I Fenici
Un popolo di grandi navigatori, mercanti, e anche pirati. A loro dobbiamo un contributo essenziale per la nostra civiltà: la scrittura alfabetica

Tra i vari popoli dell’Antico Vicino Oriente, uno dei meno «conosciuti», almeno a livello popolare, è quello dei Fenici. La ragione potrebbe forse essere che sono stati giudicati poco «interessanti»: non ci hanno lasciato opere grandiose, né poemi immortali; hanno vissuto per secoli e poi sono scomparsi. Ma non è giusto dire che non hanno lasciato tracce: oltre ad alcune innovazioni o scoperte per la navigazione, hanno trasmesso ai Greci, e dai Greci a noi, l’alfabeto fonetico, ovvero il mezzo essenziale per trasmettere a una vasta fetta della popolazione il sapere e la cultura – in una sola parola, la «civiltà». Ora racconteremo la loro storia.

È un popolo più misterioso di quanto si potrebbe credere, quello dei Fenici, a cominciare dal nome. Già, perché il termine «Fenici» designava nell’antichità classica l’insieme dei popoli semiti che abitavano la costa della Siria tra il monte Cassio a Nord e il monte Carmelo a Sud. L’origine del nome rimane tuttora sconosciuta: potrebbe designare la porpora, di cui i Fenici erano grandi esportatori, un tipo di spezie o il frutto della palma. L’Iliade di Omero li identifica con gli abitanti di Sidone e li descrive prima come artigiani, poi come navigatori.

Non si sa con certezza neppure da dove e in che epoca arrivassero. Erodoto, sulla scorta degli studiosi di Tiro, scrisse che quella città, la principale della Fenicia, era stata fondata nel 2800 avanti Cristo da una tribù di contadini emigrati dalla Mesopotamia in cerca di nuove terre e nuove fonti di ricchezza. Non è possibile né confermare né contraddire una tale affermazione, che nelle linee generali potrebbe corrispondere alla realtà. La regione in cui si stabilirono questi contadini, una sottile striscia di terra lunga circa 150 chilometri e larga 15, compresa fra i monti del Libano e il Mar Mediterraneo, non offriva pianure fertili da coltivare: fu così che questi contadini capirono che non c’era un’altra risorsa all’infuori del mare e divennero pescatori!

Fenicia

La Fenicia con le principali città

Avevano già imparato nella loro patria a costruire imbarcazioni simili a barilotti, spesso fatte di pelli; ma queste barche, che potevano portare al massimo due o tre persone coi loro bagagli, erano adatte solo a navigare sulle acque tranquille dei fiumi Tigri ed Eufrate. Anche le imbarcazioni degli Egizi non erano adatte a solcare il mare aperto, perché avevano il fondo piatto e le fiancate molto basse. Bisognava ingegnarsi a costruire navi robuste; occorreva inoltre che queste navi fossero anche agili, per superare velocemente grandi distanze, e che fossero capaci, per trasportare grandi quantità di merci.

I Fenici divennero provetti costruttori di navi. Furono i primi a costruire galee con la chiglia e le costole sulle quali fissavano larghe assi (il fasciame): il legno usato era quello dei maestosi cedri che crescevano sui monti del Libano e davano fusti dritti e alti fino a 40 metri, molto robusti; il cedro campeggia tuttora sulla bandiera del Libano, a testimonianza dell’interazione e della continuità tra il passato, anche remoto, e il presente. Le loro navi, lunghe 22 metri, avevano la chiglia rivolta all’esterno e molto affilata, in modo da poter fendere il vento, l’acqua o le navi del nemico. Avevano una larga vela rettangolare, che però non si poteva manovrare e permetteva di muoversi soltanto nella direzione del vento, e un duplice banco di remi azionati da schiavi.

Nave fenicia

Nave fenicia scolpita su un sarcofago, II secolo avanti Cristo

Ben presto, i Fenici divennero esperti conoscitori del mare: impararono a governare con destrezza le navi, a conoscere con precisione i golfi, le città della costa e i popoli che le abitavano.

Scoprirono che era più redditizio abbandonare la pesca e dedicarsi al commercio: cominciarono a percorrere le coste del Mar Mediterraneo, sostavano in tutti i porti e ovunque comperavano, vendevano, trafficavano. Acquistavano grano e tessuti dagli Egizi, olive e vino dai Greci, pietre preziose dagli Indi; in Sardegna sfruttavano i giacimenti di metallo; si spinsero fino alle isole Scilly per procurarsi lo stagno, e rivendevano i prodotti acquistati dove questi scarseggiavano o mancavano del tutto. Intelligenti e astuti, sapevano trarre profitto da ogni genere di traffico ed erano di tanta proverbiale avidità che spesso, pur di guadagnare, non si facevano scrupolo di imbrogliare il prossimo, derubando il debole, truffando lo stolto, mostrandosi onesti con gli altri. Non facevano alcuna distinzione tra commercio, inganno e furto: racconta infatti un cronista del tempo, che «si aveva bisogno di loro [dei Fenici], ma erano temuti. Si salutava con gioia l’apparizione delle loro vele sui mari, poiché portavano mille oggetti utili e preziosi, ma finché rimanevano a terra si temeva qualche loro colpo di mano. Quasi sempre, al momento d’imbarcarsi, rapivano un certo numero di fanciulli e fanciulle del paese e poi levavano l’ancora precipitosamente. In tal modo si procuravano gli schiavi che poi andavano a vendere altrove a carissimo prezzo». Questa smania di guadagno influì moltissimo sulla loro storia, e non sempre in modo positivo.

I Fenici tracciarono, con le loro navi, rotte che nessuno aveva mai percorso fino ad allora: assieme agli Egizi, scavarono un canale tra il Mediterraneo e il Mar Rosso, anticipando di ben 2.500 anni l’impresa grandiosa dello scavo del Canale di Suez. Furono anche i primi a compiere la circumnavigazione dell’Africa con un viaggio durato tre anni, doppiando il Capo di Buona Speranza circa 2.000 anni prima di Vasco da Gama; ha scritto Erodoto che durante quest’impresa «quando veniva l’autunno sbarcavano, seminavano la terra e attendevano il raccolto; quindi, dopo aver mietuto il grano, si ponevano di nuovo in mare. Trascorsi così due anni, nel terzo, dopo aver doppiato le Colonne d’Ercole, giunsero in Egitto». Avendo scoperto al di là dello Stretto di Gibilterra convenienti mercati di metalli e di porpora, per tutelare i loro interessi diffusero di proposito la menzogna che nell’Oceano vi fossero mostri terribili capaci di ingoiare navi intere, e nessun altro, per molti secoli, osò più varcare lo Stretto.

I Fenici navigavano di preferenza lungo le coste, ma scoprirono le prime leggi per dirigersi nel mare aperto osservano il sole e, soprattutto, le stelle: avevano notato che nelle regioni settentrionali della Terra la Stella Polare appare alta nel cielo mentre, man mano che ci avviciniamo all’Equatore, si abbassa sempre più verso la linea dell’orizzonte. Impararono quindi che per dirigersi verso le isole dove trovavano lo stagno, dovevano vedere la Stella Polare diventare ogni notte più alta nel cielo; quando invece scendevano lungo le coste africane in cerca di spezie, per avere la rotta giusta la Stella Polare doveva scendere, ogni notte, sempre più verso l’orizzonte. Queste cognizioni rimasero per lungo tempo gli unici mezzi a disposizione dei naviganti per dirigersi nell’immensità del mare.

Il popolo fenicio non si unì mai in un’unica, grande Nazione. I monti del Libano formavano un confine naturale verso le popolazioni dell’Oriente, ma anche dividevano la regione in tante piccole zone, in ognuna delle quali sorse una città che si governava in modo indipendente dalle altre, come un piccolo Stato, sotto la guida di un Re (si parla infatti di città-stato); il Sovrano era assistito da un «Consiglio degli Anziani» (un’aristocrazia mercantile) e dall’«Assemblea cittadina», che avevano il compito di approvare le leggi e di evitare che il Re si arrogasse un potere assoluto. Vi furono però anche città rette da un Governo Repubblicano, che obbedivano a due magistrati detti «suffeti».

Le principali città della Fenicia furono Tiro, Sidone, Arado (l’«isola nel mare profondo»), Berito e Biblo, tutte ottimi porti naturali. Biblo si riteneva la città più antica di tutte, fondata dal dio El all’origine dei tempi, e fino al termine della storia della Fenicia ne rimase la capitale religiosa. Ogni città aveva il suo dio, che era concepito come un antenato del Re e causa della fertilità del suolo: quello di Tiro era chiamato Melkarth, ed era una divinità della forza. Tra i vari dèi c’era il terribile Moloch cui i Fenici offrivano in sacrificio, bruciandoli, i loro figli (anche delle migliori famiglie).

Le città più grandi, ricche e importanti della Fenicia furono Tiro e Sidone. Tiro (cioè «la roccia»), costruita su un’isola a qualche chilometro dalla costa, raggiunse la prosperità sotto il Re Hiram, contemporaneo di Salomone, e intorno al 520 avanti Cristo aveva «accumulato l’argento come la polvere, e l’oro come il fango delle strade»; scrisse Strabone che «qui le case hanno molti piani, ancor più delle case di Roma». Sidone, in origine fortezza, divenne rapidamente un villaggio, poi una città e un centro prosperoso; più volte fu distrutta, più volte fu ricostruita e ritornò fiorente.

Invidiose l’una dei commerci e dei guadagni dell’altra, le città fenicie lottarono sempre con accanimento tra di loro, a volte alleandosi con altri popoli per schiacciare la città rivale di turno. A lungo andare, questa politica si rivelerà fatale.

Antichi documenti e una serie di frammenti di vasi di alabastro ritrovati a Biblo e contenenti i nomi dei Faraoni delle prime dinastie (III millennio avanti Cristo) ci rivelano che tra Fenici ed Egizi si erano stabiliti da tempo dei rapporti commerciali, soprattutto per la compravendita del legno di cedro; nel millennio successivo, i rapporti commerciali delle città costiere con Cipro, Creta e l’Egitto assunsero carattere regolare.

I Fenici fabbricavano vari oggetti di vetro e metallo, oltre a vasi smaltati, armi, ornamenti e gioielli; avevano il monopolio della tinta color porpora estratta dai molluschi, che abbondavano lungo le loro spiagge; le donne di Tiro erano famose per i colori sfarzosi con i quali tingevano le loro vesti. In cambio riportavano piombo, oro e ferro dalle spiagge meridionali del Mar Nero; rame, legno di cipresso e grano da Cipro; avorio dall’Africa, argento dalla Spagna, stagno dalla Britannia; e schiavi da ogni luogo.

I Fenici sono considerati oggi i più audaci navigatori e i più intraprendenti mercanti dell’antichità. Gli abitanti di Tiro e Sidone fondarono numerose altre città lungo le coste del Mediterraneo, contendendo a Greci ed Etruschi le vie del mare a Occidente: stabilirono i loro mercati a Palermo, fondarono Cagliari, Cadice e Marsiglia, occuparono la Sicilia Occidentale, la Sardegna, la Corsica e la Spagna Meridionale, Cipro, Milo e Rodi, stabilirono colonie a Malta, alle Baleari, sulla fascia costriera dell’Africa Settentrionale dalla Tripolitania all’odierno Marocco (dove importanti centri di traffici furono Leptis, Utica e Ippona), persino in Inghilterra. La più importante e ricca colonia fenicia fu Cartagine, fondata secondo la tradizione nell’814 avanti Cristo da coloni provenienti da Tiro: arrivò a essere una vera e propria superpotenza del mondo antico, dominando la Sicilia e la Sardegna, e successivamente conquistando la Spagna Meridionale; ostacolò a lungo l’espansione di Roma nel Mar Mediterraneo e fu rasa al suolo solo nel 146 avanti Cristo.

Quando gli Egizi invasero la Siria, anche la Fenicia fu sottomessa; tuttavia i Faraoni lasciarono ai Fenici una certa indipendenza e si valsero della loro capacità per rendere più attivi e più proficui i loro traffici commerciali. La Fenicia seguì le sorti dell’Egitto subendo prima l’invasione degli Hyksos e poi, nel XIII secolo avanti Cristo, quella degli Ittiti. I Fenici riacquistarono la libertà solo intorno al 1200 avanti Cristo, quando la potenza dell’Egitto, anche a causa dell’invasione dei Popoli del Mare, cominciò a decadere.

È questo il periodo in cui si viene a utilizzare una scrittura alfabetica, la cui forma delle lettere si ispira ai geroglifici egizi. Sebbene i più antichi esempi di scrittura alfabetica si trovino del Sinai (a Serabit el-Khadim, delle iscrizioni mai decifrate risalirebbero forse al 2500 avanti Cristo) e nella Siria Meridionale (a Zapouna, alcune tavolette in alfabeto semitico potrebbero risalire al XIII secolo avanti Cristo), il merito di aver diffuso l’alfabeto rimane ai Fenici. Furono le necessità del commercio a favorire questo tipo di scrittura: per mercanti che intrattenevano debiti e crediti in gran numero, bisognava escogitare una scrittura che fosse rapida da apprendere e aperta a tutti. L’alfabeto fenicio aveva 22 lettere consonanti con le quali si potevano riprodurre i suoni della bocca e che, combinate fra loro, permettevano di scrivere qualsiasi parola: erano molto più facili da mandare a mente rispetto ai geroglifici nei quali un segno riproduceva una parola intera; a tutti è chiaro che memorizzare 22 segni è più semplice e rapido, e alla portata di più persone, rispetto a doverne memorizzare migliaia, come dovevano fare gli scribi egizi. Agli inizi del I millennio, i Greci presero a prestito l’alfabeto fenicio e, scrivendo da sinistra a destra (mentre i Fenici scrivevano da destra a sinistra), rovesciarono la fronte di alcune lettere: nell’alfabeto fenicio, per esempio, la lettera «A» è «coricata» rispetto alla nostra (rappresenta, in modo stilizzato, il muso di un toro). Nonostante iscrizioni protofenicie possano esser fatte risalire al periodo tra il 1800 e il 1600 avanti Cristo a Biblo, le più antiche iscrizioni fenicie propriamente dette risalgono ai secoli XII-XI avanti Cristo: sono graffite su punte di frecce o di lance e recano una semplice dichiarazione di proprietà (del tipo: «Punta di giavellotto di Abdlabit»). È circa nel 1000 avanti Cristo che Ithobaal, Re di Biblo, fece costruire un sarcofago recante un’iscrizione che utilizzava per la prima volta l’alfabeto fenicio completo, a eccezione di due lettere. Il Re Hiram di Tiro verso il 960 avanti Cristo dedicò a uno dei suoi dèi una tazza di bronzo con una iscrizione alfabetica, e poco più di un secolo più tardi il Re Mesha di Moab fece incidere le sue glorie su una lastra di pietra in un dialetto semitico con lettere corrispondenti a quelle fenicie. Nulla ci è stato invece conservato della letteratura fenicia, che doveva comprendere opere storiche e numerosi scritti sacri (da poemi mitologici ed epici, a testi rituali e anche magici), se non schematiche iscrizioni votive o funerarie, oltre ad alcune iscrizioni ufficiali incise in località settentrionali. L’alfabeto è il maggior contributo dei Fenici, anche se non l’unico, alla nostra civiltà.

Alfabeto

Alfabeto fenicio

La A

La lettera A

All’inizio dell’XI secolo avanti Cristo, un grande pericolo si profilò da Oriente: gli Assiri, desiderosi di uno sbocco sul Mediterraneo, occuparono la città di Arado. Consapevoli del rischio che stavano correndo, i Fenici cercarono di fermare l’avanzata nemica impegnandosi a versare forti tributi: da un documento assiro dell’anno 876 avanti Cristo si apprende che gli abitanti di Tiro donarono «forti quantità di argento, di oro, di piombo, di bronzo e di avorio; 35 vasi di bronzo; alcuni vestiti dai colori vivaci e un delfino». Al tempo del Re Sargon (722-705 avanti Cristo), gli Assiri rinnovarono i loro attacchi alle città fenicie. I Fenici si allearono a Egizi ed Ebrei, ma a una a una tutte le loro città caddero in mano al nemico. Fu la fine dell’indipendenza per i Fenici del Libano. Il Re Assarhaddon distrusse Sidone e vi trovò un’immensa quantità di oro, argento, pietre preziose, avorio e tessuti; il Re Abdi Mikuti fu catturato e decapitato. Caduti poi gli Assiri sotto il dominio dei Babilonesi (VII-VI secolo avanti Cristo), anche i Fenici dovettero soggiacere ai nuovi padroni.

Nel 538 avanti Cristo il Re Persiano Ciro assoggettò l’Impero Babilonese. La Fenicia dovette passare sotto il dominio dei Persiani e fu trasformata in una satrapia, insieme alla Siria e a Cipro. Non fu un’epoca di totale decadenza, perché i Fenici, preoccupati soltanto di accrescere le loro ricchezze, conseguirono ingenti guadagni fornendo ai Persiani flotte da guerra.

Due secoli dopo, alla dominazione dell’Impero Persiano si sostituì quella dell’Impero Macedone di Alessandro Magno. Caduto l’Impero di Alessandro (323 avanti Cristo) pochi anni dopo la morte del condottiero, la Fenicia fu contesa dai suoi successori. Le città furono governate non più da Re, ma da arconti affiancati da un’assemblea. Poi, nel 64 avanti Cristo, l’intera Fenicia passò sotto il dominio dei Romani. Durante l’Impero Romano le città fenicie continuarono a esercitare le loro attività commerciali, ma sotto l’influsso della civiltà greco-latina la Fenicia andò perdendo via via la sua individualità culturale. Essa però non scomparve, ma passò ai nuovi dominatori, quasi in eredità, e contribuì a plasmare gran parte del mondo moderno.

(agosto 2023)

Tag: Simone Valtorta, Fenici, scrittura alfabetica, Antico Vicino Oriente, alfabeto fonetico, popoli semiti, Siria, Iliade, Erodoto, Fenicia, Mar Mediterraneo, Canale di Suez, circumnavigazione dell’Africa, Stella Polare, Libano, Tiro, Sidone, Arado, Berito, Biblo, Melkarth, Moloch, cedro, Cartagine, Popoli del Mare, alfabeto fenicio.