La città di Aleppo e monsignor Losana
Il significativo ruolo diplomatico che in Siria assunse il futuro Arcivescovo di Biella

La Siria è tutt’oggi una terra martoriata per avere al suo interno varie fazioni in lotta. Particolarmente coinvolta la città di Aleppo, dove l’Organizzazione delle Nazioni Unite non ha mancato di denunciare una vera e propria emergenza umanitaria. La diplomazia internazionale sta tentando tutte le carte per riuscire a risolvere le questioni del martoriato Medio Oriente.

Anche in altre epoche la diplomazia internazionale, compresa quella pontificia, tentò di gestire le ancor presenti lacerazioni di questa terra in modo vigile e prudente. Una particolare collocazione storica spetta di diritto in questo senso rispetto ad altri rappresentanti occidentali in quelle terre a monsignor Giovan Pietro Losana, più conosciuto come Arcivescovo di Biella durante il periodo risorgimentale, la cui figura ad un lettore contemporaneo appare di notevole interesse per la cauta ma decisiva azione che egli ivi svolse nel periodo in cui fu chiamato ad essere Vescovo ad Aleppo, in Siria.

Di monsignor Losana (1793-1873) non si è mai parlato molto perché, come ammette un suo recente biografo, don Angelo Bessone, nessuno volle metter mano, a partire dalla sua epoca, ad una compiuta biografia dell’Arcivescovo, che aveva votato contro l’Infallibilità Pontificia nel 1870, durante i lavori del Concilio Vaticano I.

Losana, nel corso della sua lunga carriera ecclesiastica, fu tacciato di giansenismo, gallicanesimo e liberalismo. I suoi fitti e cordiali rapporti con Antonio Rosmini accrebbero ulteriormente le difficoltà per una pubblicazione postuma sul ruolo, anche politico, assunto in vita dall’Arcivescovo. Senza contare che egli ospitò anche Garibaldi nella sua diocesi.

Tanto anticonformismo nasceva dalle sue origini: nella famiglia di provenienza del religioso si annoverava uno zio, Giorgio Matteo Losana, che nel corso delle vicende scaturite dalla Rivoluzione Francese non vide contraddizione tra Vangelo e repubblica.

Cosicché, nel 1799, quando era in corso la reazione austro-russa, fu strappato dal confessionale della sua chiesa parrocchiale ed incarcerato, insieme al fratello Giulio, nel castello di Verrua, in Piemonte, come giacobino, per aver scritto o detto qualche discorso davanti all’albero della libertà, difendendo un accordo fra Vangelo e democrazia.

La prigionia per ragioni politiche dello zio Matteo resterà fissata nella memoria del nipote, che manifesterà la sua avversione ai regimi assolutisti ed un interesse per Napoleone, la cui figura l’ormai ottuagenario Vescovo di Biella evocherà nell’aula del Concilio Vaticano I.

Molto dovrebbe essere scritto su di lui e un recente saggio rende giustizia ai lunghi silenzi,[1] ma in questa sede intendo parlare del ruolo che egli assunse in Siria, e precisamente ad Aleppo, negli anni Venti del XIX secolo, vista l’attualità degli argomenti, a distanza di quasi due secoli.

«Dopo due anni e pochi mesi che Losana era parroco abate della collegiata di Sant’Andrea di Savigliano, Papa Leone XII, circa il 23 dicembre 1826, lo nominò Vescovo in partibus di Albido nella Frigia Minore, Vicario Apostolico di Aleppo e delegato della Santa Sede al Monte Libano, colla residenza quivi presso il principe cattolico. La sua missione vi durò sei anni, finché, vale a dire ad istanza del Re Carlo Alberto, Papa Gregorio XVI, nel concistoro del 30 settembre 1833 lo trasferì al vescovato di Biella.[2]

L’elezione di Leone XII, il Papa che ha fatto Vescovo e Delegato Apostolico Losana, è lungi dal rivestire semplicemente la valenza oscurantista e retrograda che una lunga tradizione storiografica ha voluto attribuirle. Leone XII si presenta all’opinione pubblica laica, sul cadere del 1824, e ancor più negli anni successivi, sotto duplice veste: quella del politico moderato ed illuminato, tutt’altro che alieno dal proseguire in Europa l’azione di organico inserimento impostata dal Segretario di Stato Vaticano Cardinale Consalvi, e quella dell’inflessibile rigorista ecclesiastico, del restauratore».

«La presenza della Santa Sede in Oriente era importante e delicata», prosegue il biografo di monsignor Losana, Bessone «e per il ruolo delicato posto nella penetrazione francese nel Levante, e per la circospezione consigliata dinanzi agli atteggiamenti autocratici e giurisdizionalistici della Russia».

Con la consacrazione episcopale Giovanni Pietro Losana venne investito della duplice qualità di Vicario Apostolico di Aleppo e di Delegato della Santa Sede al Monte Libano, divenendo così l’ordinario per i Latini ed esercitando al contempo autorevole ispezione su tutti gli Orientali Cattolici di qualunque rito, che si trovavano nei vastissimi limiti della sua giurisdizione: vale a dire l’isola di Cipro, l’Egitto, l’Arabia, la Siria sino all’Eufrate e tutta l’Anatolia. Naturalmente il Piemonte aveva un tornaconto politico dalla presenza di un suo prelato in Oriente. Il Re Carlo Felice lo incaricò infatti di visitare le regie Chiese Consolari ed i suoi sudditi, dimoranti sulle coste di Barberia e di Levante.

Queste decisioni non furono estranee ai nuovi interessi dello Stato Sabaudo verso una politica espansionistica nel Mediterraneo, con un relativo avvicinamento, in veste non sempre ufficiale, alla potenza inglese. I duplici atteggiamenti romani si inquadrano in un delicato quadro diplomatico, dal momento che lo Stato Pontificio, fino al 1855, ossia all’annullamento del Codice Giuseppineo, non ebbe sempre vita facile con l’Austria.

Nell’estate del 1828 fu allestita nel porto di Genova una flottiglia, composta dalla fregata Beroldo, dalla corvetta Aurora e dal brigantino Zefiro, destinata a fare il giro dei diversi scali del Levante, e sulla quale si imbarcò Giovan Pietro Losana.

Tunisi, Tripoli, Alessandria, Cipro. Non si trattò certo di un «viaggio da turista». La cultura teologica di Losana era caratterizzata prevalentemente dalla funzione speculativa, positiva, storica, sperimentale. Il bacino del Mediterraneo offriva la verifica della cultura biblica e storica all’ex professore dell’Ateneo Torinese. A Tunisi la vista del forte e della darsena, a Cartagine le sue rovine, ad Alessandria «gli obelischi di Cleopatra e la colonna così detta di Pompeo, e tutte le altre cose degne di attenzione furono da lui esaminate».

In un uomo di cultura, com’era Losana, avevano fatto impressione grandissima le rovine del tempio di Balbek, fra le più grandi del mondo ellenistico. Ed infatti, una volta terminato il mandato in Oriente, prima d’imbarcarsi ad Alessandria per raggiungere la diocesi di Biella, visitò la valle del Nilo, Menfi e le piramidi. Torino, con il suo museo egizio, era all’avanguardia nell’egittologia: Losana ricevette la visita, mentre si trovava al Cairo, del cavaliere Bernardino Drovetti (1776-1852), allora console generale di Francia, che fu un personaggio chiave per la formazione del museo egizio di Torino.

Drovetti sarà in seguito uno dei suoi collaboratori nella società biellese per l’avanzamento delle arti, dei mestieri e dell’agricoltura, presieduta negli anni Quaranta proprio dal Losana.

Ciò spiega l’apertura del nostro verso l’Oriente, la capacità che egli mostrò di vestirsi come gli Orientali, di studiare in modo approfondito la lingua araba, di fare della cultura dei popoli la sua cultura.

Possiamo ben definire Losana un «illuminato» del suo tempo; la sua indagine storiografica in Oriente fu vissuta come uno strumento importante del suo far teologia. Anche e soprattutto nei rapporti con le altre Chiese Cristiane presenti sul territorio, non solo con i musulmani.

«Tutto sommato», scrive ancora il suo biografo «l’esperienza che egli riportò fra le Chiese Orientali di ogni Nazione, lingua e rito, lo portò a far sua, anzi ad ampliare, l’impostazione di Antoine Arnauld,[3] nel celebre trattato sulla Perpetuità della fede cattolica riguardo all’eucarestia».

Non la Chiesa Cattolica ha innovato, ma i protestanti hanno innovato, volendo ritornare all’antico. Le Chiese Orientali, che pure hanno ragioni di astio contro la Chiesa Romana, mai accetterebbero di sentirsi dire dai protestanti che i dogmi che loro professano sono recenti, non risalgono alla Chiesa Apostolica. Ora quei dogmi delle Chiese Cristiane d’Oriente sono, nel complesso, largamente comuni con quelli della Chiesa Cattolica. Anche in questo caso, per Losana, ciò che univa sopravanza ciò che divideva.

Losana non ha interpretato il suo mandato in Oriente secondo un’ottica burocratica, ma l’ha vissuto come un impegno missionario. La prima fatica da fare fu imparare la lingua, che è comunque chiave dei cuori.

Scrisse nel 1834: «Né senza utile, quella classica terra viene visitata dall’Europeo, ed abitata almeno per qualche tempo; purché però tanto agio gli sia stato conceduto da poter imparare la lingua, che è la chiave dei cuori, ed è in quei luoghi l’araba, quindi dalle cose maggiori discendere alle più piccole, tutto investigare con diligenza e senza studio di parte».

Ed ancora, rivolto qualche anno dopo alla Congregazione Romana De Propaganda Fide: «Io trovai la città di Aleppo e il Libano agitati e dopo studiata la lingua, senza di cui non si possono evitare errori, con un’incredibile longanimità e minutezza di esami legali, pervenni a stabilirvi una linea d’ordine e di accordo. Vi arrivò il mio successore e senza studiare né lingua, né persone, né cose, pretese tosto non solo di fare, ma di disfare quello che vi è, e ciò tutto senza esame di sorta».

La supremazia islamica nel vasto Impero Ottomano non aveva impedito che ci fosse ancora un terzo di Cristiani nel Medio Oriente, del quale quasi il 10% era in comunione con la Chiesa di Roma. I Cattolici Latini nel 1815 ammontavano a circa 200.000.

«All’inizio del XIX secolo la maggior parte delle comunità latine viveva in una situazione assai precaria, perché l’interruzione di regolari comunicazioni con Roma e gli sconvolgimenti causati dalle guerre austro-turche e napoleoniche avevano provocato numerose sedi vacanti, diminuzione del numero dei missionari e sviluppo dell’indisciplina del clero residente nel posto: infatti parecchi abusi dovettero essere corretti. I delegati della Congregazione De Propaganda Fide, che venne riorganizzata con il ritorno di Pio VII a Roma, si applicarono in modo sempre più sistematico, ma non sempre con la necessaria delicatezza».[4]

Il gruppo più importante cui si diresse la sollecitudine di Losana fu il patriarcato maronita: tale gruppo aveva sofferto, durante la metà del XVIII secolo di una crisi di autorità della Chiesa Cattolica, crisi che rientrò intorno al 1826. A partire dal 1835 i Vescovi Cattolici rientreranno ufficialmente in sede. Parlando del Monte Libano, quella catena di montagne che si estende da Seyda a Tripoli di Soria, rileviamo che la Nazione dominante fu allora la Maronita, seguita da quella dei Drusi, accanto ad altre minori.[5] Questi gruppi furono a lungo indipendenti e vi si aggiunsero anche altre fazioni cristiane, fra le quali la Greca Cattolica, la Siriana e l’Armena. I rispettivi capi delle suddette fazioni presero il nome di Patriarchi d’Antiochia, meno quello degli Armeni, che fu Patriarca di Cis e Cilicia.

Sorge spontaneo, anche attraverso questa breve descrizione, capire quanto difficoltoso potesse essere già in quel periodo gestire una situazione così variegata. Monsignor Losana in questo fu maestro, potendo così fare di Aleppo una sorta di palestra per i suoi futuri compiti di mediazione e confronto complesso nella Biella degli anni successivi.

Ci fu certamente tensione in quel periodo tra lo stile che monsignor Losana proponeva ed alcune méte che gli furono imposte da Roma.

Ruolo diplomatico e verticistico il suo, ma sempre attento a non venir meno ai propri convincimenti. Egli, dotato di acuto senso storico, si indirizzò infatti al rispetto delle varie culture grazie alla formazione teologica non ultramontana. Il progetto romano voleva essere più omologante e centralistico rispetto alle posizioni del nostro.

La preoccupazione della Santa Sede nello stringere i legami di queste Chiese con Roma era sempre più marcata, man mano che queste aumentavano di spessore. Losana rappresentò un’eccezione, vista anche la straordinaria personalità. Una volta che egli ebbe terminato il suo mandato, si iniziò a svuotare sempre più della sua sostanza il Patriarcato, nella convinzione che l’originalità delle Chiese Orientali potesse venir governata solo nella prospettiva dell’uniformità.

La resistenza di Losana ad un centralismo esasperato, che tentò di omologare riti e consuetudini giuridiche, lo troviamo vivissimo ancora nel suo testamento del 1867. I legati per le Chiese Orientali vi occupano due pagine intere, in un testo di dodici pagine.

«Oltre alla Messa letta perpetua – egli scrisse – già da me istituita al Monte Libano e sanzionata dalla Santa Sede, come da rescritto pontificio, desiderando io di avere un suffragio in ogni rito e lingua della Chiesa Orientale, già da me retta e governata per delegazione apostolica, sarà cura premurosa dei miei esecutori testamentari di partecipare il più presto possibile il mio decesso ai reverendissimi miei successori pro tempore in Siria e in Egitto».[6]

Questo problema si pose più vivo che mai durante il Concilio Vaticano I e il Pontefice (Pio IX) arrivò ad imporre all’allora Primate Valperga, nonostante il suo netto rifiuto, di rinunciare ai privilegi derivanti dal suo ruolo per preservare l’integrità e l’unità dei riti nelle Chiese Orientali.[7]

Losana dunque, insieme a quei prelati che misero al centro del loro operato una precisa volontà di rispondere a logiche, diremmo oggi, «più democratiche», presumibilmente all’altezza dei tempi ma non sempre opportunamente apprezzate, deve venir riletto oggi sotto una luce nuova. È quanto propone don Bessone con la sua recente biografia, allo scopo soprattutto di rivedere quelle dinamiche politiche più generali che portarono a netta separazione nel nostro Paese, seguendo le stesse logiche volute in Oriente, tra Chiesa Cattolica e Stato Unitario, cui Losana dovette far fronte.

Ma volendo anche soltanto esaminare il particolare servizio che il Vescovo di Biella interpretò in Oriente, si rende quanto mai necessario misurarsi con le attuali divisioni ideologiche, religiose, d’interesse economico in zone cruciali del pianeta sul piano geografico quali quelle mediorientali, facendo in ogni modo i dovuti distinguo con le più recenti condizioni politiche. Diverso il quadro, ma non il contesto, con cui ancora dobbiamo misurarci ai fini di un più corretto rapporto tra Oriente ed Occidente.


Note

1 Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella 2006.

2 Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella 2006, pagina 67.

3 Drammaturgo francese vissuto tra XVIII e XIX secolo, di matrice napoleonica.

4 Autori Vari, Storia della Chiesa, VIII/1, Milano 1977, pagina 182.

5 Mutueli e Assablié.

6 Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella 2006, pagine 84-86.

7 Angelo Stefano Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di Risparmio di Biella 2006.

(febbraio 2013)

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