Cavour e la Chiesa
La posizione e l’opera del Ministro Piemontese (spesso ambigue) per la nascita della Nazione Italiana e la riforma della Chiesa

Il Risorgimento ha rappresentato per molti Cattolici Italiani un avvenimento ambivalente tra chi ha visto in esso un attacco frontale allo Stato e all’ideologia della Chiesa, e chi, invece, vi ha intravisto il desiderio di alcuni sinceri fedeli di voler riformate il Cattolicesimo ponendo fine al potere temporale del Papato (una scelta che, come riconosceranno anche i Pontefici del secolo successivo, fu un bene per la Chiesa). Nella riunificazione della Penisola Italiana ebbe infatti un ruolo importante la corrente dei «Cattolici “giuseppinisti” o giurisdizionalisti vale a dire convinti, come l’Imperatore d’Austria Giuseppe II e i principi illuminati del Settecento, che lo Stato avesse il diritto di regolare gli affari ecclesiastici e impedire alla Chiesa d’interferire nell’esercizio del potere civile»[1]; e una figura di questo genere la si può inquadrare nel «Tessitore dell’Italia Unita», Camillo Benso, conte di Cavour.

Il Ministro Piemontese fu difatti un convinto assertore della tolleranza religiosa e della separazione tra Chiesa e Stato (non a caso il suo motto fu «libera Chiesa in libero Stato»); anche se in certe occasioni venne meno al suo principio in quanto si mostrò intenzionato ad imporre una drastica riduzione al numero delle diocesi e ad assicurare al Governo un potere di veto in materia di nomina pontificia dei Vescovi, e persino sulla scelta fatta dal Sacro Collegio quando fosse giunto il momento di eleggere un nuovo Papa[2]. Le politiche adottate dal Ministro Piemontese verso la Chiesa furono importanti perché marcarono profondamente l’atteggiamento tra lo Stato Pontificio e il Regno di Sardegna.

I rapporti tra il Regno Sabaudo e il Papa Pio IX erano già tesi a causa della promulgazione delle leggi di laicizzazione emanate dal conte Giuseppe Siccardi, ma peggiorarono ulteriormente quando Cavour, verso la fine del 1854, progettò di sciogliere gli Ordini religiosi (legge Rattazzi) che non si dedicassero all’insegnamento o all’assistenza. In precedenza, il Ministro si era dichiarato contrario all’esproprio dei monasteri, ma a mutargli parere giocarono motivi sia economici (ridurre le spese dello Stato) che politici (la ripresa dell’indirizzo anticlericale avrebbe consolidato il «connubio» con i seguaci di Urbano Rattazzi). La sua fu una battaglia politica molto dura in quanto non solo questo provvedimento incontrò lo sfavore di una larga fetta della società (come dimostrato dalle chiese affollate di fedeli in preghiera per la salvezza dei conventi o dalle circa 100.000 firme raccolte per protesta contro queste leggi), ma trovò oppositori anche all’interno del Parlamento e della stessa Corte. Proprio Vittorio Emanuele II si fece promotore di un’iniziativa volta a bloccare la soppressione dei conventi: in combutta con il Vescovo di Casale Monferato, Monsignor Luigi Nazari di Calabiana, pose sul tavolo la proposta che i Vescovi pagassero loro stessi le circa 900.000 lire annue che lo Stato donava a quegli Ordini religiosi in cambio della sospensione della legge. Il Ministro Piemontese intuendo però le manovre del Sovrano diede le dimissioni seguito anche dai suoi Ministri in segno di protesta, e non avendo la possibilità di nominare un nuovo Governo, Vittorio Emanuele II dovette richiamare Cavour al potere, e così la legge che scioglieva gli Ordini religiosi venne approvata. Il Papa per protesta lanciò la scomunica contro chiunque firmasse o votasse la legge, senza però che questa riuscisse ad ottenere alcun reale effetto. La battaglia politica si concluse perciò con la vittoria di Cavour, anche se questi confidò nel maggio 1855 al conte Minghetti che «finita questa legge dell’abolizione dei conventi, io non toccherò mai più simili materie; preferirei non solo uscire dal Governo, ma andarmene negli Stati Uniti»[3].

Camillo Benso dovette però confrontarsi con l’opposizione clericale anche negli anni successivi. Le elezioni del 1857 videro difatti l’avanzata della Destra che conquistò un ampio margine di voti dovuti sopratutto al malcontento provocato dallo scioglimento dei monasteri, e dall’aumento delle tasse imposto dalla Guerra di Crimea. Intimorito da questo risultato Cavour, con una procedura da lui introdotta, annullò l’elezione di numerosi ecclesiastici e, con il pretesto che il clero aveva influenzato il voto con delle «pressioni spirituali», il Parlamento fu impegnato nell’esame dello svolgimento delle operazioni elettorali, provvedendo ad escludere molti altri deputati sulla base di scorrettezze elettorali (cosa che permise ai liberali di prendere diversi seggi nelle successive elezioni effettuate per ricoprire i posti rimessi in palio). Questo metodo trovò la disapprovazione di alcuni deputati liberali (considerato anche il fatto che lo stesso Governo non era esente da metodi scorretti per raccogliere voti), ma l’estrema Sinistra appoggiò in quella occasione il Centro anticlericale, contribuendo così al risultato voluto da Cavour.[4]

Lo scontro con il Governo Pontificio riprese con la Seconda Guerra d’Indipendenza. Gli «Accordi di Plombieres» prevedevano un’Italia con tre Regni, oltre allo Stato della Chiesa che sarebbe stato ridimensionato al solo Lazio, anche se il Papa sarebbe stato il Presidente della Confederazione dei nuovi Stati Italiani. Tuttavia, il susseguirsi degli avvenimenti del conflitto mutò radicalmente questa prospettiva: dopo la battaglia di Magenta e la partenza degli Austriaci scoppiarono insurrezioni nelle città dell’Italia Centrale compresi alcuni territori dello Stato Pontificio come la Romagna. Nel corso della guerra, si formarono in queste regioni dei Governi provvisori che chiesero l’annessione al Piemonte (cosa che accadde dopo la fine della guerra). L’unione della Romagna però provocò un altro conflitto con la Chiesa in quanto Pio IX rispose di nuovo con l’arma della scomunica, che anche stavolta non ebbe alcun tangibile effetto. L’assetto territoriale dello Stato Pontificio avrebbe, però, subito da lì a breve tempo un ulteriore cambiamento.

Nonostante Cavour avesse definito negli anni precedenti una «corbelleria» l’Unità d’Italia, dopo i successi della guerra l’idea non sembrava più essere così utopistica, e ciò contribuirà a dare avvio alla «Spedizione dei Mille». Nei confronti della missione di Giuseppe Garibaldi, il Ministro Piemontese assunse un atteggiamento ambivalente mostrandosi ufficialmente contrario all’impresa per timore delle Potenze Europee; ma non facendo praticamente nulla per impedirla, fornendo anzi un appoggio logistico alla spedizione[5]. Dopo i successi garibaldini, Cavour deciderà di riprendere la guida del movimento nazionale anche per evitare che si potessero diffondere moti rivoluzionari: con una mossa astuta, riuscì ad ottenere da Napoleone III il permesso di invadere lo Stato Pontificio con il pretesto di fermare Garibaldi, in modo da impedire a quest’ultimo di marciare su Roma; e il Regno di Sardegna otterrà così anche le Marche e l’Umbria. Dopo che il Generale Nizzardo cederà le sue conquiste a Vittorio Emanuele II, verrà infine inaugurato il Regno d’Italia. La legislazione anticlericale del Governo Sardo venne estesa a tutti i territori conquistati, e questo significò la soppressione di molti Ordini religiosi con il conseguente incameramento dei loro beni. Questo provvedimento fu uno degli errori che la classe dirigente fece nel Sud (anche se è errata l’immagine di un Meridione prospero e ricco che hanno tratteggiato alcuni scrittori anti risorgimentali) perché questo ignorava l’opera di beneficenza che praticavano molti monasteri, e l’opinione di una popolazione molto religiosa[6].

Cavour aveva parlato della fine del potere temporale del Papato come di «uno dei fatti più gloriosi e più fecondi della storia dell’umanità» ma, a differenza di Garibaldi (che sarebbe stato felice di vedere il Papa lasciare l’Italia), intendeva giungere ad un accordo con la Chiesa, cosciente di quanto sarebbe stato importante per il Paese. Nell’ultimo periodo della sua vita lo statista, con il consenso dell’Imperatore Francese che voleva ritirare le sue truppe da Roma, diede avvio a delle trattative con il Vaticano volte a distruggere gli ultimi residui del potere temporale. Napoleone III propose un progetto che prevedeva la consegna delle Marche, dell’Umbria e anche dell’Abruzzo al Papa, in cambio della sostituzione delle truppe francesi con quelle italiane (proposta irrealizzabile per l’opposizione di entrambe le parti). Cavour voleva invece ottenere un accordo che prevedesse la soppressione del potere papale, in cambio delle garanzia del libero esercizio spirituale del Pontefice. Gli uomini scelti dallo statista per mediare a questo compito furono il dottor Diomede Pantaleoni e il teologo Carlo Passaglia. Durante le trattative Cavour giunse anche a tentare di corrompere il Cardinale Antonelli, ma alla fine i negoziati non ebbero seguito e Pantaleoni venne espulso dallo Stato Pontificio per aver accettato l’elezione a deputato di Macerata[7].

L’atteggiamento di Cavour verso la religione fu ambiguo: si diceva Cattolico, ma anche «anti papista». Lo stesso sembra aver abbandonato fin da giovane le pratiche religiose, ma volle ad ogni costo ottenere i sacramenti prima di morire influenzato anche dalla vicenda accaduta al suo amico Pietro della Santa Rosa (uno dei Ministri che sottoscrisse la «legge Siccardi» e a cui per questo vennero negati i conforti religiosi): «Non voglio espormi a uno scandalo simile. Sono Cattolico e voglio morire nella mia religione» confidò al conte Ruggero Gabaleone di Salmour. Nel 1856 fece perciò una sorta di patto con il suo curato, Fra’ Giacomo da Poirino, che promise di somministrargli i sacramenti sul suo letto di morte senza domandargli alcuna ritrattazione per i suoi comportamenti anti clericali. Il curato manterrà la parola e nel 1861 confesserà e somministrerà il viatico al Ministro Piemontese senza chiedere la ritrattazione delle colpe commesse contro la Chiesa. Per questa sua azione il parroco venne sospeso «a divinis», anche se questo provvedimento verrà tolto molti anni più tardi da Leone XIII dopo che il frate, nei suoi ultimi anni di vita, esprimerà contrizione per quest’atto chiedendo di poter essere riammesso al ministero sacerdotale[8].

Quasi dieci anni dopo la morte di Cavour, le truppe sabaude entrarono a Roma in qualche modo «concludendo» il disegno del Ministro che, poco prima di morire, dichiarò pubblicamente che la città sarebbe stata la capitale del Regno. L’occupazione della futura capitale d’Italia scatenò un conflitto tra la Chiesa e il nuovo Stato Italiano destinato a durare a lungo. Oggi, però, si è riusciti voltare pagina e attualmente la Chiesa riconosce l’importanza che ebbero molti Cattolici nel progetto risorgimentale, così come molti studiosi riconoscono anche gli aspetti meno edificanti che ebbe quel periodo che pure contribuì alla nascita della Nazione Italiana e alla riforma della Chiesa.


Note

1 Da Sergio Romano, Risorgimento da riscrivere: pochi liberali, troppi massoni, Lettere al «Corriere della Sera», 30 settembre 2009.

2 Confronta Denis Mack Smith, Cavour. Il grande tessitore dell’Italia Unita, Milano 1985, pagina 274.

3 Sullo scontro politico riguardante la soppressione degli ordini religiosi si veda Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo. 1854-1861, Roma-Bari 1984, pagine 103-150.

4 Confronta Denis Mack Smith, Il Risorgimento Italiano, Roma-Bari 1999, pagine 326-327.

5 Confronta Andrea Possieri, Garibaldi, Bologna 2010, pagina 158.

6 Confronta Denis Mack Smith, Il Risorgimento Italiano, Roma-Bari 1999, pagina 525.

7 Confronta Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo. 1854-1861, Roma-Bari 1984, pagine 906-908.

8 Sul patto tra lui e Cavour si veda Giovanni Spadolini, Gli uomini che fecero l’Italia, Milano 1993, pagine 215-220.

(maggio 2016)

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