Un Risorgimento Nazionale lungo mille anni
Banche di affari

Quando si è ragazzi a scuola spesso sentiamo parlare del Connubio di Cavour che consentì allo statista piemontese di unire le sorti del Nord e del Sud della Penisola, in modo rocambolesco. L’impresa garibaldina consolidò una politica che di fatto non aveva basi solide e ciò non arrecò vantaggio al neonato Stato Unitario. Ma il primo vero Connubio in Italia si produsse nel Cinquecento e sarà questo a determinare fino a oggi le vere sorti della Penisola.

Nel Medioevo, perché da qui dobbiamo partire, moltissimi banchieri italici avevano in Europa le migliori piazze. Il bel Paese, seppur non unito politicamente, lo era di fatto geograficamente e culturalmente ed economicamente; e in Europa l’intero Stivale rappresentava lo Stato più ricco in assoluto. I Sovrani Europei emergenti, a partire dal Medioevo, avevano dovuto fare i conti con questa imprescindibile realtà.

Filippo il Bello in Francia aveva lottato e vinto i cavalierati, Templari «in primis», per riuscire a emergere e dare al proprio Stato quell’unità e centralità che tutt’ora lo caratterizza. Quei cavalierati però, che soprattutto nel bel Paese avevano le loro radici, non si erano volatilizzati dopo la brutale cancellazione dell’Ordine Templare, contrassegnato da fede e affari. Non avevano perso davvero la loro ricchezza e la loro influenza, neppure coloro che avevano aderito all’Ordine Templare. Non solo i Templari poi erano stati i custodi di ricchezze e centralità bancaria. I mitici cavalieri del Tau a esempio, seppur dediti ufficialmente in esclusiva ai pellegrini malati e sofferenti, gestivano talmente tante Commende sparse in ogni dove in Europa da rappresentare da soli una vera apoteosi di ricchezze e potere.

Ed essere costola, presumiamo, visti i numerosi riferimenti alla stessa Matilde di Canossa, dei Templari medesimi o dei cavalieri di Goffredo di Buglione, che aveva fondato il cavalierato del Santo Sepolcro ancor prima della nascita dell’Ordine Templare, ripristinato tale cavalierato, ufficialmente, dopo svariate vicende, nel 1847 da Pio IX. Anche il Tau per la verità aveva avuto lunga vita. Fino al Cinquecento, quando la famiglia fiorentina dei Capponi, che a più riprese aveva ricoperto il ruolo di Gran Maestro del Tau, si era battuta contro Cosimo de’ Medici per impedirne lo scioglimento, senza tuttavia a quel punto riuscirci, data la ricchezza emergente della neo casata Medici.

Tutti i cavalierati erano sempre stati a servizio del Papato, sicuramente interconnessi. La loro crescita esponenziale, e non parlo unicamente dei Templari, li aveva portati a misurarsi in modo autonomo da Roma; dunque in Europa e non solo, visto che sono in molti ad attribuire a questi cavalieri navigatori anche il merito di aver solcato i mari, Oceano compreso.

Questa loro generale forza economica era divenuta anche politica, e ancor più culturale. La visione di tali cavalierati era universalistica, seppur in un’ottica tipicamente medievale di vassallaggio e dipendenza religiosa da quella Roma «Caput Mundi» necessariamente centro della Cristianità.

L’Inghilterra, la Germania del tempo, e parzialmente anche la Francia, per non parlare di Svizzera, Austria Imperiale erano prioritariamente legate a questo modo di intendere politica e POTERE.

Nel Cinquecento le cose erano apparentemente cambiate. L’Europa si era fatta in gran parte protestante e Londra si apprestava a diventarlo, con tutte le sue roccaforti coloniali sparse già all’epoca nel globo. A Londra a esempio, allora come oggi, i mercati erano significanti e qui le principali famiglie italiane del tempo, sia di derivazione cavalleresca e dunque medievale, sia di recente lignaggio, che si erano affidate ai traffici commerciali trasformandosi in vere e proprie banche, si stabilirono. Le Casate Fiorentine in questo furono maestre. Ma anche le città minori toscane come per esempio Lucca, dove la famiglia Cavallari, meno nota dei Frescobaldi Fiorentini, o degli Strozzi, anche loro Fiorentini, approdarono in qualità di banchieri a Londra e nell’intera compagine europea.

I Medici, originari del Mugello, erano a differenza delle famiglie menzionate, di recente lignaggio. Provenivano appunto dal Mugello e con ardite speculazioni, diremmo noi oggi, borsistiche, erano approdati nel «gotha» bancario del tempo. Tuttavia i Sovrani dei vari Stati spesso prediligevano per i loro traffici quelle famiglie che avevano avuto alle spalle una storia di cavalierati come i Frescobaldi, più addentro alle vicende politiche secolari europee.

Queste famiglie però nel loro insieme, come ho avuto modo di chiarire in un articolo pubblicato recentemente sul sito www.storico.org, dovettero fare più di altri, le spese di tanta fiducia.

Nello specifico le due famiglie toscane Frescobaldi e Cavallari prestarono molto denaro all’emergente famiglia Tudor, che a partire dal Quattrocento regnò in Inghilterra. A Enrico VII e ancor più a Enrico VIII che non restituì i prestiti. La storiografia offre molto credito ai Fugger, altra Casata di banchieri, questa volta tedesca, che definirono i Frescobaldi e gli stessi Cavallari come bancarottieri. Ma a ben vedere quella dei Fugger fu più propaganda che realtà storica. La storiografia tutt’ora in merito non offre sufficiente sostegno alla reale versione dei fatti.

Tali perdite avevano inciso sicuramente nelle famiglie di banchieri fiorentini e lucchesi, ma non così tanto da decretarne una bancarotta o un indebolimento monetario senza ritorno.

Tuttavia a emergere come famiglia, soprattutto internamente al bel Paese, in questo caso furono i Medici. Con metodi non sempre ortodossi ma sicuramente efficaci. Eppure dietro a tale narrazione storiografica alcune questioni rimangono nel cassetto.

Nel Mugello esistono tutt’ora molte proprietà appartenute ai Medici tra cui una villa che appartenne a Bernardetto, cugino del più celebre Lorenzo. La Valdastra, questo il suo nome, che nel XVII secolo passerà ai Padri Serviti della Santissima Annunziata, dipendenti dal Convento di Montesenario. I passaggi di proprietà sono significanti per comprendere molte dinamiche storiche.

I Medici nel Seicento si votarono sempre più a una politica nazionale che aveva fatto della Controriforma il baricentro della sua stessa esistenza. I Serviti furono uno degli anelli essenziali per la Chiesa Romana nel combattere lo strabordare della Riforma, seppur in modo meno spettacolare e pungente dell’Ordine Gesuita il quale, soprattutto in Spagna, aveva avuto la meglio e che anche in Italia emerse. Vista anche la dominazione spagnola ivi presente, condizionando la politica e gli Stati.

I Medici si imparentarono con gli Aragonesi e il ramo dei Medici che approdò a Napoli, addirittura con i Caracciolo.

Carafa e Caracciolo Napoletani, sappiamo, due costole di una medesima famiglia che era rimasta a lungo a servizio degli Spagnoli.

La famiglia Medici dette al Papato ben tre Pontefici in quel periodo, inframezzati da quel Paolo V, Papa Carafa, perno della Controriforma.

Ma a Firenze e a Lucca nel Cinquecento non tutti erano allineati con posizioni così radicali.

La famiglia Capponi, che a lungo aveva tenuto le redini del cavalierato del Tau come ho accennato, lottò a lungo contro Cosimo de’ Medici per mantenere in vita l’Ordine cavalleresco che rappresentava.

Lotta impari eppure risoluta e temeraria, che consentì a quel cavalierato di sopravvivere a lungo. I Capponi Fiorentini si legarono in quel periodo agli Strozzi. La moglie del Gino Capponi del Cinquecento era una Strozzi. Con un salto temporale al XIX secolo troviamo la madre del Gino Capponi allora contemporaneo, erede del precedente, essere una Frescobaldi. Solo casualità? I matrimoni sappiamo che non avevano nulla di casuale.

Con alcuni passaggi proverò a chiarire che quanto accaduto a Firenze accadde anche nella vicina Lucca.

La proprietà dei Cavallari, la famiglia di banchieri che ho citato, che continuò dopo il Cinquecento a lungo a gestire le sue ricchezze, vendette la sua proprietà lucchese sita nella località di Marlia ad altra famiglia nobile locale nel Settecento. Si trattava della famiglia Lucchesini, Cattolici vicini agli ambienti riformati europei. Il conte Cesare Lucchesini proprio in quel periodo carteggiava in Piemonte con l’Abate Peyron ed era particolarmente conosciuto in Prussia presso la Corte. Peraltro protettore ufficiale di altro nobile locale, un religioso, Padre Gioacchino Prosperi di cui mi sono a lungo occupata, che da Gesuita divenne Francescano nonché Rosminiano e mai lasciò l’abito, morendo sacerdote nel 1873 dopo aver passato l’intero Risorgimento in combutta politica con ambienti ritenuti riformati. Accusato ripetutamente e pubblicamente di giansenismo. Cesare Lucchesini morì nel 1832 ma la famiglia Lucchesini indubitabilmente nel Settecento rappresentava questo genere di posizioni politiche e di riflesso religiose.

Del resto negli stessi ambienti lucchesi troviamo i Lambertini e a Bologna Papa Lambertini aveva sciolto l’Ordine Gesuita, reo di non permettere alla Chiesa Romana posizioni meno intransigenti e allineate col resto d’Europa.

Conosco «da vicino» questi personaggi, quindi vorrei togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Un Lucchesini si sposò a fine Settecento con una contessa Binda, vedova e madre di quel Giuseppe Binda che diverrà successivamente una amata spia murattiana nonché un vero patriota europeo prima alla Corte di Lord Holland a Londra e successivamente alla Corte del Presidente degli Stati Uniti Buchanan, avendo egli sposato la figlia del Generale Sumter, quello di Fort Sumter. Il suo patrigno era un Lucchesini.

I Binda erano legati intimamente ai chierici regolari lucchesi, che erano Serviti e che avevano di fatto soppiantato in città i Padri Gesuiti dopo la riforma, non permettendo loro di approdare poi mai in città, a Lucca. Moltissimi membri della famiglia Binda li ritroviamo in tale Ordine cittadino. I Binda erano legati ad altri in città che approdarono al medesimo Ordine. Cito tra questi i Pierotti, ossia i miei stessi familiari, qui sepolti.

In un mio stato di famiglia rintracciato il mio trisavolo si chiamava Giuseppe, nato e morto lo stesso anno di Giuseppe Pierotti Garfagnino, di professione pittore, del quale una lettera reperita alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze indirizzata nel 1856 a Gino Capponi suo amico così recita: «Capponi mio, il cavaliere è tuo non è mio». I due nobiluomini si confessano. Gino Capponi qui appare come erede del cavalierato del Tau e l’altro, Giuseppe, come l’erede di un cavalierato affine. La citazione riguarda scavi archeologici del periodo in Castelnuovo Garfagnana in cui il ritrovamento dello scheletro di un cavaliere venne attribuito al cavalierato del Tau anziché a quello del pittore Giuseppe. E i due amici disquisirono in merito.

Cavalierati potenti sin dal 1200, perché gli scavi archeologici di tale periodo facevano riferimento, in un «continuum» tra passato e presente, a queste loro appartenenze.

Poco importa se quel Giuseppe pittore è il mio trisavolo oppure un suo lontano parente garfagnino. Certi sono gli apparentamenti, la comune volontà di perpetuare ancora nel 1856 le medesime logiche di potere. Stiamo parlando dunque di fede, di appartenenze religiose cattoliche sì ma ben introdotte negli ambienti europei riformati. Il pittore e scultore Giuseppe proprio in quel periodo scolpì infatti un busto raffigurante Sir Charles Fox Holland, presente oggi nei locali dell’Università di Oxford. Il nobile inglese nel Settecento aveva avuto un ruolo essenziale nella fondazione del partito Whig e nella costruzione dell’Impero Britannico grazie al suo impegno nelle colonie, impegno peraltro che vedeva una presa di posizione contro la schiavitù. Fox, zio di Lord Henry Holland che aveva fatto a Londra di Giuseppe Binda il suo bibliotecario ufficiale nel 1815, una volta che Binda dovette rovinosamente, dopo l’epopea murattina, fuggire nella capitale inglese.

I Fox erano a Londra nei primi anni dell’Ottocento coloro che avevano costruito un cenacolo per sosteneva i patrioti di ogni colore che in Europa lottavano contro l’Antico Regime, quel Fox del Settecento aveva fatto da padre al nipote, rimasto prematuramente orfano.

Perché il pittore Giuseppe stava a Londra e sosteneva questa famiglia e queste posizioni?

Perché la sua famiglia era vicina a quel Movimento di Oxford che fino al 1845, ma presumibilmente anche oltre, celebrò un possibile riavvicinamento tra Chiesa Cattolica e Chiesa Anglicana. Non si trattava solo di fede religiosa ma di precise condizioni politiche che poi il nostro Risorgimento e la sua storiografia hanno celato nella loro essenza più profonda.

Comunione con quegli ambienti londinesi che risaliva addirittura al Cinquecento e, come ho potuto in precedenti articoli definire, era proprio all’origine dei Tudor e del loro potere. Ancora nel XVIII secolo Lucca con personaggi come il musicista Francesco Xaverio Geminiani, primo massone d’Italia e londinese d’adozione, avevano sostenuto e rinvigorito questa storia comune proiettandoci nella Napoli del periodo e nell’intero Meridione d’Italia, dove la tradizione musicale e operistica del San Carlo si legava perfettamente al mentore dello stesso Geminiani, ossia il musicista ed erudito Alessandro Scarlatti. Possibile immaginare musica e cavalieri banchieri associati? Sì, assolutamente legittimo e anzi, necessario.

Ci spostiamo così dai cavalieri banchieri toscani che da sempre afferivano a Londra nella realtà partenopea e siciliana.

Premesso che tali cavalieri toscani avevano da sempre fatto della musica e dell’arte motivo di crescita spirituale, culturale ed economica, come i documenti attestano, possiamo definire dunque i loro rapporti col mondo partenopeo, e dunque con la più generale realtà politica dell’intera Penisola.

Siamo qui tra Seicento e Settecento. I cavalierati solo sulla carta sono tramontati. Alessandro Scarlatti, compositore di musica barocca, vissuto dal 1660 al 1725, è considerato uno dei più importanti rappresentanti della scuola musicale napoletana, fu il maggiore compositore d’opera italiano tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Di origini siciliane, trasferitosi a Roma nel 1762, sostenuto da Cristina di Svezia, fu assunto a suo servizio come Maestro di Cappella. Nel 1683 si trasferì a Napoli, probabilmente qui chiamato dal Viceré Marchese del Carpio e dallo scenografo Filippo Schor. Il musicista che nel periodo compose musica sacra rimase in contatto con gli ambienti romani e con alcuni Cardinali tra cui Benedetto Phamphilj e Pietro Ottoboni. Ormai allontanatosi da Napoli per le difficoltà politiche del periodo dovute ai contrasti tra gli Asburgo e i Borbone, si legò agli Albani. E Papa Albani gli conferì il titolo di Cavaliere di Gesù Cristo. Lo Scarlatti frequentò Londra e qui divenne universalmente celebre nel 1721 grazie alla rappresentazione della sua opera La gloria di primavera presso il teatro cittadino di Haymarket.

Alessandro Scarlatti era stato maestro, col musicista Arcangelo Corelli, del musicista di origini lucchesi Francesco Xaverio Geminiani, che fu per un breve periodo, a inizi Settecento, il direttore del San Carlo di Napoli, prima di recarsi definitivamente a Londra a partire dal 1714, anno di insediamento in Inghilterra della dinastia Hannover. Qui entra in gioco il Cardinale Albani, nipote del Pontefice. Se è vero che sostenne i Padri Gesuiti è altrettanto vero che proprio in quegli anni lo stesso Geminiani una volta a Londra divenne il primo acclarato massone d’Italia, stringendosi di grande amicizia col figlio maggiore di Re Giorgio II, che fece entrare il Geminiani, sostenendolo, proprio nella Massoneria. Il Cardinale Albani aveva sì accolto in Roma in quel frangente gli Stuart ma aveva altresì sostenuto il partito a loro contrario. Era infatti nel 1715 entrato in rapporti con l’antiquario Filippini Stosch, che ritornò nel 1722 come agente segreto del Governo Inglese per riferire sulle attività del pretendente e dei suoi fautori.

Scarlatti, come più tardi Luigi Boccherini, troveranno alla Corte Borbonica Spagnola sostegno e riparo. Senza mai però disdegnare gli ambienti protestanti europei, non ultima la Corte Inglese. L’universalità della musica lasciava dunque il passo a una più generale politica internazionale dove la Roma Papalina dovette giocare un ruolo essenziale. Se dunque nel corso del Settecento si posero le basi di un Risorgimento in senso federalista e sotto egida papale, sarà la Rivoluzione Francese a concretizzare ipotesi future.

A Parigi nessuno osò mai violare, neppure i rivoluzionari francesi e Napoleone, la mitica chiesa di Saint Jacques du hot Pas, amata dai Parigini al pari di Notre Dame. Qui troviamo infatti le spoglie mortali del massimo collaboratore di Giansenio. Ma qui soprattutto vissero e pregarono sino al Cinquecento i cavalieri altopascesi del Tau, sostenuti dai cavalieri banchieri citati, non ultimi la famiglia Capponi che ricoprì a lungo il ruolo di Gran Maestro del Tau medesimo e che lottò proprio nel Cinquecento con Cosimo de’ Medici per mantenere in vita l’Ordine cavalleresco. Nessuno osò mai mettere in discussione i cavalieri banchieri, nonostante che Cosimo riuscisse a interrompere proprio nel Cinquecento quel glorioso passato. Un cugino di Luigi Boccherini, Padre Gioacchino Prosperi, nella Lucca del XIX secolo ma anche in Firenze, Roma, Milano, Reggio Calabria, Napoli e particolarmente nella Corsica all’epoca bonapartista sotto l’egida dei rivoluzionari mazziniani Bonaparte, figli di secondo letto di Luciano Bonaparte, che fu infatti l’ultimo protettore spagnolo di Luigi Boccherini: loro misero in campo, in combutta con forze vaticane favorevoli a una Unità Nazionale federale e insieme papalina, possibilità diverse per il nostro Paese che non passavano necessariamente per la totale soppressione del vecchio regime, visto però in un’ottica unitaria europea, universalistica, che superasse le barriere del Protestantesimo createsi proprio nel corso del Cinquecento. Per la Calabria Pasquale Galluppi, definito dalla storiografia un moderato, fu viceversa anima rivoluzionaria forte e indiscutibile, come i documenti attestano, unitamente a un Antonio Rosmini Serbati, che solo più di un secolo dopo il Concilio Vaticano II ha potuto sdoganare.

Il Protestantesimo del Sovrano Lucchese del tempo, Carlo Ludovico di Borbone-Parma, che a lungo protesse queste frange, non appare dunque come un semplice capriccio. O un modo per distinguersi dal comune sentire del suo «status» regale di Antico Regime. Si trattava viceversa di legami profondi, ancestrali, tra gli stessi Farnese, cui i Borbone-Parma si richiamavano, e una visione allargata oltre l’area mediterranea, la sola che poteva sprovincializzare lo Stivale, e renderlo allineato con soluzioni politiche che superavano l’Antico Regime. Riscoprire le vere radici del nostro Paese ci può aiutare a essere più europei, e in questo la storiografia ha grossa responsabilità.

(luglio 2023)

Tag: Elena Pierotti, banche di affari, Risorgimento, Capponi, Fugger, Tudor, Cosimo de’ Medici, Frescobaldi, Bonaparte, Boccherini, Scarlatti, Risorgimento Italiano.