La tragedia dei comunisti italiani in Russia
Il terribile destino degli antifascisti fuggiti in Russia negli anni Trenta

Nel 1926 il Partito Comunista Italiano venne messo fuori legge e molti esponenti e dirigenti decisero di fuggire in Russia. Non si hanno dati precisi ma si ritiene che la comunità italiana ospitata per lo più a Mosca fosse di circa seicento persone. Negli anni successivi un certo numero di questi decise di andare a combattere in Spagna, mentre quelli che rimasero furono costretti a controlli sempre più severi da parte delle autorità. Di questi oltre duecento furono avviati ai campi di concentramento, circa una cinquantina furono i fucilati, ma molti altri trovarono comunque la morte a causa della fatica e degli stenti, e quasi nessuno fece ritorno nel nostro Paese.

Un interessante lavoro di documentazione sui perseguitati italiani è stato svolto di recente da un gruppo di studiosi italiani che ha potuto accedere agli archivi ex-sovietici. Da questi dati ricaviamo che molti dei perseguitati erano semplici operai (ma a volte si tratta di dirigenti politici) che avevano militato nel Partito Comunista dalla sua fondazione e che talvolta erano rimasti coinvolti in scontri armati con i fascisti. Molti erano fuggiti in Francia dove avevano soggiornato alcuni anni, per arrivare in Russia nei primi anni Trenta. Le occupazioni che trovarono furono diverse, molti si iscrissero al locale Partito Comunista, ma la loro situazione in Russia si rivelò subito molto dura, e molti tentarono di rientrare in Italia. La semplice richiesta di rimpatrio veniva considerata dalle autorità sovietiche come un atto ostile, così come venne considerato negativamente il rifiuto di acquisire la cittadinanza sovietica. Le condanne furono emanate per ragioni diverse, spionaggio, attività antisovietica, ma in un paio di casi si ebbero condanne per aver venduto oggetti personali a colleghi di lavoro. In realtà comunque l’accanimento nei confronti dei fuoriusciti fu dovuto al fatto che spesso erano visti come elementi trotzkisti. Abbastanza interessante è notare che i dirigenti del Partito Comunista Italiano nella Sezione Quadri del Comintern diedero un ampio contributo agli organi di polizia segnalando gli elementi «scontenti», «impreparati» e «anarchici». I comunisti italiani non furono le uniche vittime della repressione. In Crimea esisteva una comunità di circa seicento Italiani originari della Puglia giunti lì molto prima della Rivoluzione, che nel 1942 vennero deportati in Kazachistan, sebbene ovviamente del tutto estranei alle vicende politiche.

In quegli anni era presente a Mosca Palmiro Togliatti che come numero due del Comintern aveva contatti con i massimi dirigenti del Paese, Giorgio Bocca in un suo recente saggio conferma il suo singolare atteggiamento nei confronti delle terribili vicende, che oscillava fra neutralità e condiscendenza.

(anno 2002)

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