Il comunismo nella recente storiografia
Non una rivoluzione sfortunata, ma un movimento contrario all’idea di progresso che ebbe successo a causa della difficile situazione sociale del nostro continente, risulta dagli scritti di Nolte, Furet, Conquest, Pipes. Il comunismo potrebbe essere definito come l’idea di gestire i problemi sociali attraverso un sistema autoritario

Per lungo tempo si è ritenuto anche da parte degli storici che il comunismo fosse un movimento progressista e appartenente all’area della democrazia, sia pure di una concezione molto particolare della stessa, diversa dalla concezione liberale. Tale visione contrasta apertamente con i risultati dei regimi comunisti. I regimi comunisti furono fortemente autoritari, contrari a qualsiasi forma di dibattito anche all’interno del mondo non borghese, i regimi comunisti erano nazionalisti e hanno combattuto numerose guerre fra di loro, i regimi comunisti non valorizzavano la cultura, non solo nel senso che impedivano la libertà di pensiero, ma proponevano opere letterarie e artistiche a contenuto sostanzialmente propagandistico non diverse da quelle di altri regimi autoritari. I regimi comunisti realizzarono non una società aperta, non una maggiore giustizia sociale, ma un sistema dominato da una burocrazia corrotta e privilegiata.

Tutto ciò non ha potuto lasciare indifferenti gli storici che ritengono inaccettabile l’idea di un movimento democratico-progressista divenuto successivamente conservatore-autoritario per cause contingenti. In realtà il fideismo a lungo presente in una parte della politica e della cultura ha impedito una corretta valutazione del comunismo, oggi sempre più lontano da Marx. Il filosofo tedesco aveva tentato di dare una facciata moderna ad una dottrina che proponeva una società perfetta, dove gli uomini lavoravano e producevano per una organizzazione centrale, e il governo, un governo investito di grandissima autorità morale, provvedeva al bene del cittadino. Ovviamente il bene del cittadino veniva deciso d’autorità, e nessuno si poneva il problema che gli individui avessero esigenze diverse e intendessero gestirsi autonomamente la propria vita. Si trattava quindi di un sistema assolutamente immobilista, dove nessuno si preoccupava dei miglioramenti e dei cambiamenti, una specie di teocrazia laica. Richard Pipes condivide l’idea che gli aspetti moderni del comunismo siano sostanzialmente fittizi, il comunismo con la sua sfiducia nelle capacità dell’individuo, ha creato una società centralizzata dove una potente casta, quella dei burocrati, ha realizzato un sistema di privilegi ben superiori a quelli contestati dei capitalisti. «Non meno fallace» ha scritto lo storico inglese «è la nozione marxista che la natura umana sia infinitamente malleabile e quindi che una combinazione di istruzione e coercizione possa produrre esseri liberi dall’avidità e desiderosi di dissolversi nel corpo sociale in cui, come aveva immaginato Platone, il privato e l’individuale fossero completamente banditi». E conclude: «Il comunismo non è stato una buona idea che ha avuto un cattivo esito; è stato una cattiva idea». In Il regime bolscevico, Pipes arriva alla conclusione che il regime di Lenin fosse sostanzialmente la continuazione di quello zarista. Autocrazia, assenza di proprietà privata (introdotta in forma piena solo negli ultimi anni dello zarismo), assenza di diritti individuali e controllo dell’informazione da parte dello Stato, costituiscono gli elementi in comune dei due regimi. Le conclusioni di Pipes coincidono con quelle di molti pensatori (fra i quali Mazzini) per i quali era evidente che la grande autorità prevista dai comunisti nella direzione dello Stato non avrebbe lavorato per il bene dell’umanità e delle classi disagiate, ma piuttosto, come tutte le autorità sciolte da vincoli, esclusivamente per il proprio interesse.

Tuttavia il comunismo ha avuto un enorme successo, non in Paesi come quelli anglosassoni ben avviati alla democrazia, ma in quelli dove maggiore era la miseria, l’ignoranza, l’incapacità di utilizzare i propri diritti per il raggiungimento dei propri fini. Il successo di leader violenti e privi di scrupoli morali non si sarebbe potuto realizzare se non in società dove la disperazione spingeva gli uomini a tutelare i propri interessi nel disprezzo dei diritti di coloro che appartenevano ad altri gruppi e ad altre classi sociali. Quando sorse la Rivoluzione Bolscevica in Russia, nei Paesi avanzati molti uomini della Sinistra e del sindacato ritenevano che gli operai avrebbero ottenuto maggiori benefici dall’utilizzo dei normali strumenti della democrazia che non dalla lotta violenta per l’instaurazione di una dittatura di classe, ma il fideismo ha spinto molti a scelte diverse.

Lo storico tedesco Ernst Nolte insiste molto sul concetto di una grande guerra civile europea combattuta successivamente alla Rivoluzione del 1917, e sull’idea del Novecento come secolo violento in cui hanno prosperato le ideologie più brutali. Per Nolte la Rivoluzione Bolscevica, con la sua violenza e il suo dispotismo esasperato ha creato una situazione di sgomento in Europa, non solo negli ambienti conservatori, ma anche fra intellettuali e leader politici moderati e della Sinistra. Non solo l’establishment, ma anche quei ceti medi che per un certo periodo guardavano alla Sinistra moderata per ottenere un sistema politico diverso e maggiore spazio nella società, si orientarono successivamente verso la Destra. Significativo al riguardo è che in Germania, il Paese maggiormente esposto alla rivoluzione, la repressione del movimento comunista avvenne ad opera di un governo socialista, quello di Ebert, cosciente della fine che i socialisti avevano fatto nella vicina Russia. Il nazismo e il fascismo sarebbero quindi per lo studioso tedesco una reazione delle classi medie e superiori al mondo della violenza comunista, e Auschwitz la reazione al Gulag, in un progetto che prevedeva l’uso degli stessi strumenti degli avversari: «Chi rigetta da un punto di vista morale l’una menzogna e l’un assassinio e passa sotto silenzio l’altra menzogna e l’altro assassinio agisce in maniera nettamente immorale» scrive Nolte a conclusione di Nazionalsocialismo e Bolscevismo. Sebbene fascisti e comunisti abbiano militato su fronti opposti, uno schierato a fianco della classe operaia e l’altro a fianco di quella borghese, non mancavano elementi in comune. All’interno del partito nazionalsocialista si aveva una componente estremista vicina idealmente a quella comunista, e molti gruppi animati da forte fanatismo passarono dal partito di Hitler a quello comunista e viceversa. In Gli anni della violenza, Nolte riporta le contestazioni di molti uomini della Sinistra nei confronti del comunismo e del leninismo in particolare. Così per Kautsky il bolscevismo era il «socialismo dei Tartari», mentre per Turati «l’ubriacatura bolscevica delle masse» favorì il sorgere del fascismo. Anche per due importanti leader italiani, Sturzo e Nitti, il comunismo e il fascismo avevano in comune il disprezzo per l’idea di libertà.

Per lo storico inglese Robert Conquest fascismo e comunismo avevano molti elementi in comune ed erano figli della stessa situazione di disperazione sociale che aveva spinto molti a scelte inconsulte. Nel comunismo era presente poi una certa tendenza al messianesimo. «Idee che pretendevano di risolvere tutti i problemi e che invece si sono rivelate fallaci o deludenti hanno sconvolto innumerevoli menti», ha scritto lo storico inglese nell’introduzione de Il secolo delle idee assassine. Le rivoluzioni o le semplici innovazioni liberali non hanno eliminato tutte le situazioni difficili della nostra società, però Conquest ricorda che in oltre un secolo in Inghilterra si ebbero poco più di un centinaio di morti in disordini sociali, e che perfino sotto l’oppressiva monarchia zarista si ebbero non più di alcune migliaia di morti per motivi politici, le vittime del comunismo solo in Unione Sovietica furono invece dell’ordine di milioni, e il massacro di alcuni gruppi umani non aveva alcuna logica nemmeno dal punto di vista del comunismo. Nella stessa opera si riporta il pensiero di molti esponenti marxisti. Secondo il leader comunista ungherese Kadar: «Il compito del leader non consiste nel realizzare i desideri e i voleri delle masse. Il compito del leader è tradurre in realtà gli interessi delle masse». Si tratta di un punto sicuramente essenziale della dottrina, il governo doveva realizzare non la volontà generale della popolazione, ma ciò che riteneva fosse il bene della stessa, implicitamente ammettendo che i cittadini fossero incapaci di sapersi gestire. La medesima idea di una società non capace di evolvere autonomamente rappresenta una delle idee cardine di Lenin. Secondo il leader russo la classe operaia doveva accettare la guida del partito comunista, partito che doveva essere diretto con «disciplina di ferro» da un pugno di «rivoluzionari di professione». Conquest contesta anche l’idea che Stalin fosse responsabile di gravi crimini mentre Lenin avesse utilizzato metodi di governo diversi. Citando varie fonti fra le quali il ministro russo Molotov, appare che Lenin (e Trotzsky) non erano meno crudeli del despota georgiano, e la costituzione della polizia segreta e dei lager furono realizzate già nei primi anni di governo bolscevico. Infine secondo Conquest anche i comunisti dei Paesi Occidentali, come Togliatti o Sartre ammettevano il ricorso alla violenza e alla menzogna, in un celebre colloquio con Camus, il filosofo francese sostenne la necessità di tacere sulle violenze commesse dai regimi marxisti, perché ciò avrebbe avvantaggiato gli avversari politici.

Lo storico francese Furet che da giovane aveva simpatizzato per il comunismo, mette in luce alcuni aspetti interessanti di quel movimento. «Nati dalla guerra, bolscevismo e fascismo prendono dalla guerra quello che hanno di elementare. Trasferiscono nella politica l’insegnamento ricevuto in trincea: l’abitudine alla violenza, la semplicità delle passioni profonde, la sottomissione dell’individuo al collettivo, infine l’amarezza dei sacrifici inutili o traditi». Diversamente da Nolte, Furet ritiene che solo in parte si può spiegare il fascismo come reazione al comunismo, in quanto il movimento totalitario di Destra presentava dei caratteri innovativi e rivoluzionari e non una semplice forma di difesa della classe sociale minacciata. L’utopia rivoluzionaria non nasce comunque da un ambiente culturale fecondo, e il comunismo «ha smesso di essere l’avvenire della democrazia; la democrazia è diventata l’avvenire del comunismo».

(anno 2003)

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