo perfezionamento in Germania in storia ellenistica, a inizio Novecento (XX secolo) cominciò a lavorare presso il British Museum. Fu assegnato al dipartimento dei manoscritti. Quasi subito, e in modo in parte fortuito, si trovò indirizzato allo studio dei papiri da Sir George Frederic Kenyon (1863-1952).[21] Insieme a quest’ultimo, Lobel aveva curato il terzo volume dei Greek Papyri del British Museum; pubblicò poi in modo autonomo i due volumi successivi. In quel tempo, era considerato uno dei migliori esperti nella decifrazione di testi mutilati. Lobel conosceva il Roberts per aver preparato con lui un’edizione dei papiri di Ossirinco. Considerando le sole ragioni paleografiche, questo studioso si dichiarò restio a collocare il Papyrus Rylands 470 oltre il III secolo.


Si apre il dibattito sulla datazione

Dopo aver riportato il parere del Lobel, il Roberts precisò la sua convinzione. Il reperto, per questo studioso, risaliva all’ultima parte del IV secolo. Per arrivare a tale affermazione egli, prima della paleografia, volle evidenziare una questione letteraria e teologica. Il suo ragionamento si centrava sul titolo «Theotókos» («Madre di Dio»).[22] Tale espressione, sosteneva il Roberts, era stata usata la prima volta dal Vescovo Atanasio di Alessandria d’Egitto (morto nel 373). Quest’ultimo, l’aveva utilizzata in un trattato teologico.[23] Ora, affermò il Roberts, il passaggio dalla teologia alla liturgia non avviene in tempi rapidi. Per tale motivo, il Papyrus Rylands 470 non poteva precedere l’ultimo periodo del IV secolo. Si riporta il passo che interessa:

«But such individual hands are hard to date, and it is almost incredibile trat a prayer addressed directly to the Virgin in these terms could be written in the third century. The Virgin was spoken of as “theotókos” by Athanasius; but there is no evidence even for private prayer addressed to her before the latter part of the fourth century». («Ma tali lavori individuali sono difficili da datare, ed è quasi incredibile che una preghiera rivolta direttamente alla Vergine in questi termini possa essere stata scritta nel terzo secolo. Della Vergine si parla come della “theotókos” da Atanasio; ma non c’è traccia nemmeno di preghiere private a lei rivolte prima dell’ultima parte del IV secolo»).[24]


Una sottolineatura

Nel Nuovo Testamento non si trova espressamente il titolo «Theotókos». Si leggono, però, delle espressioni che contengono in nuce tale verità. Infatti di Maria si afferma che ha concepito e generato un figlio, il quale è il Figlio dell’Altissimo, Santo e Figlio di Dio (Luca 1,31-32.35). Maria, inoltre, è chiamata «Madre di Gesù» (Giovanni 2,1.3; Atti degli Apostoli 1,14), «Madre del Signore» (Luca 1,43) o semplicemente «madre», «sua madre» come più volte nel capitolo 2 del Vangelo secondo Matteo. Maria, quindi, non comincia a essere «Madre di Dio» nel Concilio di Efeso del 431, così come Gesù non comincia a essere «Dio» nel Concilio di Nicea del 325 che lo definì tale. Lo erano anche prima. Quello di Nicea è stato il momento in cui la Chiesa, nello svilupparsi ed esplicitarsi della sua fede, in presenza di eresie, prese piena coscienza di questa verità e assunse posizione al riguardo.


Interviene il Bell

Dopo il Roberts e il Lobel, la cronaca del tempo registra la valutazione di un terzo Inglese: Sir Harold Idris Bell (1879-1967).[25] Era un papirologo specializzato in reperti egiziani di epoca romana. Conduceva anche ricerche nell’ambito della letteratura gallese. Nel 1903, questo autore iniziò a lavorare (vi restò fino al 1944) presso il British Museum. Da assistente presso il dipartimento dei manoscritti arrivò a esserne vice-direttore (1927) e direttore (1929). Per quindici anni insegnò papirologia al Collegio Oriel di Oxford. Pubblicò studi sui papiri greci ed egiziani. Con riferimento al Papyrus Rylands 470, il Bell osservò che il reperto presentava una scrittura a lettere onciali[26], alta e diritta, stretta e, nello stesso tempo, ariosa, con elementi ornamentali. Per tale motivo egli rimaneva del parere di essere in presenza di un «modello per un incisore». Il Roberts condivise il parere del Bell.


Si aggiunge l’apporto del Mercenier

Al contributo offerto da questi studiosi si aggiunse, poi, quello di un religioso benedettino. Si chiamava dom Feuillien Mercenier osb (1885-1965).[27] Viveva a Chevetogne (Belgio), in una comunità monastica. Dopo gli studi di base presso il collegio San Giuseppe di Virton, era entrato nell’abbazia di Maredsous nell’autunno del 1904. Accolto in noviziato con il nome di Fratel Feuillien, aveva fatto la sua professione nel 1906. Nell’autunno del 1946 ebbe il permesso di andare presso i Melchiti.[28] Soggiornò per diversi mesi in Siria, Libano, Palestina, Egitto. Fece poi ritorno a Chevetogne. Vi rimase fino alla morte. In questo periodo chiese di poter ricevere un nuovo nome da religioso: Eutimio (legato alla fondazione di San Saba).[29]

Nel contesto descritto, rimane significativo un fatto. Prima del 1939, Monsignor Etienne Van Cauwenbergh (1890-1964)[30], responsabile della biblioteca dell’Università Cattolica di Lovanio[31], era riuscito ad avere il Catalogo curato dal Roberts e da Turner. Dopo averlo esaminato, si mise in contatto con dom Mercenier. E richiamò l’attenzione del monaco sul Papyrus Rylands 470, evidenziando alcuni aspetti. In seguito, il canonico Louis Theophile Lefort (1879-1959)[32], uno studioso di copto, procurò al Mercenier il testo del papiro, e la traduzione latina della versione in copto. Essendo un esperto di studi orientali e liturgici, il religioso riconobbe l’invocazione mariana del Sub tuum praesidium. Dopo un attento studio, presentò una ricostruzione della preghiera sulla base delle formule liturgiche in uso nel rito copto[33] e in quello bizantino.[34]


Importanza del contributo del Mercenier

L’apporto del Mercenier rimane a tutt’oggi significativo perché al Roberts era sfuggita la natura specifica della preghiera.

Forse, ciò avvenne per le lacerazioni presenti sul lato destro del reperto. Tenendo conto di quanto è scritto nel Papyrus Rylands 470, si arrivò a presentare il testo completo della preghiera in greco nel modo seguente:

Hypò tèn sèn
usplanchnían,
Katapheúgomen,
Theotóke.
Tàs hemôn ikesías,
mè parídes en
peristásei,
All’ek kindýnon lýtrosai
hemâs Móne hagné,
móne eulogeméne.

Traduzione letterale in latino

Sub misericordiam
tuam
confugimus, Dei
Genetrix.
Nostras deprecationes
ne despicias in
necessitate, sed a
periculis
salva nos, sola sancta,
et benedicta.


Altre versioni della preghiera

Per completezza espositiva vengono qui di seguito riportate altre versioni della preghiera in esame.

Versione romana[35]

Sub tuum praesidium
confugimus,
Sancta Dei Genetrix.
Nostras deprecationes
ne despicias
in necessitatibus,
sed a periculis cunctis
libera nos
semper, Virgo gloriosa
et benedicta.

Traduzione italiana

Sotto la tua protezione
troviamo rifugio,
Santa Madre di Dio:
non disprezzare
le suppliche
di noi che siamo nella
prova,
e liberaci da ogni
pericolo,
o Vergine gloriosa e
benedetta.

Testo ambrosiano[36]

Sub tuam
Misericordiam
confugimus
Dei Genitrix
nostram
deprecationem
ne inducas
in tentationem
sed de periculo
libera nos
sola casta et benedicta.


Commento

Il testo dell’invocazione, molto breve, trascritta sul Papyrus Rylands 470, costituisce la più antica preghiera rivolta alla Vergine Maria (fine III secolo), e recepisce una serie di invocazioni preesistenti. Qui di seguito sono indicate le singole esclamazioni che vennero poi riunite in un unico testo.

a) Sub misericordiam tuam confugimus!

b) Dei Genetrix!

c) Nostras deprecationes ne despicias in necessitate!

d) A periculis salva nos!

e) Sola sancta!

f) Sola benedicta!

La stesura del testo del Sub tuum praesidium avvenne in ambienti cristiani dell’Egitto. Da questo Paese, si diffuse nei diversi territori evangelizzati attraverso una serie di traduzioni tra loro non omogenee.

1) La supplica alla «Theotókos», come ogni orazione liturgica antica, si ispira a testi biblici, e utilizza espressioni greche già presenti nella Bibbia dei Settanta.[37]

2) L’inizio della prece richiama un’immagine, quella dell’ombra delle ali. Tale espressione, per i Semiti e gli Egiziani, era simbolo della protezione divina: «hypò tēn sképtēn tês»…[38] Ed è pure significativo il fatto che viene conservato, senza tradurlo, il termine sacro «sképtē» («praesidium»). Anche nelle versioni siriaca, siro-caldea e armena si trova il concetto dell’«umbra alarum».

3) Nella composizione in esame, si rileva la stessa situazione spirituale che è presente nei Salmi individuali ove s’implora il soccorso immediato del Signore, rifugio («kataphygē») e liberatore («rhystēs») del fedele nell’ora del pericolo.[39] Anche in un altro papiro molto antico, ritrovato nel 1907 presso il monastero copto di Dêr-Balyzéh (Alto Egitto), si trova una preghiera che contiene un’espressione («allà rhysai hēmâs apò pantòs kindynou») che richiama il «periculis cunctis» evidenziato nel Papyrus Rylands 470.[40]

4) In tale contesto, emerge un’evidenza: la supplica alla «Theotókos» manifesta la voce della Chiesa dei martiri. Si fa riferimento infatti a uno stato di grande «necessità» (greco «perístasis»). Non è difficile pensare alle persecuzioni anticristiane, in particolare a quelle di Decio[41] e di Valeriano[42]. La persecuzione dell’Imperatore Diocleziano[43] nel 304 fu talmente violenta in Egitto, che ancora oggi la Chiesa Copta inizia a contare gli anni da quel momento, chiamato l’anno dei martiri. Tragici episodi avvennero proprio in quelle zone ove fu composto il testo in esame.[44]


Espressione di fede del popolo

L’invocazione alla «Theotókos» riconduce quindi a un periodo di tensioni, avversità, persecuzioni di varia natura. Il Cristiano cerca protezione presso la Vergine. Si pone all’ombra (cioè: al riparo) della sua «eusplanchnía». Questa, non è l’«éleos» dei Salmi (attributo di Dio), ma è la grande misericordia e sollecitudine del cuore materno. Si è in presenza di una preghiera rivolta in modo diretto alla Madre di Dio. In particolare, trovare il termine «Theotókos» in un testo che riguarda un’orazione, dimostra che in Egitto questo titolo non era solo un termine di scuola, ma liturgico. Considerando poi, come nel periodo precedente il Concilio di Efeso (431) tale parola dogmatica si riscontri in autori che si ricollegano con la Scuola di Alessandria, si scorge in tale fatto un influsso della liturgia alessandrina, e si spiega l’asprezza della lotta anti nestoriana.[45] Il Vescovo di Alessandria d’Egitto, Cirillo (370-444), si era infatti battuto non per un termine derivante da una speculazione teologica, ma per una spontanea espressione di fede del popolo, recepita nell’uso liturgico.[46]


Una sottolineatura

In tempi relativamente recenti ci sono stati degli autori che hanno inteso presentare la «Theotókos» come una figura derivante, sul piano storico, dalla dea Aset (nome egizio) – Iside (nome greco). Tale accostamento rimane debole per più motivi. La storia del culto ad Aset-Iside è segnata da evidenze precise. In generale, si tratta di una divinità minore dell’Egitto più antico. Sorella e moglie di Osiride, dio dei morti, e madre del dio falco Horo, era anche una maga. Proprio grazie a quest’ultimo potere riuscì a piegare alla sua volontà anche il potente dio del sole Ra.

Iside divenne popolare durante il Nuovo Regno. La sua immagine, però, filtrata all’inizio dalla «interpretatio graeca» che la paragonava a Demetra[47], si modificò in modo accentuato in età tardo-ellenistica e romana. Quello di Iside divenne un culto misterico. Su tale fase si possiedono varie testimonianze. Di queste, la più nota è contenuta nel libro XI delle Metamorfosi di Apuleio[48], e nelle citazioni di storici e geografi.[49]

Nel culto, anche se tra gli epiteti della dea c’era quello di «madre di un dio», si deve ricordare che tale fatto rimane secondario e non eccezionale nella religione politeistica del tempo. In particolare, tale indicazione resta poco significativa perché Iside è presentata dai suoi iniziati come la «dea universale dai molti nomi». Rimane in tal modo una specie di divinità unica e suprema di cui gli idoli e gli dèi dei vari culti politeistici di ogni popolo non erano che distinte forme ove ella sola appare. In definitiva, si è in presenza di una figura di dio unico, tipica dei culti misterici[50], che, comunque, si sovrappone assai poco a Maria la «Theotókos».[51]


Considerazioni a più livelli

La preghiera contenuta nel Papyrus Rylands 470 traccia per ogni Cristiano un percorso di spiritualità, ed è confermata nei suoi contenuti dalle evidenze offerte da molteplici studi.

1) Sul piano dell’indagine scientifica, il ritrovamento e lo studio del Papyrus hanno dimostrato l’importanza di un lavoro specialistico interdisciplinare. Tale constatazione emerge in modo costante osservando le ricerche che attraversano più fasi storiche. In ambito mariologico, il pensiero si rivolge – a esempio – ai graffiti della necropoli vaticana (invocazioni mariane con il segno «M»).[52] Ma non si possono poi dimenticare i ritrovamenti avvenuti nelle catacombe di Priscilla (Roma): un epitaffio mariano (fine II secolo)[53] e un dipinto (in un cubicolo del III secolo) ove è raffigurato un Vescovo che, nell’atto d’imporre il sacro velo a una vergine, le addita come modello la Madonna. Di rilievo è stata anche la scoperta di graffiti rinvenuti a Nazareth. Tra questi, uno riporta l’esclamazione: «XE MAPIA», abbreviazione del greco «XAIPE MAPIA», cioè: «Rallegrati, Maria». Il graffito è inciso su un intonaco venuto alla luce dopo l’asportazione del sovrastante mosaico bizantino, che copriva la base di una colonna nella più antica basilica di Nazareth.[54]

2) Sul versante dogmatico, il testo non contiene solo un’esplicita affermazione della maternità divina di Maria. Esprime anche un’allusione alla Sua immacolata purezza. Proclama infatti la Santa Vergine come «la sola pura» («hē monē hagnē»), «la sola casta e benedetta» («kaì hē eulogēménē»).

3) In ambito ecclesiale, lo studio del documento dimostra che fin dalle origini del Cristianesimo, i fedeli si rivolgono in modo filiale, diretto e corale alla Vergine Maria, e alla Sua maternità divina. Solo quando vennero sollevate questioni cristologiche che riversavano effetti negativi anche sul titolo «Theotókos» attribuito a Maria, si rese necessario convocare un Concilio Ecumenico (Efeso).

4) Sul piano spirituale, rimane una considerazione-chiave. Mentre, ormai, si va sfocando il dibattito sulla datazione del papiro[55], rimangono delle realtà storiche. Riguardano la vita dei primi monaci e laici in Egitto. I religiosi del tempo, meditando sui testi evangelici, guardarono a Maria con delicatezza, venerazione. Ne individuarono la funzione materna nel disegno divino. E la stessa gente del posto, in modo semplice, seppe esprimere una filialità spontanea, non legata a codificazioni particolari. Tutto questo rimane un insegnamento attuale. Costituito da tre aspetti essenziali: la riflessione su Maria-auxilium; l’immediatezza di un incontro con Lei; la coralità di un moto ecclesiale.

5) In ambito comparativo è possibile annotare un’evidenza. Certamente la preghiera del Sub tuum praesidium attesta un «continuum» di filialità mariana fin dai primi secoli del Cristianesimo. Presenta, però, delle caratteristiche diverse dal testo dell’Ave Maria. L’orazione, infatti, si esprime in una forma diretta, non intercessoria, e oggetto della preghiera è una richiesta di protezione da ogni tipo di pericolo, dalle tentazioni al male e dai rischi concernenti la vita materiale, quali malattie, infortuni e indigenza.

Diversamente, l’Ave Maria è una preghiera in forma di intercessione, e oggetto della preghiera è una richiesta di misericordia per i peccati commessi, di consiglio nelle scelte morali o di protezione dalle tentazioni. La prima parte riprende due versetti evangelici, uno tratto dal brano dell’Annunciazione (Luca 1,28: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te») e l’altro dall’episodio della Visitazione (Luca 1,42: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo»).

Per molti secoli la preghiera dell’Ave Maria terminava alla fine della prima parte della sua versione attuale. Nel XV secolo si aggiungeranno in modo definitivo ai due versetti evangelici: il Nome di Gesù, la seconda parte della preghiera e l’Amen finale.

Non è facile risalire a chi esattamente abbia composto le parole «Santa Maria, Madre di Dio…» perché soprattutto dal XII secolo, con la diffusione degli Ordini Mendicanti e Predicatori, la preghiera dell’Ave Maria trovò un netto sviluppo pur con delle formule che avevano differenti sfumature letterarie. Di fatto una definizione unica e ufficiale del testo completo dell’Ave Maria, come si conosce oggi, la si trova nel Breviario romano promulgato da Pio V[56] nel 1568.

6) In ambito iconografico, si può inoltre ricordare che, fin dall’antichità, le raffigurazioni della Madonna hanno contenuto i due digrammi in greco maiuscoli «MP ΘY». Si tratta dell’abbreviazione «Meter Theou» («Madre di Dio»). I caratteri si trovano in genere riportati su uno sfondo d’oro.


Alcune annotazioni di sintesi

Per un periodo non breve di tempo diversi autori vollero difendere una loro convinzione. La devozione mariana, questa era la tesi, costituisce sul piano storico un fatto: 1) non legato agli inizi della Chiesa, 2) non vicino alla fede, 3) non presente nella vita delle prime comunità cristiane. Tale posizione è stata posta in discussione da più autori che hanno evidenziato diversi fattori. Da una parte si è ricordata la lunga tradizione che, fin dalla nascita del Cristianesimo, attesta la venerazione verso la Madre di Gesù. Si è poi fatto riferimento a diverse manifestazioni del culto mariano: graffiti, invocazioni, memorie storiche, visite devozionali. In tale contesto, la scoperta del Papyrus Rylands 470 ha confermato una filialità popolare verso la Vergine Maria che non è passata attraverso quelle elaborazioni religiose che nel Medioevo hanno prodotto canti, preghiere e antifone.[57] Piuttosto, tale moto spontaneo si è espresso con invocazioni immediate, poi raccolte in preghiere molto semplici.

Questo fatto rimane significativo perché la preghiera del Sub tuum praesidium non testimonia tanto un lungo percorso sapienziale, quanto un’immediata iniziativa dei semplici, dei perseguitati, che chiedono aiuto nell’ora del pericolo a Colei che, in quanto Madre, può comprendere i drammi delle famiglie.

Attualmente, non è semplice rintracciare i luoghi ove è stata fatta conoscere la preghiera del Sub tuum praesidium. I passi del ricercatore si inoltrano ormai tra i ruderi di cenobi, di monasteri, di edifici di cui rimangono i segni perimetrali, di luoghi di culto. Diventa così problematico ricostruire la vita quotidiana dei seguaci di Gesù di Nazareth in talune aree del Cristianesimo antico. Molte devastazioni sono legate ai periodi delle persecuzioni (metà III secolo), alle invasioni islamiche (dal 640), alle distruzioni sistematiche di siti, di biblioteche, di materiale iconografico.

Malgrado ciò, la ricerca storica ha confermato che all’inizio del III secolo la Chiesa di Alessandria si era sviluppata in modo significativo, con cinque nuovi Vescovati suffraganei. Fu in quel periodo che il Vescovo di Alessandria cominciò a essere chiamato «Papa», nella sua qualità di Vescovo anziano in Egitto. A metà del III secolo si diffuse in Egitto il fenomeno dell’eremitismo. I «Padri del deserto» non svilupparono solo una spiritualità penitenziale e offertoriale, ma seguirono più discepoli, e protessero reperti importanti per la vita ecclesiale del tempo (esempio: papiri). Altre evidenze sono emerse dallo studio della liturgia copta natalizia del III secolo.

Nell’attuale periodo sono molte le testimonianze cristiane dell’Antico Egitto.[58] La stessa scoperta del Papyrus Rylands 470, a esempio, ha impresso una svolta nella conoscenza delle preghiere locali, e soprattutto ha confermato una serie di «titoli» attribuiti alla «Theotókos». Inoltre, il Sub tuum praesidium è una invocazione corale («troviamo rifugio»; «noi che siamo nella prova») che, scavalcando gli schemi scolastici, è riuscita in un’impresa notevole. Quella di far percepire delle voci. Dei respiri. Dei moti dell’anima. Ove tutto è segnato dalla confidenza. E dove tutto è aperto all’affidamento e alla speranza.


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M. Stroppa, Le parole e le immagini. Così la devozione a Maria negli antichi papiri egizi, in: «Avvenire», 31 ottobre 2018.


Ringraziamenti

Professore Michael W. Haslam, Specialista in Letteratura Greca e in Papirologia, UCLA, Department of Classics, University of California. Dottor John Hodgson, Collections and Research Support Manager (Manuscripts and Archives), The John Rylands University Library, University of Manchester. Padre Antoine Lambrechts, Bibliothécaire, Monastère bénédictin, Chevetogne (Belgique). Professore Massimo Pinto, Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università di Bari. Dottoressa Madeleine Scopello, Correspondant de l’Institut, Directeur de recherche au C.N.R.S., Université de Paris IV-Sorbonne. Dottoressa Jan Wilkinson, University Librarian and Director of the John Rylands Library, University of Manchester.


Note

1 R. Laurentin, L’Ave Maria, Queriniana, Brescia 1990, pagine 11-21.

2 Diversi autori ritengono che il testo del Sub tuum praesidium sia un «tropàrion», cioè una composizione poetico-musicale. «Tropàrion»: dal greco tardo, derivato di «trópos», «modo».

3 Nella liturgia bizantina la preghiera è utilizzata come «theotokìou» (tropario in onore della Madre di Dio) alla fine dei Vespri feriali, sempre associata all’Ave Maria che precede come primo tropario («Theotòke parthéne chaire»).

4 I maroniti ne fanno, con le Litanie lauretane, un uso frequente.

5 La Chiesa armena, e quelle siro-antiochena, siro-caldea e malarabica, maronita, etiopica, anche se non hanno il Sub tuum praesidium nella loro liturgia, lo utilizzano comunque nei libri di devozione.

6 Nel Medioevo la preghiera si usava recitare nella VI domenica di Avvento, tra le antifone o «psallendae» litaniche (la «psallenda» era cantata alla fine dei primi vespri).

7 Per una storia dei rinvenimenti, confronta: M. Capasso, Introduzione alla papirologia, Il Mulino, Bologna 2005, pagine 145-153.

8 AA.VV., Arsinoe 3D. Riscoperta di una città perduta dell'Egitto Greco-Romano, a cura di F. Maltomini e S. Parrinello, Firenze University Press, Firenze 2023. S. Curto, Atlante di archeologia, Utet, Torino 1998, pagina 316.

9 Un numero consistente di papiri di Ossirinco è attualmente conservato nell’Ashmolean Museum (Università di Oxford).

10 Confronta anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Papiri_di_Ossirinco#Nuovo_Testamento.

11 A livello religioso, il Dottor James Rendel Harris faceva parte di una comunità di quaccheri. C. Bernet, Harris James Rendel, in: «BiographischBibliographisches Kirchenlexikon». Band XXX. Spalten 557-569, Verlag Traugott Bautz Gmbtt, Nordhausen (Deutschland). «Bulletin of the John Rylands Library», Obituary notice, volume 26, 1941, pagine 10-14.

12 J. Rendel Harris, Biblical fragments from mount Sinai, C. J. Clay and Sons, London 1890, pagine 54-56.

13 La Prima Guerra Mondiale durò dall’estate del 1914 alla fine del 1918.

14 La parola «copto» deriva dal greco Aigypto e significa Egitto. I Copti sono i diretti discendenti degli antichi Egiziani.

15 Notizie fornite all’Autore dal Dottor John Hodgson, Collections and Research Support Manager («Manuscripts and Archives»). The John Rylands University Library. The University of Manchester, 150 Deansgate, Manchester. Archivio privato del Professor Guiducci. Fascicolo «Corrispondenza con l’Università di Manchester (U.K.)».

16 M. C. H. Roberts and E. G. Turner, Catalogue of the Greek and Latin papyri in the John Rylands Library, Manchester, III: «Theological and literary texts», University Press Manchester, Manchester 1938, pagine 46-47.

17 Per I dati biografici su questo studioso confronta: Oxford Dictionary of National Biography, in association with the British Academy, from the earliest times to the year 2000, H. Colin Gray Matthew-B. Howard Harrison, Oxford University Press, Oxford 2004. Confronta: Colin Henderson Roberts (1909-1990), volume 61. Confronta anche D. Russell-P. J. Parsons, Procedings of the British Academy, 84, 1994, pagine 479-483; M. W. Haslam, Dictionary of British Classicists, 1500-1960, R. Todd (curatore), I-III, Thoemmes Continuum, Bristol 2004. Confronta: III, pagine 826-827. D. Russel (rev.), Oxford Dictionary of National Biography, 47, pagine 143-145.

18 D. H. Fowler, Eric Gardner Turner (1911-1983). In memoriam, in: «Historia Mathematica», II, 1984, 126-130.

19 Il Dottor Edgar Lobel fu un notevole papirologo. Nelle sue numerose pubblicazioni dimostrò una particolare capacità di analisi dei documenti e di ricostruzione storica, prima nell’ambito dell’Egitto Bizantino e poi dell’Egitto Romano. Di particolare rilievo è la sua opera dal titolo: Jews and Christians in Egypt. Confronta: M. W. Haslam, DBC, 2, pagine 587-588; H. Lloyd-Jones (rev.), Oxford dictionary of national biography, 34, pagine 201-202.

20 M. C. H. Roberts and E. G. Turner, pagina 46.

21 Sir George Frederic Kenyon fu un paleografo e uno studioso di storia biblica e classica. Laureatosi in lettere (Università di Oxford), cominciò a lavorare presso il British Museum (1889) di cui divenne direttore. Il suo libro La Bibbia e i manoscritti antichi (1895) offrì un notevole contributo, sulla base di papiri egiziani e di altri reperti archeologici, in materia di storicità dei Vangeli. Fu anche Presidente della British Academy (1917-1921). Nel 1920 divenne Presidente della Scuola Britannica di Archeologia di Gerusalemme.

22 Il termine «Theotókos» è composto da un sostantivo e da un verbo: «Theós» e «tíktō». Il primo termine significa «Dio», il secondo vuol dire «partorire».

23 «La Scrittura che ci istruisce e la vita di Maria, la Madre di Dio, sono sufficienti come ideale di perfezione e norma di vita celeste», in: Atanasio di Alessandria, Trattato de virginitate, scoperto e pubblicato da Th. Lefort, in: «Le Muséon», numero 42, 1929, pagine 197-264. La citazione si trova a pagina 239.

24 M .C. H. Roberts and E. G. Turner, pagina 46.

25 https://en.wikipedia.org/wiki/Idris_Bell.

26 L’onciale è un’antica scrittura maiuscola.

27 Su dom Feuillien (Euthyme) Mercenier esiste un articolo (scritto in occasione della sua morte) di dom O. Rousseau pubblicato su: «Irénikon», numero 38, 1965, pagine 103-108. Ulteriori informazioni si possono trovare nell’articolo di dom L. Vos, Amay-Chevetogne et le Proche-Orient: de la fondation (1925) au Concile Vatican II (1962), in: «Mélanges en mémoire de Mgr Néophytos Edelby (1920-1995)», edités par PP. Nagi Edelby & Pierre Masri, Beyrouth, Cedrac, Université St. Joseph, Beyrouth 2005, pagine 480-485.

28 «Melchita» è il termine con il quale si identificano i Cattolici di rito bizantino e di lingua araba.

29 Eutimio (377-473; Santo). Anacoreta. Fondò diverse laure (colonie di monaci) in Palestina.

30 Di questo studioso è molto interessante l’opera: Scrinium Lovaniense. Mélanges historiques, cur. E. Van Cauwenbergh, publication subventionnée par le Ministère de l’Instruction Publique, Duculot-Gembloux, Louvain 1961.

31 Monsignor Cauwenbergh fu responsabile della biblioteca dal 1919 al 1961.

32 Di rilievo è il lavoro: L. TH. Lefort, La littérature égyptienne aux derniers siècles avant l’invasion arabe, «Chronique d’Egypte», numero 6, 1931.

33 La liturgia copta ha conservato, quasi integralmente, la formula originaria che ci offre il papiro greco, e ancor oggi, almeno presso i Cattolici, ne fa uso ai Vespri.

34 F. Mercenier osb, L’Antienne mariale grecque. La plus ancienne, in: «Muséon», Revue d’études orientales, 52, Louvain, 1939, pagine 229-233.

35 La formula romana si ritrova nell’Antifonario di Compiègne del IX-X secolo, tra le antifone in Evangelio, una serie di antifone che s’intercalavano tra i diversi versetti del Benedictus per la festa dell’Assunzione di Maria.

36 Il testo della liturgia ambrosiana deriva da quello bizantino, ma sembra posteriore agli anni del Vescovo di Milano Ambrogio (339/340-397; Santo), anche per l’errata traduzione «ne inducas in tentationem» (invece di: «ne despicias in necessitate»), la quale non può essere attribuita ad Ambrogio che conosceva bene il greco. Tale variante potrebbe però non appartenere alla traduzione originaria, ed essere una tardiva contaminazione dell’orazione domenicale.

37 La Bibbia dei Settanta fu la prima versione in greco dell’Antico Testamento. Venne redatta tra il III secolo avanti Cristo e il II secolo avanti Cristo per rispondere alle esigenze di culto degli Ebrei residenti in Egitto e, più in generale, fuori dalla terra d’Israele.

38 N. Lohfink, All’ombra delle tue ali. Meditazioni sull’Antico Testamento, Piemme, Casale Monferrato 2002. Confronta anche il Salmo 16,8 («Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali»).

39 Salmi: 16 («Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio…»), 17 («Ascolta, Signore, la mia giusta causa, / sii attento al mio grido...»), 28 («A te grido, Signore, mia roccia...»), 30 («Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato...»), 90 («Signore, tu sei stato per noi un rifugio...»), 114 («Quando Israele uscì dall’Egitto...»), 141 («Signore, a te grido, accorri in mio aiuto...»), 142 («Con la mia voce grido al Signore...»).

40 Foglio I «recto», ll. 8-12: PO 18, 425 e 428; C. H. Roberts-B. Capelle (Dom), An early Euchologium. The Dêr-Balizeh Papyrus enlarged and re-edited, Bureaux du Muséon, Louvain 1949, pagina 14.

41 Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201-251). Imperatore Romano dal 249 alla morte.

42 Publio Licinio Valeriano (200 circa-morto dopo il 260). Imperatore Romano dal 253 al 260. Nel suo periodo venne martirizzato in Africa il Vescovo Cipriano (Santo; 210 circa-258), mentre a Roma subirono la condanna a morte Sisto II (eletto Pontefice nel 257, ucciso nel 258; Santo) con il diacono Lorenzo (225?-258; Santo).

43 Diocleziano (244-313). Imperatore Romano dal 284 al 305.

44 I. Cecchetti, Sub tuum praesidium, in: «Enciclopedia Cattolica», volume XI, coll. 1468-1472, Città del Vaticano 1948-1954.

45 Nestorio (381 circa-451 circa). Vescovo e teologo siriano. Patriarca di Costantinopoli dal 428 al 431. Fu accusato di affermare la separazione delle due nature di Cristo (umana e divina), negandone l’unione ipostatica. Di conseguenza, Maria – per Nestorio – doveva essere definita «madre dell’uomo Gesù» e non «Madre di Dio». La posizione di Nestorio venne condannata dal Concilio di Efeso (431).

46 G. Gianberardini, Il “Sub tuum praesidium” e il titolo “Theotókos” nella tradizione egiziana, in: «Marianum», numero 31, 1969, 2-4, pagine 324-362.

47 Divinità della religione greca, figlia di Crono e di Rea. Presiedeva la natura, i raccolti e le messi.

48 Lucio Apulèio (125 circa-post 170). Nato a Madaura (nell’attuale Algeria). Scrittore, filosofo.

49 Per un elenco di testimonianze trascritte su papiri, confronta: P. Scarpi (a cura di), Le Religioni dei misteri. Volume 2: Samotracia, Andania, Iside, Cibele e Attis, Mitraismo, L. Valla / Mondadori, Milano 2013.

50 Non a caso il Cristianesimo monoteista vi fu assimilato dagli storici pagani, prima che ne venissero individuate le radicali differenze.

51 Confronta anche: A. Rolle, Dall’Oriente a Roma. Cibele, Iside e Serapide nell’opera di Varrone, Edizioni ETS, Pisa 2017.

52 Nel 1952-1965 l’archeologa Margherita Guarducci (1902-1999) studiò nella necropoli vaticana il cosiddetto muro dei graffiti. Vi scoprì graffiti con il nome di Pietro, espresso con le lettere P, PE, PET, e unito di solito con il nome di Cristo, con il simbolo di Cristo, con la sigla di Cristo e con il nome di Maria. In altri graffiti vennero individuate acclamazioni alla vittoria di Cristo, Pietro e Maria.

53 Epitaffio di Vericundus nelle catacombe di Priscilla, a Roma, databile secondo la studiosa Margherita Guarducci alla fine del II secolo. All’interno del nome si trova inserita una «M», che sta a indicare Maria, con lo scopo di augurare al defunto la sua protezione nell’aldilà.

54 P. L. Guiducci, Le ricerche storiche sui primi secoli della Chiesa, in: «Storia in Network», Magazine di divulgazione storica («online»), 1° gennaio 2017.

55 Attualmente permane una non debole convergenza tra gli studiosi nel riconoscere che il Papyrus Rylands 470 non può essere datato oltre il III secolo. La data più probabile è attorno al periodo della persecuzione di Decio. Su questo punto mi è stata di grande aiuto la documentazione inviatami in materia di datazione del Papyrus Rylands 470 al III secolo, dalla Dottoressa Madeleine Scopello, Correspondant de l’Institut, Directeur de recherche au C.N.R.S, Université de Paris IV-Sorbonne. Oltre al suo parere la specialista ricorda gli studi di Nigel Turner e quelli di Van Halst.

56 Pio V (1504-1572; Santo). Il suo Pontificato durò dal 1566 alla morte.

57 A esempio in Occidente: Ave Regina Coelorum, Alma Redemptoris Mater, Salve Regina e Regina Coeli.

58 Confronta anche: AA.VV., L’Egitto e la Bibbia dagli Ebrei ai Copti, in: «Il mondo della Bibbia», rivista di cultura biblica, Elledici, numero 4, 2014. P. Parsons, La scoperta di Ossirinco. La vita quotidiana in Egitto al tempo dei Romani, Carocci, Roma 2019. S. Pasi, La pittura cristiana in Egitto. Dalle origini alla conquista araba, Edizioni del Girasole, Ravenna 2008.

(ottobre 2015; ripubblicato: marzo 2024)

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