Pasquale Galluppi: un moderato?
Leggende metropolitane sul filosofo di Tropea

Il filosofo Pasquale Galluppi nacque a Tropea nel 1770 dal matrimonio tra due cugini appartenenti a rami diversi della famiglia. Uno siciliano e uno calabrese. Studiò sia in Calabria che a Messina. Qui incontrò in seminario il canonico Ragno e il Rettore Santacolomba che era noto per le sue simpatie gianseniste. Quando Pasquale Galluppi giunse a Napoli per laurearsi in giurisprudenza si dedicò prevalentemente a studi filosofici e fu richiamato dalla famiglia, che per ragioni economiche desiderava che si dedicasse alla giurisprudenza. Deceduto un fratello, dovette stabilirsi in via definitiva a Tropea e qui sposare una nobildonna con un matrimonio combinato, da cui avrà ben 14 figli, e con cui resterà per ben quarant’anni. Nel 1795 Pasquale Galluppi esordì presso l’Accademia degli Affatigati di Tropea confutando, secondo impostazione agostiniana ripresa dal giansenismo, la teoria delle virtù dei pagani, giudicate peccaminose perché non riferite al vero Dio. Questo non bastò a non fargli comminare una denuncia presso la Santa Sede.

Nel 1799, nonostante non ci fossero prove concrete su di lui di collaborazionismo verso i Francesi se non nella veste di traduttore, fu imprigionato per un certo periodo dalle milizie del Cardinale Ruffo, venne ancora accostato al suo antico maestro Santacolomba come settario e il Vescovo di Tropea, Mele, dichiarò che il Galluppi non godeva di buona fama. Quando i Francesi ritornarono, Galluppi ottenne impiego di traduttore per la sua conoscenza della lingua francese, e in ogni caso il suo impegno ufficiale non andò più in là dell’incarico come controllore del fisco per rendite fondiarie. Le sue letture su Kant lo portarono in seguito a seguire il dibattito sulla presa di coscienza della centralità della questione gnoseologica.

Mi fermerei qui nell’analizzare quanto di Pasquale Galluppi è stato detto in merito al suo essere un moderato accostato, secondo la versione ufficiale, erroneamente, a posizioni riformiste, tanto meno rivoluzionarie.

I documenti che ho rintracciato smentiscono in maniera concreta la supposta moderazione di Galluppi, e lo proiettano in Europa.

Un nobile Padre Gesuita, poi divenuto rosminiano, Lucchese di nascita, Gioacchino Prosperi, cita in una sua lettera il Pio Legislatore di Nicotera come il suo ispiratore.[1] Quel Padre Gesuita divenuto rosminiano nonché appartenente all’Ordine Francescano, dopo essere uscito dall’Ordine Gesuita nel 1826, è di fatto un prete rivoluzionario. Le sue vicende si intrecciano con quelle del filosofo di Tropea, e dunque vale la pena descriverle per comprendere i coinvolgimenti di un uomo, Pasquale Galluppi appunto, che la storiografia dei vincitori unificatori della Penisola ha voluto nascondere.

Gioacchino Prosperi è un nobile lucchese divenuto Padre Gesuita in Sant’Andrea al Quirinale a Roma nel 1815 con Prospero d’Azeglio, figlio del marchese Cesare, e fratello dei più noti Massimo e Roberto, cattolici liberali, e con Carlo Emanuele IV di Savoia che in quel periodo viveva in Sant’Andrea al Quirinale, dopo l’abdicazione, e che frequentò Prosperi per ben cinque anni. Proiettatosi a Torino e qui Padre Gesuita e rettore di collegi e docente, nonché collaboratore del marchese Cesare nelle Amicizie Cristiane, Prosperi abbandonò l’Ordine Gesuita nel 1826 per sopraggiunti contrasti col Generale Fortis, divenendo Padre Francescano e predicatore. A dire il vero rimase da Francescano a Torino fino al 1834 in via ufficiale, continuando qui a insegnare e predicare, in sintonia con Casa Savoia al punto che nel 1831 gli venne commissionata l’Ode di Lanzo in memoria del Sovrano Carlo Felice, componimento che Prosperi scrisse, lesse e pubblicò per l’editore Marietti di Torino. Solo tre anni dopo, nel 1834, l’espulsione ufficiale per una frase incriminata di quell’Ode. In quei tre anni Prosperi era divenuto (e forse lo era già prima) un prete rivoluzionario. Nel 1833 è a Parigi in Place Vendome e qui resta estasiato di fronte all’obelisco napoleonico. Perché Prosperi è un bonapartista. L’intera sua famiglia lo è. Sono intimi di Luciano Bonaparte e dell’intera sua famiglia. Addirittura il cugino di Padre Prosperi, il celebre Luigi Rodolfo Boccherini, è il musicista lucchese che a Madrid fu finanziato da Luciano Bonaparte quando questi era in Spagna e ancora Napoleone I contava di trasformare suo fratello nel Sovrano Spagnolo, cosa che non avvenne perché questi sposò Alexandrine de Bleschamp, contravvenendo alle richieste del fratello Imperatore che sognava per lui un matrimonio regale e possibili scenari imperiali europei. Luciano approderà di lì a poco a Canino, nell’Alto Lazio e, nonostante il «basso» profilo tenuto sia allora che durante il Primo Risorgimento rispetto ai suoi fratelli e sorelle, ebbe viceversa un ruolo essenziale nelle dinamiche risorgimentali. Divenne mazziniano e con il rivoluzionario genovese progettò l’inserimento della Corsica nell’orbita italiana. Se Mazzini aveva esclusivamente velleità unitarie repubblicane (anche Luciano era repubblicano), solo il federalismo poteva essere l’arma vincente per sconfiggere lo straniero austriaco. Federalismo perseguito da Luciano Bonaparte, da suo fratello Giuseppe, ex Sovrano Partenopeo ed emigrato negli Stati Uniti, da dove teneva le fila del movimento bonapartista mazziniano, ma anche da quei Sovrani della Penisola che non facevano Asburgo, Papa compreso. Così i Savoia di Carlo Alberto, piuttosto che i Borbone Parma nella figura del bizzarro Duca Borbonico Carlo Ludovico, e lo stesso Sovrano Partenopeo non furono contrari sottobanco a tale possibilità, sempre monitorati dal Metternich. E infatti l’espulsione di Padre Prosperi dal Piemonte nel 1834 fu causata perché nella famigerata frase aveva presumibilmente calcato la mano nell’asserire che già Carlo Felice voleva costruirsi a Genova una flotta «competitiva» nel Mediterraneo, frase peraltro poco convincente nel definire l’espulsione retroattiva del 1831; Prosperi sarà sempre segretamente, ma non troppo, a Torino anche negli anni successivi a predicare. E soprattutto grazie al suo Duca Borbonico Carlo Ludovico diverrà dal 1839 al 1848 il «predicatore della Corsica» a fianco di questi Sovrani e soprattutto di Luciano Bonaparte e di Pasquale Galluppi. Perché un documento presente all’Archivio di Stato di Lucca inchioda definitivamente le bugie raccontate sin qui.

In un fascicoletto appartenuto al religioso[2] c’è una sua lettera «cifrata» in cui Prosperi stesso parla in terza persona. Ispirato dal Pio Legislatore di Nicotera (lo conosceva personalmente? Questo non l’ho potuto appurare) il Muratore Prosperi (era anche un Arcade, tra gli Arcadi di Roma Epidauro Alseideo) in Corsica stette per ben nove anni. E ancora i Padri Muratori (i Francescani, e Prosperi era infatti in quel periodo un Padre Francescano) furono i testimoni degli ultimi gemiti dell’Aquila Imperiale, ossia di Napoleone Bonaparte morente a Sant’Elena. Il 29 marzo del 1846 Gioacchino Prosperi era sul sagrato della Chiesa di San Rocco in Ajaccio e qui benediceva i patrioti córsi convenuti che erano tristi per le notizie ricevute sui fatti nefasti di Cracovia. Si attendevano rinforzi da Parigi e dal Nord Africa. Una sottoscrizione era stata firmata nella «nostra» città. Quel «nostra» sembra riferito ad Ajaccio. In realtà potrebbe trattarsi anche di Lucca, dove un personaggio caro a Padre Prosperi, la marchesa Eleonora Bernardini, amica intima dell’intera famiglia Bonaparte, non solo sosteneva il Duca Borbonico e Prosperi, come ho potuto appurare da documenti rintracciati e pubblicati, mettendolo in guardia nei suoi movimenti rivoluzionari (Prosperi nel 1844 era stato arrestato a Firenze e aveva sostenuto un processo da cui venne assolto, perché in possesso di documenti compromettenti e molto denaro), ma collaborava alacremente con tali Sovrani, con gli stessi Bonaparte: le carte ci sono e sono facilmente reperibili e chiare. Questa marchesa era nipote di una zia Lambertini di Bologna, appartenente alla stessa famiglia di Papa Benedetto XIV, ossia colui che aveva nel Settecento non solo abolito l’Ordine Gesuita ma incentivato quell’agostinianesimo caro ai giansenisti europei e italiani, e che fu poi sostenuto nel Concilio Vaticano I, cui Prosperi partecipò nei suoi lavori preparatori, e nel secolo XX dal Concilio Vaticano II.

Infatti Prosperi dai suoi detrattori venne sempre pubblicamente tacciato nelle lettere e nei giornali di essere un prete di Montanelli e un Giansenista, cosa che lui puntualmente negava. Ma in quanto cugino per parte materna anche di Alessandro Manzoni (sua madre era Maria Angela Castiglioni dei Castiglioni di Olona, cugini dei fratelli Verri), non possiamo dubitare gran che circa i legami forti con il mondo giansenista europeo e lo stesso Movimento di Oxford. I documenti ci sono tutti. E allora il Pio Legislatore di Nicotera, ossia Pasquale Galluppi, che aveva sostenuto la politica di Alfonso dei Liguori, a cui Prosperi si era avvicinato durante la sua esperienza forte nelle Amicizie Cristiane di Cesare d’Azeglio, ci mette nella condizione di affermare che quelle possibilità federaliste erano davvero forti e concrete. Un nome su tutti: Lord Henry Holland. Che da Londra sosteneva Luciano Bonaparte, la sua famiglia e la sua politica. Lord Holland era uno dei principali fondatori del Partito Whig e l’emblema della nuova Inghilterra che lottava in patria e fuori contro la schiavitù e per un’Europa lontana dall’antico regime.

A Roma un nome su tutti: Bartolomeo Pacca, il Cardinale ex deportato a Fenestrelle ed ex Segretario di Stato Vaticano, che aveva firmato il Concordato napoleonico e che era originario di Benevento. In amicizia con Luciano Bonaparte e la sua famiglia, morto nel 1842, il Cardinale, citato da Padre Prosperi in una sua celebre pubblicazione,[3] fu sepolto nella chiesa dei Chierici Regolari lucchesi a Roma, ossia in Santa Maria in Portico in Compitelli. Prosperi era vicino anche per via parentale ai Chierici Regolari. E infatti una lettera rinvenuta[4] del rivoluzionario córso Pasquale Paoli di qualche anno prima indirizzata proprio a Padre Ghelsucci dei Chierici Regolari Lucchesi, attesta quest’impronta «rivoluzionaria» e probabilmente non così lontana dal giansenismo europeo di quel tempo.

Nascondere la reale portata della collaborazione tra Galluppi, Rosmini e Bonaparte, che il documento rintracciato all’Archivio di Stato di Lucca definisce, ha significato per la storiografia risorgimentale creare quegli equilibri «farlocchi» che hanno prodotto il famigerato trasformismo di cui ancora oggi subiamo i frutti. Una rilettura attenta del filosofo di Tropea mette in luce quanto il Sud fosse, al pari del resto della Penisola, nella condizione di porsi in Europa e di porre la Penisola stessa non come Stato «improvvisato», cosa che di fatto avvenne, ma come Stato Sovrano. Andrebbe scritto a chiare lettere non solo che la Corona Britannica non voleva tanta «improvvisazione»[5], ma anche che il Presidente degli Stati Uniti Buchanan e l’intero Congresso Americano votarono contro una risoluzione che voleva screditare l’ex agente murattiano divenuto negli anni Trenta del XIX secolo cittadino americano, Giuseppe Binda, il quale aveva prospettato a lungo soluzioni federaliste per la Penisola.


Note

1 Archivio di Stato di Lucca, Legato Cerù, riferimento 18.

2 Archivio di Stato di Lucca, citato.

3 Gioacchino Prosperi, La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, Fabiani, Bastia, 1844.

4 Luigi Librario, Lettere, Editore Agliana, Torino, 1819.

5 Antonio Panizzi, Archivo di Stato di Lucca, Legato Cerù, riferimento 7.

(giugno 2022)

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