Tutankhamon
Tra ricchezze e superstizioni

Nella lunghissima storia dell’Egitto sono stati tantissimi i regnanti che in bene o in male ne hanno portato avanti il governo. Fra questi, uno è entrato prepotentemente nelle cronache attuali, sia perché la sua tomba è stata l’unica di tutte quelle finora scoperte trovata intonsa, al completo, senza tracce di trafugamenti illeciti da parte di tombaroli, sia perché il suo ritrovamento è stato circondato da un alone di mistero e di paura che non si è verificato in tutte le altre profanazioni – se così si possono chiamare gli interventi da parte degli archeologi – delle tombe di cui era stata prevista l’eternità.

Si intende parlare del Faraone Tutankhamon, prima chiamato Tutankhaton («Immagine Vivente del dio Aton», venerato nell’antico Egitto e unico dio riconosciuto dal monoteista Faraone Ekhnaton), nato nel 1341 avanti cristo ad Amarna, nome attuale della città Akhetaton, chiamata così dal Faraone suo fondatore quale capitale delle Due Terre, per mettere insieme i due poteri amministrativi e religiosi, già riservati rispettivamente alle città abbandonate di Menfi e Tebe.

Tutankhamon non è stato uno dei Faraoni importanti della storia dell’Egitto, giacché è morto giovane, per cui non ha potuto esprimere fino in fondo le sue capacità di governare un grande Paese. Succeduto al Faraone Ekhnaton nel 1333, fu il XII regnante della XVIII dinastia, ma morì prematuramente nel 1323. Le vere cause del suo decesso non sono note: c’è chi ritiene che la sua morte sia stata la conseguenza di un complotto ordito contro di lui, mentre per altri si è trattato di un’infezione che non gli lasciò scampo a seguito di una frattura a una gamba.

Governò l’Egitto solamente per nove anni, ma qualcosa di interessante è stato lasciato dal suo breve passaggio sulla terra. Ripristinò il culto politeistico, ritornando all’adorazione delle deità pecedenti, in particolare del dio Amon, in cui credeva fermamente. Per altri fatti, ci sono gli scritti dello storico e sacerdote greco del III secolo avanti Cristo Manetone. Secondo le usanze della Corte Egiziana, Tutankhamon sposò una ragazza della famiglia, cioè la sorellastra Ankhesamanon. Mentre sua è stata la scelta di riportare la capitale dell’Egitto da Amarna a Tebe. Inoltre, sua è la stele in cui fece scolpire la sua immagine in atteggiamento di venerazione del dio Amon accompagnata dalla descrizione del suo culto.

Comunque, se non fosse stato trovato integro il suo corredo funebre, la cui descrizione si diffuse rapidamente il tutto il mondo, probabilmente Tutankhamon non sarebbe entrato tanto prepotentemente nella storia del suo Paese, ma sarebbe rimasto nella selva dei tanti Faraoni che ben poco di sé hanno lasciato ai posteri.

Già dal 1902, nella Valle dei Re era in attività una serie di scavi portata avanti dall’avvocato statunitense Theodore Davis, definito eccentrico, anche perché, da ciò che si sa di lui, era più propenso a trovare tesori che a contribuire all’approfondimento della conoscenza archeologica dei siti egiziani; egli scoprì diverse tombe, giungendo a sfiorare pure quella di Tutankhamon, ma senza individuarla. In un’altra tomba trovò oggetti sicuramente appartenuti al Faraone bambino, per cui ritenne che non ci fosse più nient’altro da scoprire e che la Valle dei Re avesse già dato tutto. Questa decisione lasciò perplesso Carter che, da acerrimo avversario di Davis, ne criticò la faciloneria con cui affrontava gli scavi, senza rilevamenti preventivi, e la mancanza della stesura di relazioni consuntive su quanto aveva reperito.

La sua tomba fu scoperta durante una spedizione nella Valle del Re, presso l’attuale Luxor, dall’archeologo ed egittologo inglese Howard Carter.

Questa era stata finanziata dal V Conte di Carnarvon, un ricchissimo lord inglese, il quale era un appassionato proprietario di cavalli da corsa e per di più un amante delle macchine, che guidava spericolatamente, tanto da incappare in un incidente nei dintorni di Bad Schwalbach nell’Assia in Germania, che lasciò un segno indelebile nel suo fisico. Pertanto, essendo il conte un appassionato della storia dell’Egitto antico, volle dedicarsi a campagne di scavo che sicuramente sarebbero state molto interessanti e meno pericolose dell’automobilismo.

Così, nei primi anni del XX secolo, anche per ragioni di salute, il Lord si recò in quel Paese dove intraprese una campagna di scavi che non sortirono nessun risultato significativo, tanto che, stanco di incassare insuccessi, nel 1907 decise di affidarsi a un archeologo in possesso di esperienza, pazienza e capacità organizzativa e per individuarlo si rivolse all’archeologo francese Gaston Maspero, che non ebbe dubbi nel consigliargli Howard Carter, già impegnato in ricerche e scavi archeologici; ma i suoi lavori procedevano a rilento, poiché le difficoltà economiche non gli mancavano, per cui un mecenate gli avrebbe fatto comodo. Fu un incontro felicissimo, perché si capirono al volo e simpatizzarono tanto da diventare profondamente amici. Il conte non ebbe problemi a finanziare i lavori di Carter che iniziarono prima a Tebe, poi in altri luoghi. I risultati, consistenti nella scoperta di alcune tombe, furono positivi ma non eclatanti e poi, a causa della Prima Guerra Mondiale, gli scavi furono sospesi nel 1914 e ripresi solamente nel 1917, e questa volta nella Valle dei Re, presso l’attuale Luxor.

Qui, lo scopo dei due era quello di fare richerche puntate sul ritrovamento delle due tombe dei due Faraoni che mancavano all’appello e di cui ben poco si sapeva. Questi erano Amenothep IV, il Faraone eretico, e Tutankhamon, il Faraone bambino. Pertanto, Carnarvon si interessò per ottenere il permesso di scavare e, ottenutolo dal responsabile, l’archeologo Theodore M. Davis, si poterono iniziare gli scavi nel 1917.

Ma le cose andarono diversamente da quanto sperato, tanto che, nell’estate del 1922, Lord Carnarvon, avvilito perché non riuscivano a cavare un ragno dal buco, fu sul punto di sospendere il tutto per far cessare quell’inutile impresa mangiasoldi senza vedere risultati di un certo interesse. Contro questa drastica decisione si oppose l’entusiasmo ancora esuberante di Carter, certo che i suoi scavi avrebbero trovato quanto si stava da anni cercando, allargando le ricerche a quella parte dell’area di intervento di cui, pur avendola saggiata in precedenza, non aveva approfondito la conoscenza in modo tale da poter dire che là non c’era nulla di interessante. Lord Carnarvon, per non dar dispiacere all’amico, gli concesse un’ultima possibilità: «Bene, ti concedo un’ultima stagione di scavi e poi, se del caso, tutto finisce lì!»

Così Carter, galvanizzato dalla possibilità di continuare le sue ricerche, il 1° novembre 1922 fece spostare l’attività di scavo presso la tomba del Faraone Ramses VI, che governò l’Egitto dal 1145 al 1136 avanti Cristo, e il 3 novembre riprese alacremente i lavori. Quasi a dimostrazione che la sua fiducia era ben riposta, il giorno successivo alla loro ripresa, fu scoperto un gradino. Naturalmente, l’euforia non consentì indugi e presto una scalinata, dopo migliaia di anni di buio assoluto, rivide la luce del sole; questa scendeva a fianco della tomba di Ramses VI e si fermava davanti alla porta di un’altra tomba. E ciò che soprese Carter e i suoi collaboratori fu la presenza sulla maniglia del sigillo di corda, postovi dai sacerdoti egiziani al momento della chiusura della tomba, che era ancora allo stato integro, e questo stava a significare che questa non era mai stata violata. Un’altra versione riporta che, al contrario, i sigilli fossero rotti, ma che chi aveva fatto il danno non era andato oltre, forse perché la tomba era piccola e, non presentandosi promettente, non destava interesse alcuno. Fra le varie ipotesi, c’è pure quella che i tentativi di furto siano stati due, il primo subito dopo la sepoltura del Faraone e l’altro successivamente, ma solamente nella stanza che precede quella contenente i suoi resti. Però, alla fine, ciò che conta è che il sepolcro di Tutankhamon non fosse stato toccato da nessuno.

A questo punto, Carter comunicò quanto aveva scoperto al Lord, che era in Europa per affari suoi, e ne attese il ritorno, per aprire alla sua presenza quella porta che, come detto, prometteva interessanti sorprese, non essendo mai stata aperta dalla sua antica sigillatura.

Il ritorno di Carnarvon avvenne nel minor tempo possibile, e il 28 novembre insieme si recarono dove i lavori momentaneamente erano stati sospesi, e abbatterono la porta, che si apriva in una stanza vuota; ma avanzando se ne trovarono di fronte un’altra, e qui era il giunto il momento giusto per scoprire qualcosa di importante, qualora ci fosse stato.

Carter, con il conte che non ne perdeva una mossa, iniziò con delicatezza a lavorare sulla porta con un trapano a mano, finché un foro fu aperto verso il buio del vuoto. Usando un lume, egli diede una sbirciatina all’interno e, sbiancando in volto, quasi trasecolò nel vedere ciò che, seppur vagamente, gli si parava sotto gli occhi. Carnarvon, inteso che qualcosa al di fuori della norma avesse colpito Carter, gli chiese se riuscisse a vedere qualcosa e la sua risposta fu che, sì, vedeva qualcosa, qualcosa di meraviglioso: oro, oro, ovunque lo scintillio dell’oro, che saturava l’ambiente! E Carter si spostò, affinché anche l’amico finanziatore potesse godere, pur solo con un’occhiatina attraverso il foro, della vista di ciò che in piccola parte si riusciva più a intuire che a distinguere all’interno del sepolcro.

Elettrizzati da quella visione eccezionale, ma con Carter che teneva per le briglie lo scalpitante Carnarvon, aprirono completamente l’ingresso del sepolcro senza combinar danni, e si trovarono in una stanza in cui dominava una confusione estrema di migliaia di oggetti, sicuramente affastellati in fretta e furia, come se non ci fosse stato il tempo necessario per sistemarli a dovere. Stando al competente parere dell’egittologa Loredana Sist, che è stata docente di Egittologia presso l’Università La Sapienza di Roma, è stato proprio così: la tomba di Tutankhamon è stata sistemata, o forse sarebbe meglio dire raffazzonata, giacché nessuno si aspettava che un Faraone tanto giovane potesse morire all’improvviso, per cui si doveva sistemare il tutto in maniera rapida; anzi, a questo proposito, ha aggiunto il dubbio che non è da escludere la possibilità che la tomba, invece di essere stata scavata espressamente per lui, sia stata il recupero di quella di qualcun altro, magari di Nefertiti, morta già da qualche anno; per cui, per fare presto, l’abbiano rapidamente riempita con tutta quanta la roba che avevano a disposizione, abbiano richiuso nei sarcofagi Tutankhamon e, frettolosamente, abbiano chiuso le vie d’accesso fra i due sepolcri, sigillandole e nascondendole perfettamente.

Del resto, il tempo per allestire un sepolcro non previsto nell’immediato di tutto quanto doveva accompagnare il personaggio nell’aldilà erano i 70 giorni necessari agli imbalsamatori per preparare la mummia, cessati i quali era indispensabile darsi una mossa. Però, c’è da dire che tutto quanto era necessario al Faraone per affrontare la sua vita ultraterrena era stato fornito.

Che la scoperta di quella tomba sia stato il più grande risultato di ricerche e scavi archeologici del ’900, e non solo, è al di fuori di ogni discussione, anche perché fu offerta agli studiosi la possibilità di avere sotto mano oggetti di cui magari si sapeva qualcosa da documenti del passato, ma che non erano stati mai materialmente disponibili, dovendo in tal modo parlarne quasi per sentito dire e nulla più; e ciò si dice non tanto per esprimere l’ammirazione per la ricchezza del contenuto, perché certamente a tutti i Faraoni erano predisposte sepolture reali, bensì perché era una novità: una tomba faraonica intonsa. E si potrebbe aggiungere che la fama imperitura di Tutankhamon è dovuta proprio a questo fatto, altrimenti anche lui sarebbe rimasto nella pressochè anonima caterva di Faraoni che ben poco hanno lasciato di sé e del loro operato.

Da quell’istante, Carter volle che si procedesse piano piano, con attenzione e circospezione, per non commettere errori irreparabili; questo a tal punto che per raccogliere, catalogare e mettere al sicuro tutto quanto era contenuto in quella stanza fu necessario parecchio tempo, come lo dimostra il fatto che solamente a febbraio del 1923 si raggiunsero i sarcofagi, mentre bisognò attendere il 1925 per vedere la mummia, che purtroppo il conte non potè vedere, essendo morto prima; e solamente nel 1930 si potè dire che tutto quanto il corredo funebre di Tutankhamon era stato asportato e sistemato.

D’altra parte, per fare le cose per bene, con l’accurata e minuziosa catalogazione e l’attenta rimozione dell’intero contenuto della tomba, il tempo non è mai troppo.

Le pareti della stanza erano adornate da affreschi, quasi certamente dipinti al momento.

Alla fine, all’interno del sepolcro si trovarono più di 5.000 (qualcuno ha precisato 5.398) reperti preziosi, che erano un assortimento di quanto di più bello e prezioso si poteva incontrare nell’antico Egitto: gioielli, utensili, statue di dèi, persone e animali, armi, letti, catafalchi, un trono, vasi canopi, cioè quelli contenenti gli organi del defunto, e tanto altro ancora. Fra gli oggetti rinvenuti, molti sono appartenuti a parenti di Tutankhamon, proprio perché è mancato il tempo materiale per preparare cose personali; fra questi, non mancavano braccialetti in ceramica dipinta o smaltata con il nome del precedente proprietario (Akhenaton o Nefertiti) e tavolette con i nomi delle sue sorellastre e altro ancora. Fra l’altro, furono rinvenuti anche 130 bastoni da passeggio, forse perché il Faraone aveva difficoltà di deambulazione. Furono trovate all’interno dell’avello anche tre mummie, di cui due, entro piccoli sarcofagi, si presume fossero i feti delle figlie del Faraone, e l’altra della moglie.

E se questo era il corredo funerario di un Faraone scomparso anzitempo, quale poteva essere quello di un Faraone che, morto in tarda età, aveva avuto tutta la vita per accumulare ciò che doveva accompagnarlo nell’eternità? Quesito purtroppo senza risposta, perché tutte le tombe trovate nella Valle dei Re, esattamente 61, a parte le decorazioni sulle pareti dei locali, erano tutte miseramente vuote; si potrebbe aggiungere che, qualora al momento dei furti fosse già stato inventato lo strappo degli affreschi, forse i saccheggiatori si saebbero portati via anche questi.

Per quanto attiene ai sarcofagi, questi erano quattro, a formare un sepolcro che qualcuno, in modo azzeccato, ha definito «matrioska», cioè ha fatto riferimento all’insieme di bambole russe di diverse dimensioni, in cui ogni elemento si può inserire dentro quello di dimensioni immediatamente superiori. E la similitudine è giustificata dal fatto che, per raggiungere la mummia, si sono dovuti aprire tre sarcofagi, l’uno dentro l’altro, prima di trovare il quarto, d’oro massiccio per 110 chilogrammi di peso, contenuto nel terzo, dentro il quale si trovava adagiata la mummia.

Il corpo del Faraone era ricoperto di gioielli e amuleti, mentre il viso era nascosto da una maschera funeraria d’oro e lapislazzuli la cui bellezza e sontuosità lasciarono senza fiato i presenti all’operazione. E non sembra trascurabile una breve descrizione di quel bellissimo oggetto, forse il più importante reperito nelle lunghe ricerche ed escavazioni archeologiche dell’Egitto, atto a nascondere il triste aspetto di un viso incartapecorito che, dopo più di 3.000 anni, era sotto gli occhi dei «profanatori» del suo riposo eterno.

Maschera funeraria di Tutankhamon

Maschera funeraria di Tutankhamon, Museo Egizio, Il Cairo (Egitto)

A questo proposito, è stato riscontrato il cattivo stato di conservazione della mummia, pur essendo essa rimasta tranquilla per oltre 3.000 anni; si è riconosciuto che ciò fu dovuto alle reazioni chimiche intervenute sugli oli che abbondantemente avevano intriso le bende con cui il corpo fu avvolto, con il risultato di una lentissima autocombustione dei tessuti corporei del Faraone; per di più si è riscontrata una cattiva manovra effettuata dal dottor Duoglas Derry, nell’estrarre la mummia dal suo sarcofago.

Sui capelli era un copricapo trapezoidale, detto «nemes», in stoffa con strisce blu e oro, con le insegne reali del cobra e dell’avvoltoio, che simboleggiano l’Alto e il Basso Egitto; il tutto a significare che il personaggio che lo indossava era di natura divina, mentre una barba d’oro del peso di 2,5 chilogrammi, ornata da una treccia di lapislazzuli, stava vicino al mento, dal quale si era distaccata. Stranamente, i lobi sono bucati, quando in Egitto solamente le donne e i bambini li avevano.

La maschera, formata dall’unione di otto pezzi, è lunga 54 centimetri, larga 39,3 e profonda 49, ed è costituita da tre tre strati di lamina d’oro da 1,5 a 3 millimetri per un peso totale di 10,23 chilogrammmi; l’oro del volto è di 18,4 carati, mentre quello della parte restante è di 22,5 carati. Nella lamina d’oro del volto e del pettorale sono presenti vetri colorati e pietre preziose, fra cui lapislazzuli, quarzo, corniola, ossidiana, amazzonite e altre ancora. Molto significativo è il fatto che i tratti del volto corrispondano proprio a quelli di Tutankhamon, com’è stato possibile verificare esaminando sue statue esistenti e pure confrontandoli con quelli delle statue di due personaggi a grandezza naturale posti a guardia della camera funeraria.

Era presente una collana di tre giri d’oro e dischetti di ceramica blu, il tutto terminante con un fiore di loto e fermagli a forma di cobra. Nelle bende, a fianco del corpo erano due pugnali, di cui uno veramente prezioso, forse più dell’oro, per quei tempi: in effetti, si trattava del cosiddetto «ferro del Cielo», cioè una lega di ferro e nichel ottenuta da un meteorite.

E un’altra cosa eccezionale era il pettorale. Questo, oltre alla ricchezza e alla fastosità, recava al centro un’altra pietra, di colore fra il giallo e il verde, a forma di scarabeo, al di fuori della norma. Inizialmente, si pensò che fosse calcedonio, sotto forma vetrosa e non cristallina. Ma a seguito di una spedizione scientifica italiana nel deserto egiziano fra Egitto e Libia con lo scopo di individuare un giacimento di una pietra particolare, nota già nella preistoria, chiamata in italiano Vetro Siliceo del Deserto Libico, volgarmente Pietra Verde, ebbene, si ritiene che proprio di questa pietra sia costituito lo scarabeo. Non è chiara la genesi della sua formazione, che si appoggia su ipotesi diverse, di cui una propende per un fatto avvenuto non meno di 28 milioni di anni fa. Ma ciò che interessa è che per gli Egiziani era preziosa, ritenendola caduta dal cielo come dono degli dèi.

Quando Carnarvon, in qualità di finanziatore di tutta la campagna archeologica che ha portato alla scoperta della tomba di Tutankhamon, espresse il desiderio di appropriarsi di gran parte di quanto si era trovato, si scontrò con la netta opposizione di Carter, che era dell’avviso – secondo me corretto – che il tutto era di proprietà dello Stato di appartenenza del territorio. E così, il tutto è finito nel Museo Egizio del Cairo, dove occupa un intero piano, a disposizione della curioità e della cultura dell’intero globo terracqueo.

Per inciso, si può aggiungere una considerazione che una volta in più tende a mettere in evidenza la competenza e la serietà professionale di Carter, che si spostava con i piedi di piombo, facendo solamente i passi ritenuti necessari, per non rovinare il seguito e ciò tanto che non si è giunti definitivamente a chiudere la partita, come lo dimostra il fatto che continuano le ricerche con il georadar per stabilire se ci possano essere anche altre cavità sotterranee finora sfuggite a ogni ricerca.

Dopo aver sommariamente descritto quanto è uscito dal sepolcro di Tutankhamon, non si può lasciare passare in cavalleria tutto quanto, fra dicerie, cattiverie, ipotesi centrate o sballate, superstizioni, paure, morti e chi più ne ha, più ne metta, ha accompagnato i lavori oscurando la limpidità del percorso.

Per avviare il discorso, sembra opportuno iniziare da quanto si dice in merito alla maledizione di Tutankhamon.

Infatti, si disse che all’ingressso della tomba era stata trovata una tavoletta sulla quale era scolpita un’iscrizione a geroglifici che recitava: «La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del Faraone». Ma, da come si sono svolti i fatti, c’è da ritenere che i lavoratori, mostrando il loro scetticismo, l’abbiano del tutto ignorata.

Però, sembra assolutamente accertato che di una «bufala» si è trattato, una bufala inventata dalla stampa per reazione sia alle striminzite notizie che uscivano dalle operazioni di scavo, sia per la lentezza con la quale queste procedevano e sia soprattutto perché Lord Carnarvon, per rifarsi parzialmente del denaro speso nell’impresa, aveva concesso al quotidiano «Times» di Londra l’esclusiva mondiale per tutto quanto concerneva la tomba, tagliando fuori tutti gli altri quotidiani di allora, avviando così una campagna contro la scoperta, che sfociò nella famosa maledizione; e il guaio sta nel fatto che molti l’accettarono come buona. E tanti cominciarono a ragionare su quelle 26 persone che erano state presenti all’apertura della tomba e delle 22 che hanno assistito all’apertura del sarcofago e sono morte dopo questi fatti.

L’unica morte che sarebbe potuta essere sospetta era quella di Lord Carnarvon, ma fu dimostrato che con Tutakhamon non aveva nulla a che fare. Infatti, alcuni mesi dopo la scoperta, nel 1923, un insetto punse il suo fisico debilitato dall’incidente d’auto avvenuto nel 1901 mettendolo a dura prova, oltretutto in un clima caldo e umido come quello del deserto egiziano; poi, rasandosi, fece sanguinare la ferita, che trattò immediatamente con tintura di iodio senza riuscire, però, a fermare l’infezione, che lo costrinse a una lunga degenza durante la quale alla sopraggiunta febbre altissima si associò la polmonite, che non concesse scampo: così, dopo una lunga e straziante sofferenza, Lord Carnarvon lasciò questa valle di lacrime il 5 aprile 1923 nella città del Cairo.

Per gli altri, valutandone attentamente le età del commiato definitivo, si potrebbe affermare che il tutto ricade nella normalità, perché è quanto può accadere a tutte le persone del mondo: c’è chi riesce a raggiungere la tarda età, e non lo sa neppure lui come, e chi non ce la fa, e deve cedere quando è ancora giovane; del resto anche in questo caso assume la sua validità il detto: «Fra i giovani, qualcuno può morire, mentre dei vecchi non ne scampa uno!»

(luglio 2023)

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