Risorgimento in penombra
Quanto si asserisce solitamente sulle dichiarazioni dello storico Manzi, all’epoca al soldo dell’Austria, è fuorviante, visto il ritrovamento di molte carte. Manzi scrive che solo il Principato Lucchese dopo la restaurazione inseguì il sogno murattiano che poca presa aveva avuto nel Paese. Le carte rinvenute dicono l’esatto contrario. Da un’angolazione defilata fotografiamo un’epoca

Cercando di approfondire in modo dettagliato e da un’angolazione defilata le vicende che portarono alla costituzione dell’Unità Nazionale, ci accorgiamo di quanto fosse diverso il sentire degli Italiani di tutto lo Stivale durante il Primo Risorgimento rispetto a quello che spesso si è scritto in proposito.

Le vicende che sto per descrivere vogliono mostrare questa complessità, nonché la partecipazione, sia del ceto nobiliare che borghese, e in alcuni casi piccolo borghese, all’intero movimento. Desidero accennare anche alla mia particolare famiglia, molto coinvolta in queste vicende, sia in sede che sul piano nazionale; e ad alcuni loro passaggi che sono riuscita a ricostruire.

In Pieve Fosciana, oggi provincia di Lucca, ma all’epoca dei fatti provincia di Modena, nel 1831, in concomitanza con i moti modenesi di Ciro Menotti, ci fu una sollevazione popolare che portò a far sventolare il tricolore sul municipio. Tra i sostenitori della Rivoluzione annoveriamo in particolare Antonio Angelini, Jacopo Pierotti e Jacopetto Pierotti.

Questi ultimi erano due cugini che si votarono alla causa nazionale. Jacopo, medico, fu costretto a restare nella cittadina di Barga, al confino, in seguito a tali vicende, nel 1831.

Barga all’epoca era sita in provincia di Lucca, dove regnava il bizzarro quanto assente Duca Carlo Ludovico di Borbone-Parma, che lasciava «scorazzare» nel suo Stato piuttosto impunemente molti patrioti della Penisola, ufficialmente interessato solo ai suoi traffici di collezionista ed erudito, in realtà pronto a cogliere l’attimo, qualora si fosse presentato, per agevolare la sua permanenza nel Ducato Lucchese oltre la data fissata dal Congresso di Vienna del 1815. Jacopetto, laureato in legge, divenne viceversa un fedele assertore di Giuseppe Mazzini. Ma anche dei fratelli Fabrizi.

Questi ultimi, originari della frazione di Sassi Eglio, vicino a Castelnuovo Garfagnana, ma vissuti sin dalla nascita a Modena, dove la loro famiglia si era trasferita, sono annoverabili tra i principali seguaci dell’agitatore e uomo politico genovese nei vari moti insurrezionali sul territorio italiano. I fratelli Fabrizi andarono a sedersi in Parlamento dopo la formazione del neonato Stato Unitario perché, pur essendo stati vicini al maestro genovese, abbracciarono a tutto tondo la più generale causa nazionale, smarcandosi parzialmente dai valori repubblicani.

Del resto avevano sempre mantenuto una loro certa autonomia di pensiero e azione, fondando in epoca non sospetta la Lega Italica, che si prefisse sempre più ampia collaborazione rispetto alla Giovine Italia mazziniana tra le varie anime del Risorgimento. Dopo i moti del 1831, Jacopetto Pierotti prese dimora a Borgo a Mozzano, in territorio lucchese, e nel 1848 fu uno dei rappresentanti del Governo Provvisorio della Garfagnana all’Assemblea Nazionale di Modena per l’annessione al Regno Sardo. Jacopetto e Fabrizi furono sempre interlocutori; fra l’altro avevano rapporti di parentela perché Pietro Pierotti, cugino di Jacopetto e anche lui patriota oltre che artista, era cugino dei Fabrizi.

Sto riferendomi prioritariamente a Paolo Fabrizi, il fratello che più di altri girovagò nel Mediterraneo per tenere i contatti con Malta, con Algeri, Cipro, la Corsica, la Francia e potrei continuare, per perorare la complessiva causa nazionale. Non necessariamente in chiave sabauda. Per molto tempo i Fabrizi tentarono, avvicinandosi ai patrioti meridionali, soprattutto napoletani, ma anche siciliani, di portare avanti il sogno murattiano ormai svanito che fosse assolutamente inclusivo dell’intero Stivale nel processo unitario, visto come elemento conclusivo. Paolo Fabrizi nel 1839 non mancò di fare tappa a Livorno dove avrebbe dovuto incontrare il Pierotti. La famiglia Pierotti, così come i Fabrizi, era vicinissima ai superstiti della famiglia Menotti, ossia alla vedova Polissena e ai figli del defunto Ciro, attivissimi nell’organizzazione.

In particolare la signora Polissena Menotti fungeva da vettore di fiducia. Un cifrario divenne il codice distintivo delle lettere. I Menotti avevano in quel periodo in Lucca la loro dimora. L’amicizia tra i Menotti e Pierotti traspare. Jacopetto non mancava occasione per confermare la propria stima per Polissena.

Achille Menotti, figlio di Ciro, fece conoscere a Jacopetto il marchese Tito Livio Zambeccari, figlio del noto scienziato di Parma Francesco, pioniere dell’aeronautica. Jacopo, molto coinvolto nella Lega Italica, incontrò Tito Livio Zambeccari per la prima volta in Lucca nel 1840. Si apprende dalle lettere che il marchese chiese espressamente la collaborazione del Pierotti e dei suoi. Anche Tito Livio Zambeccari diverrà sempre più coinvolto nella Legione Italica.

Essenziale la lettera dell’11 aprile 1840, in cui un Martelli Córso, peraltro scopriamo nelle carte collaboratore di Ignazio Ribotti, molto amico sia dello Zambeccari che del Pierotti, insieme col patriota Luigi Ghilardi, Lucchese che morirà qualche tempo dopo in Sud America, combattendo per la causa di quei popoli, stava tentando di raccogliere in Corsica mille uomini per una spedizione in Sicilia. Troviamo documenti analoghi nel 1841 e nel 1842, anno in cui pervenne al Dipartimento degli Affari Esteri del Governo delle Due Sicilie notizia di una possibile spedizione rivoluzionaria per fare insorgere l’Italia, col coinvolgimento del Lombardo Pacchiarotti.[1]

Era davvero così? Le carte in nostro possesso tendono a confermarlo.

In quel periodo troviamo una particolare documentazione[2] relativa ad alcuni patrioti lucchesi, peraltro alcuni anche dei religiosi, che si spostarono, seguendo l’esempio di Paolo Fabrizi, sia in Corsica che a Malta e poi a Cipro. Si tratta dei fratelli Giambastiani. Due di loro, Francesco e Alipio, erano frati agostiniani. Un altro fratello, un impresario teatrale che si spostò prima in Corsica, poi a Marsiglia e da lì in Spagna. Il quarto fratello, un ingegnere che attraverso Malta e l’Algeria, partendo da Livorno, si recherà in Cefalonia. Quest’ultimo, Pietro Giambastiani, questo il suo nome, fu ivi chiamato ufficialmente per fare l’agronomo, cosa assai poco probabile, leggendo attentamente la lettera che gli fu inviata da Cefalonia a Lucca. Riporto perciò la particolare lettera del Lucchese Ant. M., così si firma, e ho motivo di credere che trattasi di Antonio Mordini.

Mordini diverrà il grande collaboratore di Giuseppe Garibaldi durante la spedizione dei Mille. Barghigiano, sarà il prodittatore della Sicilia, sostituendo in tale compito lo stesso Garibaldi, quando questi si sposterà sul continente. Il contenuto della lettera, indirizzata ad Alipio Giambastiani, è davvero rilevante, perciò la trascrivo per intero, sperando di appassionare il lettore a questi cifrari in codice e dando poi una traduzione della lettera: «Cefalonia 29 ottobre 1843: Amico carissimo, per giovare a tuo fratello non ho potuto attenermi all’espediente di parlarne con i membri di questa Società Agraria perché indirettamente avrei potuto offendere con ciò il Barone che ne è Presidente, ed a me venne commesso l’incarico di provvedere, a mio piacimento, per la Società un ottimo agronomo. Dunque ho fatto di più; e l’ottimo risultato mi prova che non ho errato. Mi aveva promesso il Barone di far venire tuo Fratello, appena gliene parlai, dicendomi che ne avrebbe scritto al Massei [Carlo]. Ricevuta l’ultima tua sono andato a trovarlo, gli ho parlato di tuo fratello; è il soggetto preciso che si richiede all’uopo, e che farà grande onore a chi lo richiederà. A queste ed altre osservazioni fattegli da me fare e troppo sarebbe il volerle ripetere, mi ha risposto che al primo vapore per Malta manderà gli ordini opportuni perché tuo fratello parta subito per Cefalonia. Forse darà ordini anche per pagargli il viaggio, ma in caso, per opera mia, farò sì che sia rimborsato delle spese di viaggio appena sarà giunto. Sono stati assegnati, come ti dissi, 30 Colonnati al mese, il 2 e 1/2 per % sull’estrazione dei vini ed ora otterrà pur anche l’alloggio gratis. Più dietro le mie insistenze sulle abilità di tuo Fratello, il Barone mi ha detto che se è vero quanto gli ho assicurato in ordine a Pietro, egli gli farà dare una paga dal governo a titolo di secondo ingegnere. Insomma, la cosa va bene, e tuo fratello farà una buona fortuna. Quindi stai pur tranquillo dell’esito di questo affare, che se la molteplicità degli affari ad altro impedisce di scrivere a Lucca, all’uopo il Barone nel presente ordinario non ti dia fastidio, perché i discorsi fatti da me e le premesse che ne seguiranno sono tali che io potrei dirti venga all’istante tuo fratello. Ciò nonostante ti aspetta l’ordine suo che non potrà tardare gran fatto. Intanto ti dirò l’itinerario per tuo Fratello del quale si servirà per recarsi così. Vada a Livorno, il 1°; o l’11; o il 21 di ogni qualsiasi mese; prenda imbarco per Malta sul Vapore da guerra francese. La spesa è di 40 Franchi. Arrivato a Malta, prenda imbarco sul Vapore inglese che parte per Cefalonia due volte al mese. La spesa è di 20 Colonnati. In sei giorni arriva qui. Per questa strada risparmierà modi di dogana, mentre egli – tuo fratello – verrà con tutto ciò che è necessario alla sua professione. Malta è porto franco; dunque imbarcato una volta a Livorno, i suoi bagagli non verranno più visitati fino qui; e qui sono io amico del Capitano del Porto, e del Capitano della lancia che deve dargli la pratica. Dunque, per la via di Ancona la spesa, non computando gli incomodi, ascende a 28 Colonnati da Ancona qui e da Lucca in Ancona non bastano 10 altri.

Affinché tuo fratello possa anche maggiormente economizzare sulla totale spesa di 28 Colonnati – via Malta gli farei fare lettere commendatizie per Paolo Fabrizi che trovasi in Malta. Egli è un degno, degnissimo italiano conosciuto in Lucca dal Borrini e da tutti gli emigrati modenesi. Ti serva di regola. Veniamo ad altro che mi occorre in Italia. Mi manderai immancabilmente per tuo Fratello 18 braccia di Ermenesino blu e non trovandosi blu nero della larghezza di due braccia a cinque Paoli al braccio, e vedi che sia di ottima qualità perché deve servire ad appagare le brame, e la commissione di persona che fu utile a me e a tuo fratello. Mandavi conto della medesima persona 3 o 4 libbre di burro ben lavato e stivato in barattolo, non che 3 libbre di polvere buona da caccia. Manderai a me la traduzione del Sallustio dell’Alfieri, le orazioni di Cicerone con la traduzione delle medesime del Dolce, i dizionari latini, se puoi, ed un cappello per me di pelo fine di moda della dimensione qui segnata in ordine alla testa.

Di tutto quanto, che indebitamente io attendo, mi manderai abrasionamento che io non mancherò di rimborsarti unitamente al resto che ti devo quando il Barone avrà trovato la vera Nicchia per me. Ora vivo con 28 Colonnati al mese di paga, e le mie spese non permettono di fare una grande abrasionomia. Ma il Santo pensa ancora a me. Invi l’acclusa a mio fratello, salutami Casali cordialmente, nonché tutti i Simi, Allegrini, Pieri e Nocchi e tutti gli amici. Spero che alla venuta di tuo fratello non debba restarmi in ordine alle commissioni date, come rimasi al ricevimento dell’ultima in ordine alle nuove che io ti chiedeva di mia famiglia. Salutami tuo fratello, digli che l’attendo con ansietà per abbracciarlo e per vivere con lui come due fratelli. La polvere da caccia quando sarà vicino a Cefalonia se la metta addosso, il resto l’annunzi alla dogana. Digli che venga munito ben bene ancora di biancheria perché qui costa carissima. Addio sono tuo affezionatissimo amico Ant. M.

P.S.: tuo fratello non dimentichi di portare con sé tutti i metodi per la fatturazione dei vini perché questo per ora è l’essenziale. Libri di coltivazione, innesti ecc. ecc. Raccogli lettere da mio fratello e dagli amici che volessero scrivermi, e mandamele per tuo Pietro, e mio ecc».[3]

Nel 1843 Antonio Mordini si dette per l’appunto a perorare la causa repubblicana di Mazzini e fondò a Firenze con i banchieri Fenzi e altri una Società Segreta per far progredire le idee repubblicane e unitarie del Santo, come nella lettera viene menzionato. Che anche lui fosse finito, come pare, per un certo periodo a Cefalonia come l’ingegnere Pietro Giambastiani di Lucca, citato nella missiva? Probabile. Il Barone menzionato, che fu tale grazie al Duca Lucchese Carlo Ludovico di Borbone che lo nobilitò, è il Barone d’Everton, alias Sir Charles Sebtight, che fu Governatore di Cefalonia in quel periodo e che ricevette il titolo di Sir dalla Regina Vittoria nel 1871.

Ma veniamo al Sallustio dell’Alfieri piuttosto che al Cicerone del Dolce. Questi sono riferimenti politici. Il Cicerone di Ludovico Dolce, lo scrittore riformato veneziano, fa riferimento al Duca Lucchese, anche lui Ludovico di nome e convertitosi alla fede protestante. Il riferimento al Sallustio dell’Alfieri vuole sottolineare che Sallustio è un plebeo nobilitato dell’antica Roma come Vittorio Emanuele di Savoia, che diverrà Re di Sardegna e poi d’Italia, poiché la leggenda volle fosse figlio illegittimo di un macellaio, scambiato nella culla dopo la morte dell’erede al trono per salvare la dinastia sabauda che prevedeva il maggiorascato nella successione. Pertanto secondo i riferimenti letterari citati, questi due Regnanti paiono coinvolti con i mazziniani e la Lega Italica, sottobanco, nelle vicende del periodo. Tutto il resto, una «boutade» piuttosto esplicita ai nostri occhi. Poteva un ingegnere fare l’agronomo? Certamente non era il suo mestiere. E le società agrarie nascondevano sempre altre finalità. Un Fratello, più volte menzionato sia con «f» minuscola che «F» maiuscola. Credo proprio che la maiuscola tradisse il significato di appartenenza settaria. E la polvere da caccia, e le perquisizioni alla dogana? E il tragitto così ben dettagliato? Le citazioni di Paolo Fabrizi e del Santo lasciano pochi dubbi. Il Governatore di Cefalonia per conto di Sua Maestà Britannica che poco tempo prima si trovava in Lucca presso la Corte di Carlo Ludovico di Borbone che lo aveva nobilitato, ora era in Cefalonia e si occupava anche di patrioti e della Società Agraria. Molto indaffarato questo Barone! Francesco Giambastiani, uno dei quattro fratelli, morì nel 1848 in Corfù in circostanze mai chiarite. Era un frate agostiniano e ufficialmente ne decretarono il suicidio, a cui la famiglia di origine non ha mai creduto. Il frasario in codice è evidente. Come evidenti da studi condotti sono i particolari rapporti non solo del Duca Borbonico Carlo Ludovico ma anche degli ambienti sabaudi con patrioti di ogni colore che di fatto venivano ufficiosamente «lasciti fare e sostenuti», come il protagonista del mia tesi, il Francescano Padre Gioacchino Prosperi. Egli, preso con le mani nel sacco nel 1844 a Firenze, recante carte e molto denaro, venne processato ma non condannato. E rimase sacerdote fino alla morte, avvenuta in Lucca nel 1873. Era vicino ai Bonaparte, amico di Alipio Giambastiani e soprattutto aveva vissuto molti anni a Torino insegnando nei primi anni del XIX secolo da Padre Gesuita nei principali collegi sabaudi, in amicizia con i D’Azeglio e anche con casa Savoia (aveva vissuto per un lustro intero in Sant’Andrea al Quirinale a Roma con Carlo Emanuele IV di Savoia, l’ex Sovrano che qui si era ritirato dopo l’abdicazione. Ed era uscito dall’Ordine nel 1826 per sopraggiunti contrasti col Generale Fortis).

Profonda dunque la collaborazione tra i vari Sovrani della Penisola, questo traspare con tutta evidenza. Tra quei Sovrani cioè che di casata non facevano Asburgo, unitamente ad alcuni ambienti vaticani favorevoli a una soluzione radicale delle questioni peninsulari del tempo, non distanti da quel mondo protestante inglese che sosteneva, attraverso il neonato partito Whig, questi patrioti. Penso a Lord Holland, che ebbe serrati legami col Duca Borbonico ma anche con personaggi lucchesi del tempo. In tutto questo i Bonaparte, mazziniani da molte carte, appaiono particolarmente coinvolti, soprattutto i figli di Luciano Bonaparte. Un caro amico di Alipio Giambastiani era il conte Padre Gioacchino Prosperi, in comunione sia con Luciano Bonaparte e i suoi figli di secondo letto che col Duca Borbonico, il quale ospitò nel 1834 in Benabbio, nel comune di Bagni di Lucca, come rifugiati mazziniani Carlo Luciano Bonaparte e il fratello[4] [5]. I legami di Padre Prosperi, lo ribadisco, furono sempre stretti anche con Torino, costantemente al centro di queste manovre politiche.

Ho indicato nella nota 3 del presente articolo che tra gli «Amici del Popolo» con Guerrazzi ci fu in quel periodo il Lucchese Cesare Pierotti. Si tratta del mio quadrisavolo, perciò avrò modo di chiarire ulteriormente.

Non posso dimostrare che Jacopo e Jacopetto fossero in comunione parentale con Cesare, però la citazione degli Allegrini nella lettera mi porta a concludere che Guerrazzi e gli ambienti livornesi fossero ben presenti in tali vicende.

Sulla mia famiglia avrei molto da scrivere ma per pudore preferisco tacere. Il bisnonno cacciato di casa per logiche socio-politiche poco onorevoli. Ma Lorenzo, Cesare e Giuseppe, rispettivamente tra loro nonno, padre e figlio, qualche parola meritano di spenderla, visto il loro rilievo politico.

Il primo, nato nel 1767, fu un giacobino come ricorda il dottor Tori di Lucca in una sua pubblicazione. Una lettera da me rinvenuta alla Biblioteca Nazionale Centrale a Firenze lo colloca vicino sia a Murat che agli ambienti sabaudi del conte Fabrizio Lazzari e dello zio di questi, il Generale Napoleonico Rege De Gifflenga. Questo nel 1815.[6]

Amante «vox populi» di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte che regnò nel Principato Lucchese, cugino dei Pierotti di Benabbio dove la Sovrana si recava spesso a teatro con i celebri fratelli Paganini e dove il Duca Borbonico Carlo Ludovico ospitò qualche anno più tardi i Bonaparte rifugiati mazziniani, queste le mie certezze. Non posso dire molto perché le cesoie in famiglia sono state tante. Cesare, nato nel 1806 e deceduto nel 1901 a Sant’Alessio di Lucca, fu sicuramente un «Amico del Popolo» nel 1848, coinvolto in fatti che non lo portarono a una condanna solo perché apparteneva a una famiglia d’antica nobiltà, come appare dalle carte. In una lettera rintracciata invoca la mediazione di Tommaso Corsi qualche anno più tardi, forse per le difficoltà in cui versò.[7] Il figlio Giuseppe, il cui anno di nascita e di morte coincide con quello di un pittore di Castelnuovo Garfagnana, cugino, lui sì, di Jacopo e Jacopetto, è stato oggetto per me di «diatribe» locali. Io ho asserito trattarsi della medesima persona, peraltro il pittore per niente celebrato nonostante il suo valore artistico e politico, ma mi hanno risposto che non può esserci coincidenza. I miei argomenti sono assai nutriti, tuttavia non ho elementi certi e neppure il desiderio di cimentarmi in diatribe poco producenti. L’unica certezza è che la storiografia dovrebbe, questo il mio parere, rileggere le carte, sempre, e non dare per scontate situazioni che meritano approfondimento. Sono dieci anni che pubblico in rete e che cerco di trovare documenti e relazioni per definire meglio il periodo. Credo in parte di esserci riuscita. Invito il lettore alla riflessione.


Note

1 La documentazione di quanto qui esposto la si può trovare in una pubblicazione del dottor Silvio Fioravanti di Castelnuovo Garfagnana per la Deputazione Modenese.

2 Lettera e documenti che appartengono all’ingegnere Enrico Marchi di Lucca, erede dei fratelli Giambastiani, che ha un suo blog in rete.

3 I personaggi citati appartengono a famiglie lucchesi. In particolare gli Allegrini, editori fiorentini, presenti in Lucca, sono gli stessi, possiamo presumerlo, legati in Livorno al Guerrazzi e agli «Amici del Popolo». Un Lucchese, Cesare Pierotti (cugino dei Pierotti menzionati?) fu coinvolto nel 1848 tra gli «Amici del Popolo» di Firenze.

4 La mia tesi ha per titolo Padre Gioacchino Prosperi. Dalle Amicizie Cristiane ai Valori Rosminiani, Università di Pisa, Anno Accademico 2009-2010.

5 Prosperi era cugino di Luigi Ridolfo Boccherini, il musicista lucchese, che ebbe come suo ultimo protettore Luciano Bonaparte.

6 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Lorenzo Pierotti, Carteggi Vari, 101,65.

7 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Cesare Pierotti, Carteggi vari, 264,99.

(settembre 2016; ripubblicato: giugno 2021)

Tag: Elena Pierotti, Risorgimento Italiano, Cefalonia, Antonio Mordini, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Paolo Fabrizi, Tommaso Corsi, Gino Capponi, Luigi Ridolfo Boccherini, Luciano Bonaparte.