L’alter ego di Indiana Jones e l’esploratore Giovanni Miani
Quando i cunicoli del Tempio diventarono una sfida politica

Provate a immaginare di incontrare sulla vostra strada nelle ricerche risorgimentali intraprese il personaggio più esilarante all’epoca in circolazione, un cattolico-liberale che ricorda da vicino René Belloq e il suo antagonista Indiana Jones; ma soprattutto un cattolico-liberale di estrazione repubblicana al punto che, smessi i panni di sostenitore di Napoleone III (era cittadino francese e conosceva il Bonaparte verosimilmente per ragioni familiari), divenne Comunardo e continuò felicemente la sua vita a Parigi sotto il nuovo Governo Repubblicano Francese. Non disdegnando mai l’Italia, sua patria di nascita, ormai divenuta Regno d’Italia.

Alcune domande è assolutamente necessario, viste le circostanze, porsele. Una su tutte: perché il nostro, al secolo Ermete Pierotti, avrebbe dovuto finanziare in Palestina, come risulta dai documenti, l’esploratore Miani, personaggio importante per le gesta italiche del momento, che voleva scoprire le fonti del Nilo, esploratore appartenente alla nomenclatura veneta? Per poi scontrarsi con lui, che farà di tutto per rovinare la reputazione dell’Ingegnere Ermete, suo ex finanziatore.

Giovanni Miani voleva farsi interprete di uno Stato nuovo, quello italiano, che sicuramente avrebbe desiderato metter mano a quei luoghi medio orientali che tanto attirarono tutte le potenze del periodo.

Era davvero Giovanni Miani l’interprete di tali bisogni? Ed Ermete Pierotti, l’Ingegnere, davvero rappresentava la Francia nei suoi più nascosti anfratti?

Una pubblicazione che ho rintracciato in rete può davvero aprire scenari inconsueti.

Un intellettuale barese, Giuseppe Petraglione, scrisse nel secolo scorso un libro[1] che si occupava delle vicende di Giuseppe Mazzini nel fatidico 1870. La situazione in Francia stava cambiando, Napoleone III si accingeva a perdere il suo potere. E in Italia l’allora Primo Ministro e «ad interim» anche Ministro dell’Interno Giovanni Lanza decise di levar di mezzo l’ingombrante Giuseppe Mazzini, rinvigorito nelle sue gesta grazie a questi movimenti politici in atto. Giuseppe Mazzini, approfittando della confusione del momento, decise di raggiungere la Sicilia e da qui di muoversi per poter scardinare a Roma il potere costituito, anticipando le mosse del Governo Italiano. Ma Giovanni Lanza lo fece arrestare in uno di questi suoi rocamboleschi spostamenti e lo inviò a Gaeta, in una prigionia che durò circa tre mesi, a partire dall’agosto del 1870.

Il carceriere di Mazzini fu il capitano Camillo Gaetano Perotti, che qui prestava servizio. Originario di Ivrea, proveniente da una famiglia definita possidente, era nato nel 1823. Dopo aver fatto carriera nell’esercito sabaudo, aveva sposato una contessa barese appartenente alla locale famiglia Miani, e con lei aveva formato la sua famiglia. Quando gli fu affidato Giuseppe Mazzini, lo storico Petraglione descrive la grande amicizia che si creò tra i due, e anche con la consorte del Perotti, al punto che, una volta che tre mesi dopo Mazzini fu liberato e sotto falso nome si recò in Svizzera, continuò a intrattenere rapporti epistolari con il Perotti. Quest’ultimo, ritenuto troppo vicino a Mazzini, venne destituito dall’incarico e si ritirò a Bari dove si trovava la famiglia della moglie, e qui continuò tranquillamente il suo percorso di vita, ricoprendo anche cariche pubbliche. La cosa ha un che di stupefacente.

Intanto il capitano dovette essere particolarmente sprovveduto, oppure non teneva minimamente al suo incarico, se con Giuseppe Mazzini ebbe tanta familiarità. In definitiva pare, da questo racconto prodotto, che il Perotti abbia buttato a mare la sua carriera nell’esercito per sostenere Giuseppe Mazzini, quanto meno spiritualmente durante la prigionia. E sua moglie, la contessa Miani, dovette anche lei essere piuttosto sprovveduta se mise a rischio la carriera del marito, a meno che entrambi non avessero già deciso di lasciar perdere con la carriera militare e l’incarico a Gaeta del capitano.

Qualcosa non convince in tale narrazione. Ciò che mi ha particolarmente colpita è stato il fatto che un contemporaneo di Ermete Pierotti, anche lui un capitano dell’esercito sabaudo come il nostro, che aveva familiarità col Piemonte, potesse aver sposato una contessa Miani di Bari. Proprio quando Ermete finanziava il celebre Miani, quest’ultimo veneto, nelle sue peregrinazioni in Terra Santa. Chi serviva chi?

Potremmo obiettare che tra le due vicende non esistono correlazioni. Eppure qualcosa non convince. L’esploratore Miani, veneto, era figlio di una Miani che viene descritta dalla storiografia come una domestica del nobile veneziano Bragadin, il quale la sposò e adottò il di lei figlio minore. Eppure i fratelli della Miani madre dell’esploratore, zii dello stesso, erano importanti personaggi che ricoprirono incarichi di rilievo. Un celebre architetto e un secondo che fu padre del Generale Miani. Stano assai che una umile serva avesse fratelli così acculturati e di grido. A ciò si aggiunga il matrimonio col potente Bragadin. C’era una qualche correlazione con i Miani baresi? Non sono in grado di dirlo. Mentre non possiamo non notare come i fratelli Bandiera, celebri mazziniani fondatori della Loggia Massonica Esperia che morirono nel 1844 dopo una sfortunata impresa, si richiamassero proprio a quel Marcantonio Bragadin che nel Cinquecento fu per i Veneziani un eroe. Il Miani e il padre adottivo Bragadin erano vicini alle Logge Mazziniane?

Perotti e Pierotti sono due cognomi vicini e spesso nelle pubblicazioni li troviamo accostati, se non altro per vizio di forma. Si tratta di congetture, ma a pensar male si fa peccato e a volte si azzecca. Ermete Pierotti, che indubitabilmente da Parigino serviva la causa napoleonica, dopo la disfatta di Sedan divenne un Comunardo, dunque un repubblicano convinto e di successo. Sempre a Parigi.

Anche il capitano Camillo Gaetano, suo quasi omonimo, una qualche simpatia con la causa repubblicana, vista la cordiale disposizione d’animo verso Giuseppe Mazzini, avrebbe dovuto averla. Azzardo alcune ipotesi.

Giuseppe Mazzini era personaggio ingombrante per la Monarchia Sabauda. Ma naturalmente molti erano stati i compromessi tra la stessa e le frange mazziniane nella prima metà del XIX secolo, come i miei studi risorgimentali attestano.[2] Carlo Alberto e successivamente suo figlio, il futuro Vittorio Emanuele II, appaiono in sordina coinvolti con tali frange mazziniane, che ufficialmente combattevano. Giuseppe Mazzini sia per la dinastia che per gli Italiani tutti restava, anche per chi era di parte avversa, un simbolo, non solo un pericolo sul piano politico.

Il capitano Camillo Gaetano Perotti non si trovò nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Giovanni Lanza sapeva che l’unica persona che poteva davvero offrire una via d’uscita a Mazzini nella sua prigionia, nel rinfrancarlo, e rendergliela più gradevole era un personaggio in quel momento presente a Gaeta e che avrebbe potuto avere avuto, visti i suoi trascorsi nell’esercito sardo, simpatie repubblicane anche in passato. Oppure particolari apparentamenti.

Lo stesso comportamento di sua moglie, la contessa Miani di Bari, starebbe a testimoniarlo. I due coniugi e lo stesso Lanza potevano essere in accordo. Probabilmente era comune desiderio che il capitano Camillo Gaetano Perotti lasciasse l’esercito e si ritirasse a Bari, «sacrificando» una carriera militare magari in cambio di favori.

Famiglia piemontese, la sua, di estrazione cattolico-liberale, in qualche modo coinvolta nelle vicende? Il Miani veneto era a servizio della Causa Sabauda negli anni Cinquanta e Sessanta del XIX secolo in Palestina, perché non si trattava solo di desiderio di gloria e di conoscenza il suo, nel voler scoprire le sorgenti del fiume Nilo, non disdegnando il Tempio di Gerusalemme.

Se Ermete Pierotti si propose di finanziarlo e poi non lo fece più, e se è vero che i contatti con la Francia napoleonica dello stesso Ermete Pierotti erano così corposi, non possiamo pensare che non si trattasse di interessi comuni. Almeno fino a quando Ermete non si legò in qualche modo a logiche politiche diverse da quelle del Miani. E i repubblicani, e Giuseppe Mazzini, cosa possono aver significato in tutto questo?

La condizione politica italiana era parecchio in bilico. Nessuno in Europa pensava che lo Stivale avrebbe superato gli scossoni politici del momento. Casa Savoia non era poi così forte come Casata e ottenne la possibilità di unire il Paese in «corner». Giuseppe Mazzini e il repubblicanesimo rimanevano sì un’utopia politica, ma pur sempre in pista. Pensiamo a quanto è accaduto durante la Repubblica Romana nel 1848-1849.

Mazzini ricevette a Roma il Generale Avezzana come Ministro della Guerra dopo che questi aveva avuto rocamboleschi spostamenti, prima da una fregata inglese da Genova a Livorno, poi passando a un fregantino americano e raggiungendo indisturbato Civitavecchia. E da qui Roma grazie a un Giuseppe Binda Console Americano a Livorno che controllava la marina e chiuse un occhio e anche tutti e due nel caso di Avezzana, anche se la storiografia racconta altro. Ma ho rintracciato una pubblicazione del 1912 che smentisce l’ufficialità dei fatti.[3]

La cosa potrebbe non stupire. Giuseppe Binda era cittadino americano, faceva gli interessi di uno Stato Repubblicano come erano gli Stati Uniti, peraltro già molto coinvolti nel Mar Mediterraneo e nello specifico nella piazza livornese. Binda era legato ai patrioti toscani, anche di stampo mazziniano, come traspare dai documenti. Poteva non tifare per la Repubblica Romana?

Mazzini era davvero considerato solo un ingombro? Forse per la storiografia dopo il 1861, ma antecedentemente? E anche dopo l’Unità Nazionale e fino al 1870, quando il Papa Re era ancora sul suo trono romano, la Monarchia Sabauda appariva fragile fragile in Patria e fuori, Giuseppe Mazzini aveva ancora qualche carta da giocare?

Giovanni Lanza non poteva permettersi la presenza ingombrante di Giuseppe Mazzini, ma doveva far buon viso a cattivo gioco. Mazzini riparò ancora una volta in Svizzera mentre a Parigi le truppe napoleoniche avevano lasciato spazio a quella che fu la Comune parigina. Dove l’ex capitano Ermete Pierotti si inserì benissimo, forse altrettanto bene quanto negli anni precedenti, quando finanziava quel Miani esploratore in Palestina. Magari con qualche apparentamento barese. Difficile dirlo ma legittimo pensarlo. I cugini di Ermete ben conoscevano Giuseppe Binda. Non saprei dire se erano in comunione anche col capitano Perotti e i Miani, baresi piuttosto che veneti.

Ciò potrebbe ulteriormente giustificare la totale libertà d’azione di Ermete a Parigi, in ogni momento della sua esistenza, e alcuni passaggi politici non così decifrabili, suoi e nello specifico anche del colonnello Perotti. I cattolici-liberali rimasero a lungo in pista, anche quelli che come Ermete volevano la fine del potere temporale dei Papi. E che a lungo nel Primo Risorgimento avevano collaborato anche con Giuseppe Mazzini. Anche in quel 1870?


Note

1 G. Petraglione, Momenti e figure di storia pugliese («Mazzini e il colonnello Perotti», pagina 87 e seguenti, Galatina 1950.

2 Vedere pubblicazioni in rete alla voce «Risorgimento» sul sito www.storico.org, e ancora su A Viva Voce, sito di Canino che tratta Luciano Bonaparte, su Il sud on line e il Circolo culturale L’Agorà di Reggio Calabria, on line. E ancora in appendice alla pubblicazione del Dottor Giulio Quirico su Michele Parma, edizione Ladolfi 2020, Novara, che ho avuto modo di pubblicare.

3 Antonino d’Alia, Giuseppe Avezzana, Società editrice italiana 1940.

(settembre 2023)

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